L’argentino Juan Gelman, uno dei più grandi poeti latinoamericani dell’ultima generazione, è morto ieri all’età di 83 anni. O meglio, volendo riprendere quello che lui stesso ha spesso ripetuto parlando della sua morte: ha finito di vivere, evitando – cosa che non si può dire dei bellissimi versi che ci ha lasciato – il peso d’una insopportabile eternità. “Credo che Dio, se esiste, debba essere molto annoiato dalla sua esistenza senza morte” aveva detto Gelman in più occasioni. Ed aveva aggiunto in uno dei suoi più celebri versi: “…non si muore per morire…”. Gelman, costretto all’esilio negli anni della dittatura, non è stato, tuttavia, solo un poeta. È stato anche un militante della lotta per la libertà. Ed ha condotto una lunga battaglia per ritrovare la nipote Macarena che, nata in Uruguay – dove il figlio Marcello e sua moglie Maria Claudia, allora incinta, vennero torturati ed assassinati per ordine della Junta militare argentina – ha infine potuto ricongiungersi con la sua vera famiglia.
Lo ricordiamo con le sue stesse Parole. Quelle d’una delle sue ultime (e più belle) poesie:
Verdad es
Cada día
me acerco más a mi esqueleto.
Se está asomando con razón.
Lo metí en buenas y en feas sin preguntarle nada,
él siempre preguntándome, sin ver
cómo era la dicha o la desdicha,
sin quejarse, sin
distancias efímeras de mí.
Ahora que otea casi
el aire alrededor,
qué pensará la clavícula rota,
joya espléndida, rodillas
que arrastré sobre piedras
entre perdones falsos, etcétera.
Esqueleto saqueado, pronto
no estorbará tu vista ninguna veleidad.
Aguantarás el universo desnudo.
Juan Gelman
La Condesa DF
28 de octubre de 2013