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Saturday, December 21, 2024

Golpe su golpe

Giorno nuovo, golpe nuovo. Anzi golpe nuovi, al plurale. Perché il ritmo della rivelazione di complotti assassini contro la Repubblica Bolivariana o, per meglio dire, la golpe-dipendenza del regime ha ormai assunto tali proprorzioni che la dose di uno al giorno sembra non essere più sufficiente. E con l’aumento del numero delle cospirazioni quotidiane, s’accelerano anche prepotentemente i tempi delle rottamazioni delle medesime. In Venezuela, ormai, le denunce di colpi di Stato nascono e muoiono nel giro di poche ore. Con Maduro e Cabello impegnati in una strenua competizione. Chi dei due le racconta più grosse?

Di Massimo Cavallini

Continua a succedere di tutto, in Venezuela. E nel contempo, continua a non succedere nulla. O, per meglio dire: continuano le proteste di piazza (i morti sono, ormai, almeno di 15). E, con le proteste, continuano – anzi, esponenzialmente s’accrescono – le denunce di golpe, tentati omicidi ed assortite cospirazioni contro quello che il governo (che della Costituzione è il più sistematico violatore) non esita a chiamare l’ ordine costituzionale’. Tutto si muove, insomma. E, al tempo stesso, tutto resta dov’era, perché di quelle ‘esplosive’ denunce governative sistematicamente non resta, acquietatosi il primo botto, che un vago rumore di fondo, spesso assordante, ma sempre indistinguibile.

Giorni fa, in un altro post, avevo narrato del ‘cimitero delle frottole. Vale a dire: della straordinaria facilità con la quale l’ ‘eterno’ Hugo Chávez a suo tempo, ed ora, in modo molto più caricaturale, il suo designato e molto secolare erede, Nicolás Maduro, vanno porgendo ai propri sudditi racconti di ‘magnicidi’ e di colpi di Stato in fieri. Tutti (almeno una settantina, negli ultimi 14 anni) regolarmente esposti in TV con grande enfasi. E tutti altrettanto regolarmente e rapidamente svaniti, evaporati, dissoltisi nel nulla o, per l’appunto, quasi istantaneamente rottamati e silenziosamente archiviati in un metaforico e rugginoso ‘cimitero delle frottole’. Prevedibilmente, queste del tutto fattuali considerazioni hanno incontrato la molto irata reazione di alcuni sostenitori del ‘processo bolivariano’. Quante storie – questo il senso d’un buon numero dei loro commenti – per qualche folclorico ‘eccesso verbale’ che, se valutato alla luce delle ‘vere’ grandi menzogne dell’Impero (la scelta è amplissima e ognuno ha citato la sua), altro non è che un più che giustificato metodo di legittima difesa.

Ciò che è evidentemente sfuggito, ai bolivariani che hanno preso cappello, è proprio il più importante punto del post, quello che davvero, in un mondo di menzogne, fa del caso venezuelano un probabile ‘unicum’. Le frottole di Chávez-Maduro sono gravi, non per le loro conseguenze, bensì proprio per la pressoché totale assenza delle medesime. O meglio: sono gravi perché, nel loro pressoché istantaneo dissolversi, sono la testimonianza d’uno stato di permanente menzogna che a sua volta riflette, con spesso surreali accenti (vedi la storia della rete di prostituzione minorile), il tragico logoramento dello stato di diritto nel Venezuela d’oggi.

Gli ultimi giorni sono stati, da questo punto di vista, molto intensi. E, nella loro intensità, hanno visto un frenetico accelerarsi tanto della produzione di frottole, quanto dei tempi della loro rottamazione. C’eravamo lasciati con Maduro che denunciava una cospirazione ‘fratricida’, ordita dai nemici della rivoluzione per assassinare Leopoldo López. Di quell’attentato Maduro aveva illustrato, in diretta TV, ogni dettaglio, indicandone l’autore intellettuale (un ‘alto esponente dell’opposizione’), esponendo tempi e modalità del crimine, nonché, persino, il numero ed i luoghi delle riunioni tenutesi per organizzarlo. Il tutto per una ‘verità’ che non lasciava margine a dubbio. Non avesse la Guardia Nacional offerto a López la sua protezione, quest’ultimo sarebbe oggi un morto ammazzato, un falso ‘martire’ dai suoi compagni senza remore sacrificato sugli altari della violenza e del caos (vedi Siria ed Ucraina) che l’Impero reclama per sottomettere la patria di Chávez e Bolivar.

Tutto questo non è, ormai, che preistoria, polvere dispersa – senza che vi stato un arresto, o un qualunque seguito – nel sempre più impetuoso vento di nuove rivelazioni. Tre giorni fa Maduro ha annunciato, sempre a reti unificate, l’arresto di un ‘terrorista venuto dal Medio-Oriente’ per collocare autobombe in un buon numero di città Venezuelane. Ed aveva garantito che il presidente dell’Assemblea Nazionale, Diosdado Cabello, avrebbe quella sera stessa presentato tutte le (ovviamente ‘inconfutabili’) prove del complotto durante la trasmissione che conduce per la rete televisiva di Stato VTV (‘Con el mazo dando’, una sorta di molto interessante ‘Tv-manganello’ sulla quale tornerò).

Ma a quel complotto – evidentemente rottamato ancor prima di arrivare a destinazione – il burbanzoso Diosdado non ha, in realtà, neppure accennato. Anche perché, di complotti, lui ne aveva in tasca altri due, e nuovi di zecca. Il primo era quello illustrato da alcuni scambi di e-mail tra dirigenti dell’opposizione (una storia tanto concettualmente flebile, questa, che s’è di fatto auto-rottamata mentre veniva esposta). Il secondo – particolarmente infame – era invece relativo alle ‘vere cause’ della morte di Alejandro Marquez, un oppositore che si riteneva (e che tutte le persone decenti ancora ritengono) fosse stato ucciso a bastonate dalla Guardia Nazionale. La verità ha comunicato Cabello, è che quell’oppositore l’hanno ucciso amici suoi. Perché? Perché Marquez aveva, dai quei suoi amici, ricevuto l’incarico di assassinare Maduro. E perché, essendosi infine rifiutato di eseguire gli ordini ricevuti, era stato questi ultimi accusato di ‘tradimento’ e ‘giustiziato’.

Una storia sconvolgente? Certo. Sconvolgente e, come tutte le altre, falsa. Falsa e già rottamata. Anche questo un folclorico ‘eccesso verbale’, il venialissimo peccato d’una rivoluzione che si deve difendere? Io non credo. Direi piuttosto – parafrasando il Marcello dell’Amleto shakespeariano – l’inequivocabile segnale che in Venezuela c’è qualcosa di marcio. E di marcio alle radici…

 

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