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Friday, April 19, 2024
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Verrá la morte…

No tengo pruebas, pero tampoco tengo dudas’, non ho prove, ma neppure ho il minimo dubbio…questo ha scritto Cristina Fernández de Kirchner, presidente della Repubblica Argentina, nella seconda delle due lunghe lettere (clicca qui per la prima e qui per la seconda) che, nei giorni successivi alla morte del procuratore generale Alberto Nisman s’è premurata di diffondere via Facebook. E forse proprio qui, con queste parole che nulla dicono e che, insieme, dicono tutto – o meglio: che regalano ad un paese attonito una verità non dimostrata – potrebbe chiudersi una storia che, da qualunque lato venga osservata, si presenta come un inestricabile groviglio di contraddizioni, una surreale matassa con due unici bandoli ai quali afferrarsi. Il primo è, ovviamente, la morte violenta d’un magistrato che, il giorno successivo, avrebbe dovuto illustrare di fronte al Parlamento gravissime accuse contro la ‘presidenta’ ed il suo governo. Il secondo sono invece, per l’appunto, le parole con le quali la medesima Cristina Fernández – di norma per nulla timida quando si tratta di usare l’arma dei messaggi a reti unificate – ha commentato il tragico episodio. Niente e prove e niente dubbi. Le une e gli altri trasmessi (o, per meglio dire, non-trasmessi) al paese via Facebook, come una qualunque cittadina…Anche se ben pochi, fuori dal più intimo circolo degli ‘amici di Cristina’, hanno preso tutto questo per una testimonianza di spirito democratico e di personale umiltà…

Di che cosa, dunque, non dubita Cristina? E qual è la verità che non è in grado di dimostrare? Proviamo, per cercare di capirlo, a partire dall’inizio di quella che a tutti gli effetti è una storia in due, anzi, in tre atti. Primo atto: 18 giugno 1994, una bomba esplode nella sede della Asociación Mutual Israelita Argentina uccidendo 85 persone. Si tratta del più grande atto terroristico mai consumato in territorio argentino. Ma per anni le indagini – condotte in modo deplorevole lungo un intero decennio sotto la presidenza di Carlos Menem – non portano a nulla. Fino al 2004, quando il presidente Néstor Kirchner decide di dare nuovo impulso all’inchiesta affidandola proprio ad Alberto Nisman, magistrato di punta al quale garantisce il pieno appoggio dei servizi segreti. Ed in particolare quello di Antonio ‘Jaime’ Stiusso, direttore della sezione di controspionaggio della Secretaría de Inteligencia, uomo di fiducia, non solo di Kirchner, ma, a quanto risulta da alcuni dei cable a suo tempo diffusi da Wikileaks, anche della Cia e del Mossad israeliano.

Nei due successivi anni le indagini prendono una direzione molto precisa. Dietro la strage, sostiene Nisman confermando antichi dubbi, c’è il governo di Teheran. Ed è sulla base di queste convinzioni (nonché di prove definite ‘inoppugnabili’), che nel 2006 il magistrato emette sei mandati di cattura contro una serie di ex ministri ed alti funzionari iraniani. Né questo è tutto, perché due anni dopo sotto accusa, per depistaggio delle indagini, finisce anche l’ex presidente Menem. All’atto pratico, però, nulla accade. Perché, prevedibilmente, l’Iran, proclamata l’innocenza degli ex ministri sotto accusa, nega la loro estradizione. E perché Menem, eletto senatore per lo Stato di La Rioja, gode dell’immunità parlamentare.

Atto secondo: 27 gennaio 2013. I governi di Argentina e di Iran sorprendentemente annunciano la firma d’un “memorandum d’intesa” teso a risolvere – attraverso la creazione d’una ‘commissione verità’ che ancor oggi deve esser formata – la controversia in merito alle responsabilità dell’attentato del ’94. E qui – nelle nebbie di questa molto opaca svolta, sulla cui vera natura e sulle cui finalità si sono fatte in questi dodici mesi le più disparate ipotesi – qualcosa si spezza nell’intesa tra Nisman e la presidenza, passata nel 2007 a Cristina Fernández de Kirchner. E il 13 gennaio scorso scoppia la ‘bomba’. Alberto Nisman annuncia la sua intenzione di mettere sotto accusa la stessa ‘presidenta’, rea d’aver barattato l’impunità degli iraniani imputati in cambio di per nulla nitide concessioni commerciali. E con la presidenta anche il ministro degli esteri Héctor Marco Timerman, l’ex giudice istruttore Héctor Luís Yrimia, l’iraniano-argentino Jorge Alejandro ‘Yussuf’ Khalil ed un terzetto di personaggi che appartengono al sottobosco più ‘patotero’ (squadrista) del peronismo kirchnerista: Andrés ‘el Cuervo’ Larroque, capo de ‘La Cámpora’, i gruppo dei giovani che del kirchenismo sono, per molti aspetti, i ‘guardiani della fede’, Luís Ángel D’Elia, capo della parte più filo-governativa dei cosiddetti ‘piqueteros’ (‘protestanti’ professionali che, a comando, interrompono il traffico e creano caos), e Fernando Luís Esteche, dirigente di ‘El Quebracho’ forse la più estremista e violenta tra le formazioni peroniste. Tutti evidentemente protagonisti d’una ‘diplomazia parallela’. Enorme è lo scandalo. E tanto i deputati dell’opposizione, quanto quelli della maggioranza – anticipati da una dichiarazione di Timerman che definisce false le accuse di Nisman – chiedono che il magistrato presenti di fronte al Parlamento le sue accuse. L’udienza viene fissata per lunedì scorso. Ed è proprio nella mattina di lunedì 19 gennaio che il cadavere di Alberto Nisman viene rinvenuto nel suo appartamento di Puerto Madero.

E qui comincia il terzo atto. Un atto che è ancora in corso e che (lo spazio è tiranno) racconterò (fin dove è possibile raccontarlo) in un prossimo post. Partendo proprio dal secondo bandolo: le certezze senza prove della ‘presidenta’….

—–

Tutto a posto e niente in ordine. Così recitava il titolo d’un vecchio film di Lina Wertmuller. E proprio così – con un ‘tutto a posto’ o, più specificamente, con un ‘tutto sembra indicare che s’è trattato di un suicidio’ – il capo della Secretaria de Seguridad de la Nación, Sergio Berni, aveva offerto al paese, la mattina di lunedì 19 gennaio, la prima versione della morte del giudice Alberto Nisman. Tutto tragico, ovviamente. Ma anche tutto piuttosto chiaro. Nisman s’è tolto la vita – aveva detto, o aveva lasciato intendere Berni –  perché incapace di reggere il peso d’un capo d’accusa (quello da lui stesso aveva lanciato contro la presidenza della Repubblica) destinato a sbriciolarsi, per la sua inconsistenza, di fronte alla verifica parlamentare prevista per quello stesso giorno. Tutto a posto, dunque. E, per l’appunto, niente in ordine. Perché fuori da ogni ordine era il fatto che proprio lui – kirchnerista di ferro e titolare d’un portafoglio creato da Cristina Fernández nel 2010 come una sorta di super-ministero degli interni – fosse stato il primo a frequentare il luogo del delitto (o del non-delitto), anticipando d’almeno un’ora polizia e giudici inquirenti, per poi presentare ai media, con rassicuranti toni, la prima ricostruzione della tragedia. Che cosa ci faceva Sergio Berni, nell’appartamento di Puerto Madero? Fin  qui nessuno ha dato a questa domanda una risposta convincente…

Tutto a posto e niente in ordine. Questo sembra in effetti essere, non il titolo, ma il ‘leitmotif’ d’una tragedia che davvero – quando non scade nella farsa – ha molto in comune con il melodramma wagneriano. Particolarmente nel punto in cui più alta e solenne si fa la musica. Vale a dire: nelle parole con le quali la ‘presidenta’ Cristina Fernández Kirchner – che ieri ha finalmente parlato alla Nazione a reti unificate – ha fin qui commentato la morte del ‘fiscal’ Alberto Nisman. Parole (scritte e parlate) nelle quali, più che in ogni altro luogo di questa tenebrosa trama, tutto è perfettamente a posto e tutto è incredibilmente in completo disordine. Tutto è perfettamente a posto perché quello che Cristina ha offerto al paese in due successivi messaggi diffusi via Facebook (e poi ribadito nel discorso di ieri notte in TV) è una verità definitiva. E, nel contempo, tutto è in completo e surreale disordine perché di quella verità la ‘presidenta’ ammette di non avere prova alcuna. No tengo pruebas, pero tampoco tengo dudas’….

Proviamo a riassumere. Il primo ed assai divagante messaggio via Facebook di Cristina, sostanzialmente rifletteva il ‘tutto a posto’ di Berni. Ovvero: la tesi d’un suicidio causato dai sensi di colpa d’un giudice consapevole della insostenibilità delle sue accuse contro il governo. Un caso, in sostanza, di cattiva coscienza chiuso da un colpo di pistola alla tempia. Ma solo poche ore più tardi, presumibilmente dopo aver valutato le reazioni della pubblica opinione di fronte alla tesi del suicidio, la sua posizione è radicalmente cambiata. Nisman, ha affermato la ‘presidenta’ nel suo secondo messaggio, è stato assassinato. E ad ucciderlo sono state le stesse persone che gli hanno consegnato a busta chiusa il plico con le accuse contro il governo. Da parte consapevole d’un complotto (spinto poi dai rimorsi e dalla paura al suicidio), Nisman è diventato, per misteriosi motivi, il più idiota degli utili idioti, una sorta di burattino in mano al quale forze sinistre hanno deposto, con l’ordine di firmarlo e difenderlo, un documento del quale il ‘fiscal’ neppure è arrivato a conoscere i contenuti. Un robot al quale i padroni del telecomando hanno staccato la corrente al momento giusto perché, ha sottolineato Cristina Fernández, il j’accuse contro il governo – troppo debole, troppo dilettantesco e ridicolo – non era mai stato il vero obiettivo del complotto. Il vero obiettivo era, in effetti, la stessa morte di Nisman, il suo cadavere – il cadavere d’un giudice accusatore – tra le gambe del governo.

Ovvia domanda: a chi appartengono le ‘forze sinistre’ che quel documento hanno messo in mano all’ ‘inconsapevole’ Nisman? Il grande convitato di pietra dei messaggi di Cristina – il braccio e la mente della congiura omicida contro di lei orchestrata è, con tutta chiarezza, Antonio Horacio ‘Jaime’ Stiusso, storico capo del controspionaggio della SIDE, che la presidenta ha, al termine d’una sorda lotta intestina tra servizi, sostituito solo pochi mesi fa. Vale a dire: l’uomo che proprio suo marito Néstor Kirchner, nel 2004, aveva posto al fianco di Alberto Nisman (un’altra sua scelta) perché insieme imprimessero una nuova svolta alle indagini sulla strage dell’AMIA, impantanatesi, regnante Menem, nella melma di troppi scandalosi depistaggi. Lo stesso Stiusso il cui tenebroso strapotere era stato pubblicamente denunciato, in quel medesimo 2004 dall’allora ministro della Giustizia, Gustavo Béliz, che fu per questo messo alla porta da Néstor e dovette, per ragioni di sicurezza, riparare all’estero con tutta la famiglia…Se ‘Jaime’ Stiusso (che peraltro non è fin qui parte delle indagini in corso) è davvero il ‘mostro’ che Cristina descrive, non v’è dubbio che, negli ultimi 12 anni, proprio in casa Kirchner quel mostro è stato allevato…

Parlando ieri notte alla Nazione, Cristina ha, nel ribadire la sua ‘verità senza prove’, annunciato una “radicale riforma” dei servizi segreti. Ovvero: ha assicurato al paese la sua intenzione di chiudere la stalla quando i buoi che il kirchnerismo ha per una dozzina d’anni custodito (ed assai spesso usato) sono ormai fuggiti…Non v’è dubbio alcuno: tutto in Argentina continua ad essere a posto. E tutto resta nel più assoluto disordine…

 

Questi due articoli sono stati originalmente pubblicati nel blog di Massimo Cavallini per “Il Fatto Quotidiano”.

 

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