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Friday, April 19, 2024
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Requiem per Tirofijo

Vita, morte, miracoli e peccati di Manuel Marulanda, il guerrigliero morto a 78 anni – cinquanta in montagna – senza aver mai conosciuto una città

 

di Massimo Cavallini

 

Questa volta è vero. Vero al di là d’ogni ragionevole dubbio. Vero al punto che, con piuttosto macabra felicità, il ministro della Giustizia colombiano, Carlos Holguín, non ha esitato ieri a sostituirsi al Padreterno, anticipandone il giudizio finale: “Marulanda in questo momento – ha detto ai giornalisti che si rivolgevano a lui in cerca di conferme – già si trova probabilmente all’inferno”. Molte volte annunciata, e molte volte smentita nel passato remoto ed in quello prossimo, la notizia della morte di Manuel Marulanda Vélez, all’anagrafe Pedro Antonio Marín – ma a tutti noto come “Tirofijo”, l’uomo che non sbaglia mira – è stavolta indiscutibilmente ed irrimediabilmente vera. Quello che fino a ieri era considerato il più antico guerrigliero vivente, è morto (pare per un infarto) dopo quasi mezzo secolo di battaglie. È morto a 78 anni, , dopo mezzo secolo passato alla macchia. Ed è morto – come lui stesso ha ricordato in una delle sue piuttosto rare interviste – senza aver mai fatto visita ad una città.

Ma chi era, davvero, l’uomo che ha fondato e guidato le Farc lungo gli accidentati cammini della più longeva guerra di guerriglia del pianeta? Un ribelle? Un eroe? Un bandito? Un criminale? Un po’ di tutte queste cose. Ma di certo era, come lui stesso amava ripetere, soprattutto “un contadino”. E con lo spirito pratico del contadino ha, nel bene e nel male – da parecchio tempo molto più nel male che nel bene – percorso tutti i meandri che, da una logica di pura sopravvivenza di fronte alle ferocia bande agrarie conservatrici nel periodo de “La Violencia”, lo hanno portato a creare un esercito in grado di controllare una consistente fetta della Colombia rurale, diventando nel processo, prima una mitica figura di combattente e, quindi, uno dei personaggi più detestati dai colombiani. Poiché proprio così stanno le cose. “El gran líder se ha marchado” ha detto ieri con molta solennità Timoleón Jímenez “Timochenko”, il membro del segretariato delle Farc al quale è toccato dar conferma della morte del capo. Ed ha ancor più enfaticamente aggiunto: “A lui hanno reso omaggio i milioni di colombiani e di cittadini del mondo che lo apprezzano e lo rispettano ben al di là della schifosa campagna mediatica contro le Farc…”. Ma la verità è che, solo qualche mese fa, proprio contro di lui e contro le Farc milioni di colombiani sono scesi in piazza nella più grande manifestazione di massa della storia della Colombia. Ed ancor più certo è che, avesse dovuto Tirofijo, il giorno prima della sua morte (il 26 marzo scorso secondo la più accreditata versione), partecipare ad un concorso di popolarità in Colombia, avrebbe senza difficoltà, e con ampio distacco,conquistato la maglia nera. Nessuno – neppure i macellai delle formazioni paramilitari – sono oggi più odiati di lui. Al punto che proprio su questo odio Àlvaro Uribe è riuscito, contro la vecchia ed anchilosata logica del bipartitismo colombiano, conquistare la presidenza e costruire un nuovo sistema di potere.

Perché Marulanda e le Farc sono diventate tanto invise al popolo che, almeno originalmente, volevano liberare dalle sue catene? Il modo migliore per cercare di ricostruire questa lunghissima e singolarissima parabola politica, è forse seguendo il filo delle molte domande poste dalla sua morte. Proviamoci.

1 – Come è arrivata la arrivata la notizia della morte di Marulanda (e perché lo stesso Tirofijo si sarebbe preoccupato sapendolo)

2 – Farc, le brutte notizie non finiscono mai (dalla caduta del Negro Acacio, alla scomparsa del leader storico, passando per la mano morta di Iván Ríos e per il vaso di Pandora del laptop di Raúl Reyes)

3 – Le Farc si stanno disgregando?

4 – Chi era Tirofijo? E come sono nate le Farc? (Storia di un contadino che, per sopravvivere, creò un esercito)

5 – In che modo le Farc sono passate da una pura logica di autodifesa all’ideologia marxista-leninista? L’incontro con Jacobo Arenas

6 – Sequestri di persona e narcotraffico. La deriva criminale

7 – Perché i colombiani detestano le Farc?

8 – Prima del Caguán: il massacro della Unión Patriótica

9 – Il dopo-Marulanda comincia (o finisce?) con Alfonso Cano. La pace è più vicina o più lontana?

Come è arrivata la notizia della morte di Marulanda?

Il primo ad annunciare la morte di Manuel Marulanda Vélez – all’anagrafe Pedro Antonio Marín Marín, ma a tutti noto come “tirofijo” – è stato il ministro della difesa Juan Manuel Santos, attribuendola a “fonte molto attendibile”, in una intervista concessa a La Semana, ma prontamente diffusa, via intarnet, nella notte di sabato 24 maggio, ben prima che il settimanale fosse disponibile nelle edicole. E forse proprio di questo – gli fosse stato dalla sorte concesso il privilegio d’assistere al suo funerale – si sarebbe più preoccupato lo stagionato leader guerrigliero. Vale a dire: del fatto che proprio gli apparati dello Stato che lui per oltre mezzo secolo era andato combattendo si fossero rivelati assai meglio informati sullo stato di salute suo e delle sue Fuerzas Armadas Revolucionarias Colombiana –Ejercito del Pueblo – di quanto non fossero i suoi stessi seguaci. Era già accaduto mesi fa, quando, nel pieno delle operazioni che avrebbero portato alla liberazione di Clara Rojas e di Consuelo González de Perdomo, fu proprio il governo colombiano ad annunciare che Emmanuel, il bambino nato nella selva da una relazione tra Clara ed un guerrigliero, già si trovava, in realtà, in un orfanatrofio, sotto la sua protezione.

Per le Farc, che – in un polemico gesto di gratitudine verso Hugo Chávez – avevano annunciato il rilascio del bambino insieme alla madre, la storia di Emmanuel, rappresentò, non solo una “brutta figura” internazionale, ma la prova che i servizi d’intelligenza dello stato erano penetrati nei più alti livelli della sua organizzazione. Subito dopo l’intervista di Juan Manuel Santos, la notizia della morte di Marulanda era stata confermata, sabato sera, dal capo di Stato Maggiore, ammiraglio David Moreno, il quale aveva anche fornito giorno ed ora – 26 marzo alle 6,30 del pomeriggio – della morte di Tirofijo, ufficialmente invitando le Farc a pronunciarsi sulla scomparsa del loro capo storico. Anche il presidente Uribe – che voci di corridoio hanno in questi giorni descritto come “infuriato” per il fatto che Juan Manuel Santo gli avesse rubato il proscenio in una tanto importante occasione – ha provveduto a dire la sua sul tema chiosando con un enigmatico “esperemos”, speriamo, una conferenza stampa dedicata ad altri temi. Infine, quattro ore dopo l’ “esperemos” del presidente, è giunto, per mezzo di un video affidato a Telesur (vedi all’inizio dell’articolo), il discorso di Timoleón Jímenez. Un discorso probabilmente già pronto da giorni, letto con grande impeto (e in qualche momento anche con un’ombra di genuina commozione), di fronte ad un invisibile (e forse inesistente) platea. Comunque sia, e stato il governo colombiano – che ha evidentemente eccellenti antenne all’interno dell’organizzazione, a dare per primo la notizia. Un brutto segno, per le Farc. E non certo l’unico.

Prossimo capitolo:

2 – Farc, le brutte notizie non finiscono mai (dalla caduta del Negro Acacio, alla scomparsa del leader storico, passando per il vaso di Pandora del laptop di Raúl Reyes)

Quali altre brutte notizie hanno interessato le Farc negli ultimi mesi?

Dalla morte del Negro Acacio, alla mano morta di Iván Ríos, passando per il vaso di Pandora del laptop di Raúl Reyes….

Le brutte notizie sono state molte e molto pesanti. Negli ultimi mesi le Farc hanno perduto almeno quattro dei membri del loro “segretariato”, massimo organo dirigente dell’organizzazione. Nel settembre del 2007, nel corso di un bombardamento aereo lungo le sponde del rio Guaviare, era caduto Tomás Medina Caracas, alias “El Negro Acacio”, l’uomo che, all’interno delle Farc, dirigeva le operazioni di narcotraffico e di compravendita di armi, controllando il flusso di danaro che ne derivava. E dopo di lui, a poche settimane di distanza, erano morti in combattimento Gustavo Rueda, alias Martín Caballero, comandante del 37esimo fronte (lo stesso che, per quasi quattro anni tenne prigioniero Fernando Araujo, l’attuale ministro degli esteri) e Carlos Antonio Losada, da molti considerato l’uomo del “controspionaggio”, addetto all’infiltrazione di militanti all’interno delle forze armate. Il primo marzo scorso, durante un’incursione armata in territorio ecuadoriano – quasi certamente garantita da tecnologie satellitari messe a disposizione dagli Stati Uniti, era stato ucciso Luís Édgar Devia Silva, alias Raúl Reyes, di fatto il numero due dell’organizzazione e, dell’organizzazione, certo l’uomo più visibile. Era stato proprio lui, infatti ,a condurre gran parte delle trattative di pace con il governo – poi miseramente fallite – tra il ’98 e il 2002. E, negli ultimi tempi, proprio a lui erano stati affidati pressoché tutti i colloqui tesi alla ricerca d’uno “scambio umanitario” che potesse restituire la libertà a Ingrid Betancourt e ad altri 42 “superostaggi” nelle mani delle Farc. Anche la sua presenza in Ecuador era probabilmente legata a questo suo ruolo di “mediatore”, o meglio, di “negoziatore”. La morte di Raúl Reyes ha indubbiamente privato le Farc d’un dirigente di primissimo livello. Ma ancor più dura – ed ancora tutta da misurare nella sua durezza – è stata la meno cruenta delle conseguenze del bombardamento colombiano in territorio ecuadoriano (che uccise, in tutto, 14 persone). Vale a dire: la caduta nelle mani delle autorità colombiane di tutta la “memoria elettronica” (laptop, hard disk) del dirigente ucciso. Dalla “computadora” di Raúl Reyes – la cui autenticità è stata di recente confermata da un’indagine dell’Interpol – hanno cominciato ad uscire, come dal classico vaso di Pandora, documenti che rivelanog i segreti di una complessa rete di appoggio internazionale alle Farc. Particolarmente imbarazzanti le parti che riguardano il presidente venezuelano Chávez, ora accusato d’appoggiare finanziariamente e logisticamente le Farc, ed il presidente ecuadoriano Rafael Correa.

Né la storia finisce qui, perché, appena cinque giorni dopo la caduta di Reyes, è morto anche Manuel Jesús Muñoz Ortiz, alias Iván Ríos, come El Negro Acacio e come Reyes membro del segretariato (aveva un anno prima sostituito Efraín Guzmán, morto per cause naturali). Particolarmente inquietanti (vedi l’articolo “Mano morta e mano dura” di Gabriella Saba) le circostanze della sua morte. In breve: Iván Ríos è stato ucciso dal suo luogotenente – tal “Rojas” – che ha poi consegnato all’esercito, a riprova dell’avvenuto omicidio, la mano del suo ex-capo. Ragioni del “tradimento”: l’ormai disperata situazione nel quale si trovava il 47esimo fronte diretto (pare in forma tirannica) dal medesimo Ríos. La stessa disperata situazione che, solo qualche giorno fa, ha spinto la leggendaria guerrigliera “Karina” (vero nome Nelly Àvile Moreno) – lei pure alla testa del 47 fronte – a consegnarsi ai suoi nemici di ieri dopo aver trattato la propria resa (Vedi articolo de La Semana).

prossimo capitolo:

3 – Le Farc si stanno disgregando?

È troppo presto per arrivare ad una simile conclusione. Di certo le Farc sono, da almeno cinque anni, sulla difensiva. E, negli ultimi tempi, hanno subito colpi durissimi. Stando ai dati dell’esercito colombiano, gli effettivi delle Farc sono passati, dai 17.000 del 2002 agli 8-9.000 attuali. Ed i loro 75 fronti si sono ridotti a non più di 45, molti dei quali composti ormai da una manciata di combattenti. Alto (e piuttosto giustificato) è il sospetto che, per raggiungere queste cifre, le forze armate colombiane abbiano adottato un sistema di “body count” – conteggio dei nemici caduti in battaglia – non molto diverso (mutatis mutandi) da quello usato a suo tempo dal generale Westmoreland in Vietnam. Ovvero: che abbiano sistematicamente contato come guerriglieri contadini e civili indiscriminatamente uccisi (da loro o dalla stessa guerriglia). Ma – al di lá dell’esattezza delle cifre ufficiali – non può esservi dubbio alcuno che la forza delle Farc si sia andata, negli ultimi anni, fortemente ridimensionando. Fortemente, ma ancora non fino al punto di perdere efficacia in combattimento. Ed i 10 soldati uccisi in un agguato nel Caquetà, proprio il giorno dell’annuncio della morte di “Tirofijo”, stanno a dimostrare la persistente (seppur declinante) vitalità militare dell’organizzazione. Le Farc sono in difficoltà, ma hanno ancora uomini e danaro sufficienti per sopravvivere. Nonostante tutto, la via negoziata resta ancora l’unica percorribile per por fine al conflitto

prossimo capitolo:

4 – Chi era Manuel Marulanda Vélez? E come sono nate le Farc?

Storia di un contadino che, per sopravvivere, creò un esercito

“Il mio nome è Pedro Antonio Marín Marín, figlio di Pedro Pablo Marín e di Rosa Delia Marìn. Ho circa 21 anni. Sono nato in questo municipio (Génova, nella regione di Tolima, circa 200 chilometri a occidente di Bogotà n.d.r.), dove ho vissuto tutta la mia vita. Sono scapolo e la mia professione è quella di contadino, dalla quale traggo da vivere…”. In queste parole, pronunciate da Tirofijo di fronte al giudice, in quella che, nel 1950, resterà la sua prima ed unica apparizione in una corte di giustizia, c’è, in fondo, tutto ciò che davvero occorre sapere del più antico guerrigliero del pianeta. Perché proprio questo Pedro Antonio Marín Marín è, a conti fatti, stato per tutta la sua vita: un contadino. Un contadino nato – un giorno prima del Che Guevara – in un lembo di mondo nel quale essere contadini ha spesso significato, senza alternative, due cose: scappare o combattere. Anzi: quasi sempre le due cose assieme, condensate in un unico ed essenziale verbo. Sopravvivere. Fu, infatti, per sopravvivere che, mentre in Colombia imperversava “la Violencia” – il lungo periodo di caos politico-sociale (300.000 morti) seguito all’assassinio di Jorge Eliécer Gaitán, candidato liberale alla presidenza nel 1948 – Pedro Antonio Marín divenne guerrigliero. Le bande armate organizzate dal governo conservatore andavano battendo le campagne per “ripulire” i municipi a maggioranza liberale, tagliando teste e sequestrando terre. Génova era uno di questi. Ed a Pedro Antonio non restò che armarsi e darsi alla macchia, ritirandosi verso sud, nella regione del Rio Blanco. Il suo primo gruppo armato si chiamò “Comando”. Ma poco più tardi, agli inizi del ’51, s’integrò, nel municipio di Chaparral, con una formazione di più marcata ispirazione comunista, guidata da Isauro Yosa, un altro contadino. Insieme, Marín e Yosa formarono el Estado Mayor Unificado che, nelle montagne del Davis, nella più profonda parte di Tolima, crearono un sistema di autodifesa dalle violenze dell’esercito e dei gruppi paramilitari conservatori.

Le Farc nascono più tardi, nel 1964, allorquando – su espressa richiesta e con l’appoggio degli Stati Uniti, spaventati dall’ipotesi della creazione di un’enclave comunista – il governo conservatore di Guillermo León Valencia lanciò un’offensiva generale contro i sistemi di autodifesa creati nel profondo delle campagne colombiane. O, più esattamente, contro le cosiddette “cinque repubbliche indipendenti” – Marquétalia, El Pato, Rio Chiquito, Villa Rica e Rio Duda – sorte da quei sistemi di autodifesa. L’attacco, condotto con grande dispiego di forze dal generale Roberto Ruiz Novoa, doveva fare “terra bruciata”. Ovvero: doveva chiudere per sempre (per assenza di superstiti) il capitolo delle repubbliche indipendenti. Ma con una manovra diventata parte integrante del suo mito di guerrigliero (la cosiddetta saga di Marquetalia), Pedro Antonio Marín, detto “Tirofijo – già diventato Manuel Marulanda Vélez, avendo egli simbolicamente assunto il nome di un sindacalista assassinato dai conservatori – riuscì a evitare l’attacco muovendosi verso la zona del Caguán, nel Caquetà, dove avrebbe annunciato la nascita di una forza guerrigliera marxista-leninista– las Fuerzas Armadas Revolucionaria Colombianas, per l’appunto – il cui scopo era l’instaurazione di una società socialista.

prossimo capitolo:

5 – In che modo le Farc sono passate da una pura logica di autodifesa all’ideologia marxista-leninista? L’incontro con Jacobo Arenas

5 – In che modo le Farc sono passate da una pura logica di autodifesa all’ideologia marxista-leninista? L’incontro con Jacobo Arenas

Della fusione delle truppe di Marulanda con quelle di Ysauro Yosa, a Chaparral, già si è detto. Ma ancor più importante fu, negli anni immediatamente seguenti, l’incontro di Tirofijo con Jacobo Arenas (morto probabilmente di cancro il 10 agosto del 1990), un dirigente del Partito Comunista Colombiano datosi alla macchia. Fu infatti quest’ultimo, diventato il numero 2 dell’organizzazione, a dare alle Farc la loro impronta ideologica. Resta tuttavia da capire quanto, in effetti, l’accettazione dell’ortodossia comunista abbia cambiato l’originaria natura contadina, o meglio, d’autodifesa contadina delle formazioni armate nate dalla saga di Marquetalia.

Se si ripercorre il dibattito politico che, tra gli anni ’60 e ’70, ha portato alla creazione di gruppi guerriglieri alternativi alle Farc – Eln, M-19, Epl, Movimiento Armado Quintín Lamé – si nota infatti come proprio questo restasse, alla luce del montante “foquismo” guevarista, il limite imputato alla creatura di Marulanda: l’essere fondamentalmente rimasta, al di sotto della sua sovrastruttura ideologica, una forza essenzialmente rurale(in un paeser ormai all’80 per cento urbanizzato), capace di controllare ampi territori spopolati, ma di fatto priva d’una vera strategia per la conquista del potere. In tutta la sua vita “Tirofijo” non ha – per sua stessa ammissione – mai messo piede in una città. Né mai, probabilmente ha desiderato farlo. Nel 2000, quando, durante le trattative di pace del Caguán, s’era ventilata l’ipotesi di spostare i negoziati all’Avana, in territorio neutro, così Marulanda aveva risposto all’invito di Fidel Castro: “La ringrazio, ma io vado soltanto dove mi possono portare le mie gambe”. Tirofijo non andò all’Avana. E le trattative di pace non andarono da nessuna parte.

prossimo capitolo:

6 – Sequestri di persona e narcotraffico. La deriva criminale

Da tempo le Farc sono accusate di vivere di attività criminali, narcotraffico e sequestri di persona in particolare. Quanto c’è di vero in queste accuse?

Molto di vero. Le Farc – che, pure, fino alla fine degli anni ’70, proibivano la coltivazione di coca nei territori sotto il loro controllo – hanno sempre sostenuto che si limitano a far pagare una tassa ai contadini cocaleros ed ai trasportatori della droga. Ma ormai innumerevoli sono le prove di una loro diretta partecipazioni ai traffici, spesso controllando l’intero ciclo della coca (dalla produzione alla vendita). E del tutto dichiarato è, fin dagli anni ’60, l’uso del sequestro di persona a fini di finanziamento. Negli anni ’90, i sequestri di persona sono diventati, in Colombia una vera e propria epidemia nazionale e, di certo, l’attività criminale più detestata, perhé più capace – anche in un paese dove la violenza è un modo di vivere – di moltiplicare il senso di insicurezza che attanaglia l’uomo della strada. E non v’è dubbio che le Farc siano diventate – addirittura attraverso le’emissione di una loro legge, la 002 del 1999, conosciuta come “impuesto revolucionario” – una parte preminente, anzi, la parte preminente di questa macabra industria, per lo più praticata attraverso le cosiddette “pesche miracolose”.

Che cosa sono le “pesche miracolose”?

Sono posti di blocco del tutto casuali, ma seguiti da una meticolosa selezione del materiale umano intrappolato. Le prede vengono di norma suddivise in tre grandi categorie: quelle da tenere, quelle da vendere e quelle da “scartare”. Le prime sono, ovviamente, quelle che garantiscono un più alto valore di riscatto: persone passabilmente ricche (laddove per “ricchezza” s’intende qualche modesta proprietà) oppure politicamente “scambiabili” (spesso lavoratori di grandi imprese). I secondi (i cosiddetti “vendibili”) sono invece quelli che, nell’incertezza, è più opportuno passare, ad un tanto a persona, ad organizzazioni criminali minori. E quelli da scartare (il che significa rilasciare, o uccidere all’istante) sono, infine, i poveracci “non commerciabili”, qualcosa d’affine a quella che, in tempi meno cinicamente feroci, i guerriglieri amavano considerare la propria “base sociale”. Le pesche miracolose sono state una tragica normalità lungo tutti gli anni ’90. Ed hanno raggiunto il proprio zenith (con quasi 4.000 sequestri di persona) nel 2001, nel pieno delle trattative di pace del Caguán. Sono andate tuttavia diminuendo da quando, a fronte di una offensiva militare continuata, le Farc hanno cominciato a perdere il controllo del territorio (e, quindi, della capacità di bloccare a loro piacimento il traffico). Nel 2006, ultimo dato disponibile i sequestri di persona sono stati poco più di 200. Oggi le Farc hanno nelle proprie “prigioni” oltre 700 ostaggi scambiabili per denaro, più 42 “super-ostaggi” (tra i quali Ingrid Betancourt) usati come strumento di negoziato politico.

prossimo capitolo:

7 – Perché i colombiani detestano le Farc?

Una recente inchiesta Gallup, sostiene che il 95 per cento dei colombiani detesta le Farc. A che cosa si deve una tanto devastante impopolarità?

La storia della “Secuestros Inc.”, qui sopra sommariamente raccontata, già contiene una parte rilevante della risposta. Ma per meglio capire il fenomeno bisogna inquadrarlo nella vicenda delle trattative di pace del Caguán, consumatesi – con risultati a conti fatti disastrosi – tra il 1998 ed il 2002. Lo scorso marzo, quando milioni di colombiani sfilarono in tutte le città contro le Farc (in quella che fu unanimemente definita la più grande manifestazione di massa della storia del paese), 2Americhe così spiegò gli avvenimenti. E va da sé che, da allora, nulla è cambiato:

>>>Perché le Farc sono tanto impopolari? Anche qui è bene mettere subito da parte ogni scempiaggine (vedi ancora l’articolo di Latinoamerica) sui “poveri colombiani” ingannati dalla “martellante propaganda delle televisioni commerciali”. Perché il fatto ovvio per chiunque abbia occhi per vedere ed orecchie per sentire (e sia disposto a farne uso con un minimo d’onestà intellettuale) è che le Farc questa devastante impopolarità se la sono, in effetti, gloriosamente conquistata sul campo, senza bisogno di alcun aiuto esterno. Come? Attraverso i mezzi più semplici ed immediati. Vale a dire: usando a piene mani ed a pieni polmoni, spesso con ostentata crudeltà (vedi, a titolo d’esempio, questo articolo pubblicato dall’Unità nel 2002), mezzi di lotta, o meglio, mezzi di lucro, assolutamente infami. Su tutti: il sequestro di persona. Non solo quello (in qualche misura legittimo) “di guerra” (contro soldati e poliziotti), o politico (contro parlamentari e pubblici funzionari in genere), ma – in grande prevalenza statistica – quello per vil danaro, praticato in modo indiscriminato (vedi l’articolo Oltre Ingrid e questa bella inchiesta del settimanale Cambio) attraverso le cosiddette “pesche miracolose”. Il tutto per un reddito annuale molto vicino ai 200 milioni di dollari all’anno.

La verità – l’ovvia verità per chiunque abbia una qualche conoscenza della Colombia e non sia accecato dai propri pregiudizi politici – non sta nell’assioma secondo il quale Uribe ha, con la complicità di mezzi d’informazione asserviti, creato l’odio per le Farc, bensì nel fatto, storicamente verificabile, che, all’opposto, è stato l’odio per le Farc a creare Uribe. Ed a mantenerlo alla presidenza con un indice di gradimento calcolato, alla vigilia della marcia, ai suoi massimi storici: l’80 per cento. Nel 1998 il conservatore Andrés Pastrana aveva condotto la sua vittoriosa campagna presidenziale sulla base di una semplice promessa: l’avvio di un processo di pace – allora reclamato da un’ampia maggioranza della popolazione – con le Farc. Nel 2002 Álvaro Uribe ha vinto – rompendo con l’establishment liberale e spezzando la vecchia ed inamidata logica “bipartidista” che reggeva la Colombia dai tempi della Violencia – con una piattaforma diametralmente opposta. Perché? Elementare e tragica la risposta: perché nel mezzo c’è stata l’esperienza – un’occasione criminalmente perduta (e perduta, nel sentire comune, per quasi esclusiva responsabilità delle Farc) – del Caguán. Ovvero: i tre anni d’un negoziato di pace che, mai davvero cominciato, ha tuttavia regalato all’organizzazione guerrigliera tre anni di assoluto controllo su un’area (quella del Caguán, per l’appunto) grande come la Svizzera.

Va da sé che le ragioni ed i torti del fallimento dei negoziati pace (o del loro aborto in slow motion) non possono essere separate – di qui tutto il bene, di là tutto il male – con il coltello. Ma è un fatto che proprio il periodo del Caguán è stato, in Colombia, il periodo di maggior auge dei sequestri di persona. Ed è un fatto che, a torto o a ragione (più a ragione che a torto, in questo caso) la pubblica opinione (la stessa che aveva originalmente salutato con entusiasmo il processo di pace) ha finito per indissolubilmente collegare i due fenomeni. Vale a dire: è, del tutto legittimamente, giunta alla conclusione che le Farc abbiano usato il territorio loro concesso nel nome di una pace di cui neppure si è vista l’ombra come retroterra delle loro lucrose attività criminali <<<

Riassumendo: proprio al Caguán, dove – dopo la ritirata da Marquetalia – le Farc erano nate come strumento di libertà e giustizia, le Farc sono di fatto morte (morte come strumento di giustizia e di libertà) nella coscienza dei colombiani.

prossimo capitolo:

8 -Prima del Caguán: il massacro de la Unión Patriótica

Prima del Caguán, c’erano stati altri tentativi di raggiungere una soluzione negoziata del conflitto?

Sì. Sotto la presidenza del conservatore Belisario Betancur (1982-1986) e poi sotto quella del liberale Virgilio Barco (1986-1990), suo successore. Il processo raggiunse in parte i suoi obiettivi, con la smobilitazione del M-19 e del Epl. Ma sul versante delle Farc, le trattative, non solo fallirono, ma ebbero tragiche conseguenze. Tra i 3 ed i 4mila militanti della Unión Patriótica – il partito creato dalle Farc per preparare il proprio reinserimento nella vita civile e nei processi elettorali – vennero assassinati da formazioni paramilitari di destra, spesso in diretta connessione con apparati di Stato. Ed il risultato finale fu, di fatto, lo sterminio dell’ala politica della Farc e, per contro, nel rafforzamento della sua ala militare (mai del tutto convinta, a partire dallo stesso Marulanda, della validità dei negoziati). Il periodo tra il il 1985 ed il 1992 fu infatti – a dispetto del massacro della Unión Patriótica – un periodo di grande auge militare per le Farc che passarono da 25 a quasi 60 fronti. Di fatto, il processo di pace avviato da Betancur – durante il quale, giova ricordarlo furono assassinati anche tre candidati alla presidenza: Luís Carlos Galán, Carlos Pizarro e Jaime Pardo Leal – ottenne la smobilitazione di due formazioni guerrigliere. Ma all’atto pratico allontanò, anziché ravvicinare ogni prospettiva di pace.

Prossimo capitolo:

9 – Il dopo-Marulanda comincia (o finisce?) con Alfonso Cano. La pace è più vicina o più lontana?

Che cosa cambia nelle Farc con la morte di Tirofijo?

Nella sua tardiva orazione funebre, “Timochenko” ha confermato che, dopo la morte di Marulanda, nuovo capo dell’organizzazione è stato eletto, con voto unanime del segretariato, Alfonso Cano, al secolo Guillermo León Sáez, considerato il più politico tra i dirigenti ancora in vita. Cano, 59 anni, studi di antropologia mai conclusi è, contrariamente al “contadino” Pedro Antonio Marín, un intellettuale, anzi, un “ideologo”, o un “filosofo” come qualcuno lo chiama. Il che rende alquanto difficile ogni previsione in merito alla direzione del suo comando. Da un lato, infatti, la sua nomina indiscutibilmente rappresenta una messa in mora dell’ala militare della Farc, saldamente in mano di Jorge Briceño, detto “el Mono Jojoy”, da molti considerato la vera “mente criminale” delle Farc. Ma, dall’altro, tutta da verificare resta l’ipotesi che vede nella vittoria dell’ala politica, un passo verso possibili negoziati o, a più breve termine, verso quell’ accordo umanitario per l’interscambio di prigionieri al quale sono legati le sorti di Ingrid Betancout (il più celebre degli ostaggi ed anche l’unico che sembri in grado di dare rilevanza internazionale alla tragedia colombiana). Quello di Alfonso Cano è, infatti, un profilo a due facce. Da un lato l’uomo che, contrariamente al “Mono Jojoy” fa prevalere le ragioni della politica su quelle della guerra e del business criminale. Dall’altro, il rigido ideologo” capace, nel nome dei principi, di inalterabili chiusure e di gesti efferati (come la fucilazione, tre anni or sono, di 40 dei suoi uomini , da lui considerati non politicamente affidabili). Inoltre ancora bisogna capire in che misura Alfonso Cano riuscirà a tenere unita un’organizzazione oggi chiaramente percorsa da spinte centrifughe e da una battaglia per il controllo del potere e dei flussi di danaro derivanti dal narcotraffico.

Oggi è più vicina o più lontana la soluzione del conflitto armatori Colombia?

Né più vicina, né più lontana. MartedSubito dopo l’annuncio della morte di Marulanda.Prevedibilmente, nel primo dei suoi comunicati (vedi El Tiempo) dopo l’annuncio della morte di Marulanda, il nuovo segretariato delle Farc ha sottolineato come nulla cambi nella linea politico-militare dell’organizzazione. La guerra continua. E continuano i tentativi di arrivare ad uno scambio umanitario alle condizioni indipate (il “despeje” deei municipi di Florida e Pradera Ed il presidente Uribe è, dal canto suo (ed altrettanto prevedibilmente) tornato ad offrire impunità (con asilo politico in Francia) per tutti i membri della Farc che intendano disertare, regalando la libertà agli ostaggi ancora nelle loro mani. Il presidente colombiano ha anche ricordato ai “liberatori” come il governo già abbia messo da parte 100 milioni di dollari per garantire loro un’adeguata ricompensa per la restituzione di ostaggi in vita. Ma la speranza di risolvere il problema in questo modo – ovvero, attraverso la dissoluzione delle Farc per mezzo di diserzione – continua ad apparire quantomeno illusoria. Solo nei prossimi mesi si saprà che cosa, dopo la morte di Manuel Marulanda Vélez, è davvero cambiato nelle Farc e nella storia senza fine del conflitto colombiano.


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