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“Veinte años no es nada”

Martín Caparrós ripercorre, in un articolo per El País di Madrid, le tappe della irresistibile ascesa del kirchnerismo. Un ventennio che, partito da un modestissimo 22 per cento di voti nelle presidenziali del 2003, ha cambiato la storia dell’Argentina. Difficile dire se in meglio o in peggio.

C’è un tango -c’è sempre un tango- famoso, molto cantato, gardeliano, che s’intitola Volver e proclama che “vent’anni non è niente”. Oggi fanno vent’anni che un tal signor Nestor Carlos Kirchner assunse la presidenza della Repubblica Argentina: quasi nulla.

Una settimana, cinque presidenti

Un anno e mezzo prima il paese aveva sofferto la crisi più clamorosa della sua storia: il peso era crollato, le banche s’erano impossessate del danaro di tutti, la povertà aveva toccato la metà della popolazione, milioni di persone nelle strade gridavano ai politici di andarsene e quella settimana di dicembre 2001 la repubblica aveva conosciuto cinque presidenti. Ma l’ultimo di loro è rimasto e ha iniziato a raddrizzarla lentamente. L’Argentina si immagina sempre di aver toccato il fondo e non può andare più in basso; per una volta era vero. Il presidente Eduardo Duhalde avrebbe continuato a governare altri due o tre anni non avesse la sua polizia ucciso due manifestanti, costringendolo a indire elezioni. Duhalde era peronista e pensò a diversi candidati che, uno dopo l’altro, disertarono: non osavano. Così dovette rassegnarsi a ricorrere al governatore della provincia più australe, più vuota, più “caciquil” dell’Argentina, il signor Kirchner. Il signor Kirchner non era, allora, candidato a nulla: il suo sogno era quello di diventarlo quattro anni dopo e si ritrovò improvvisamente, senza volerlo, in gara.

Il tentativo fu quasi un fallimento: in quelle elezioni il signor Kirchner ottenne meno voti del suo ex capo peronista neoliberale Carlos Menem, che lui stesso, anni prima, aveva definito “il miglior presidente argentino dopo Juan Perón”. L’ex migliore lo aveva battuto nella prima volta per 25-22%, ma non ha voluto presentarsi alla seconda perché sapeva che milioni gli avrebbero votato contro. Quindi, senza ulteriori formalità, senza più di quel 22 per cento, il signor Kirchner è diventato presidente.

E si accollò dei problemi: nessuno lo conosceva, non aveva una propria struttura e non aveva seguaci, la sua storia come governatore includeva la vendita confusa del petrolio della sua provincia a una multinazionale e lo smarrimento di quel denaro. Ma quel 25 maggio 2003, al Congresso, lesse un bel discorso, entusiasmò alcuni e, da quel giorno in poi, si dedicò a guadagnarsi il posto che gli era capitato in sorte.

Per questo approfittò di diverse variabili: che la crisi aveva lasciato salari e prezzi bassi, che la soia e il grano salivano senza sosta, che molte persone erano stanche di tanto disincanto e volevano credere in qualcosa, che la sua goffaggine fisica lo faceva sembrare sincero. Erano giorni in cui il neoliberismo andava perdendo pretigio ovunque: l’onorevole Kirchner, che lo aveva sostenuto per dieci anni, capì che era nel suo interesse dimenticarlo e riprendere certi slogan progressista. “La sinistra ti dà forza”, direi anni dopo a un altro governatore, per spiegare la sua idea.

Nestor e Cristina, Cristina e Nelson…

Ed ebbe forza e governò e costrui il suo potere, tanto che immaginò un sistema per conservarlo 16 anni: dopo i suoi primi quattro sarebbero venuti otto della sua signora, Cristina Fernández, allora senatrice, e alla fine quattro suoi e così via, in famiglia, aggirando il divieto di governare più di due mandati. A quel punto il presidente Kirchner aveva già ottenuto il sostegno dei grandi media, chiamando Clarín ogni sera per chiedere cosa avrebbero messo in prima pagina domani, e delle organizzazioni per i diritti umani, che aveva evitato per decenni e poi abbraciato.

Nel 2007 il suo Project16 sembrò funzionare: sua moglie fu eletta con il 45% dei voti. Nei due anni successivi il suo governo prese due misure che in precedenza aveva rifiutato con fervore: il matrimonio omosessuale, che lo indisponeva con la Chiesa di Jorge Bergoglio e ben disposto con giovani ribelli, e un “Incarico universale per Figlio” che ha inaugurato la politica assistenzialista che aveva sempre respinto con l’argomentazione che non si dovevano offrire doni ma lavoro. “Reinstallare la mobilità sociale ascendente che ha caratterizzato la Repubblica Argentina richiede la comprensione che i problemi della povertà non si risolvono dalle politiche sociali ma dalle politiche economiche”, aveva detto Kirchner nel suo discorso inaugurale….

Leggi l’intero articolo, in spagnolo, in El País

Da leggere:

Il lento declino del kirchnerismo – da El Pais

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