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Maddoff, tre vite in carcere

30 giugno 2009

 

Di Massimo Cavallini

 

Gli hanno affibbiato una pena smisurata o, per meglio dire, smisuratamente più grande – 150 anni di carcere – del tempo che gli resta da vivere. E forse proprio questo il settantenne Bernie Madoff si aspettava: qualcosa di esorbitante ed eccezionale, oltre ogni immaginazione ed ogni limite, così come esorbitante ed eccezionale, oltre ogni immaginazione ed ogni limite era stata – volendo ripetere quel che le cronache ed i commenti vanno in continuazione rammentandoci – la truffa da lui perpetrata: almeno 60 miliardi di dollari – più del prodotto interno lordo di tutti i paesi dell’America Centrale messi assieme – sottratti, direttamente o indirettamente, a migliaia di persone che, il giorno del suo arresto, l’11 dicembre del 2008, di repente si scoprirono molto meno ricche (o molto più povere) di quel che pensavano d’essere.

La giustizia americana, non v’è dubbio, ha in questo caso agito con straordinaria rapidità e con esemplare severità. In sei mesi ha arrestato il reo, lo ha processato e lo ha condannato ad una pena che, nelle sue simboliche e straripanti dimensioni, rende nota al mondo – ed in particolare alle vittime del reato, in buon numero raccoltesi nell’aula e davanti al tribunale – una semplice, inflessibile verità: per il male che ha fatto, quest’uomo mai più tornerà, per dirla con Dante, a riveder le stelle. Ma quanto davvero esorbitante, e quanto davvero eccezionale, oltre ogni immaginazione ed ogni limite, è stata (ed è) – in questo smodato accumularsi di clamorose cifre – la vicenda di Bernard Lawrence Madoff?

Molto meno – e al tempo stesso molto di più – di quanto si possa a prima vista pensare. Molto più eccezionale perché, in effetti , nessuno – e non solo per le dimensioni dell’imbroglio – era, nella storia della criminalità finanziaria, riuscito a fare, prima di Madoff, quel che ha fatto Madoff. Nessuno, neppure quel Charles Ponzi che, nei ruggenti anni ’20, aveva inventato lo “schema” (il “Ponzi scheme”, per l’appunto, o lo schema a piramide) al quale si sono poi ispirati lo stesso Madoff e centinaia di altri truffatori. In che cosa consiste il “Ponzi scheme”? In sostanza in questo:  nell’attirare, con la promessa di ritorni eccezionalmente alti,  investimenti che, in realtà, sono coperti soltanto da se stessi. La “piramide” regge fino a quando il danaro continua ad arrivare, e crolla, senza nulla lasciare, non appena il danaro comincia ad uscire. Nel caso di Charles Ponzi  (che venne condannato a cinque anni di carcere e venne poi deportato in Italia, nel 1934, per morire in povertà a Rio de Janeiro), i danari cominciarono ad uscire dopo il crack del 1929. Nel caso di Madoff – corsi e ricorsi della storia – con l’esplodere della crisi finanziaria che ancora stiamo vivendo. Ma a rendere straordinaria e diversa – per proporzioni e per qualità – quest’ultima vicenda c’è, in realtà, un fatto inedito e, di primo acchito, “incredibile”: di norma basato, per dirla brutalmente, sulla credulità di persone prive di una vera cultura finanziaria, il “Ponzi scheme” architettato da Madoff cambiava completamente spartito. Vale a dire: manteneva, sì,  la struttura della truffa, ma ne alterava, in realtà, la natura ed i destinatari,per la prima volta rivolgendosi – o meglio, coinvolgendoli e conquistandoli -, ai più grandi e sofisticati conoscitori del sistema, a quei “master of universe” di Wall Street che, maneggiando con circense destrezza la cosiddetta “securitization” del debito (quello, soprattutto, derivante dal boom immobiliare), avevano, agli albori del XXI secolo, rivoluzionato la struttura del credito.

Bernard Madoff – cosa, anche questa, a suo modo eccezionale – conduceva una vita molto modesta, quasi spartana se paragonata agli eccessi ed alle ostentazioni della “nuova ricchezza” della bonanza finanziaria. E quasi mai – raccontano le cronache – andava a cercarsi i clienti. Erano questo ultimi – tutti, per l’appunto, “masters of universe” – che, molto poco evangelicamente, andavano a lui, ossequiosamente visitandolo nel Palm Beach Country Club dove, sotto il sole della Florida,tra palme e campi da golf, passava buona parte delle sue giornate. E furono in effetti loro, i suoi clienti – tutti qualificatissimi “fund managers” – coloro i quali, come gli antichi monatti, diffusero poi l’epidemia tra gli ignari cittadini che, nella speranza di una vecchiaia senza patemi, o nella convinzione di poter raccogliere qualche briciola del grande banchetto che si andava consumando a Wall Street e negli altri santuari dell’alta finanza, cercavano convenienti destinazioni per i propri risparmi.

Quello che Bernie Madoff – o meglio: l’ergastolano settantenne Bernard Lawrence Madoff – ha messo in campo in questi anni non è stato soltanto un “Ponzi scheme”. È stato piuttosto – come Barton Biggs, anche lui un “fund manager”, ha candidamente ammesso in u’intervista su Newsweek – il primo “affinity Ponzi scheme” della storia, il primo schema a piramide consumatosi non “per contrasto” (il furbo finanziere che inganna gli sprovveduti), ma per affinità. Ovvero: attraverso il finanziere che inganna il finanziere. E che lo inganna perché l’inganno è, a sua volta, diventato la sostanza dell’interscambio finanziario.

In questo senso il caso Madoff – conclusosi lunedì scorso con una “esemplare”, stratosferica punizione – non solo non ha avuto nulla di davvero “eccezionale”, ma è stato il riflesso (o, se si preferisce, l’accecante bagliore) d’una diffusa normalità, una prova della “ponzificazione” della finanza e, in qualche misura, di tutto il sistema economico americano. Lo scorso febbraio, appena  un paio di mesi dopo la caduta di Madoff e della sua piramide, la “Survey of Consumer Finance”, un rapporto triennale sullo stato della finanza e del consumo americano o, più concretamente, sulla solidità del patrimonio delle famiglie americane, faceva implacabilmente notare come, dal 2000 ad oggi non vi sia stata alcuna creazione di ricchezza. E come, anzi, se aggiustata all’inflazione, la quantità di danaro disponibile per ciascun nucleo famigliare sia leggermente diminuito.

In tutta la sua follia ed in tutta la sua “eccezionalità”, la vicenda di Bernie Madoff non è in fondo che questo: il punto d’arrivo di un’illusione collettiva, la punta di’iceberg del dramma di un paese e di un sistema (quello, per semplificare, del capitalismo) che si credeva più ricco e che, invece, era soltanto più indebitato. Lunedì molti di questi “nuovi poveri” hanno applaudito la sentenza e sono tornati a maledire l’uomo che la giustizia ha condannato a morire dietro le sbarre. Lo hanno fatto in molti. Con tutta la rabbia delle vittime che, in fondo, sanno di non essere troppo diverse dal loro carnefice.

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