2 marzo 2010
di Gabriella Saba
Ai cileni, occorrono pochi secondi per riconoscere una semplice scossa da un terremoto: la differenza la fanno gli oggetti che cominciano a cadere con forza, e la violenza con cui la stanza ti si muove intorno. A chi scrive ce ne sono voluti altri dieci per infilarsi il primo indumento a portata di mano e guadagnare le scale di emergenza, cercando di non cadere tra gli scalini che oscillavano, i calcinacci che le cadevano intorno e il getto d’acqua che all’improvviso scaturiva da un tubo rotto.
Nella hall (il palazzo e moderno e antisismico), c’era gente in lacrime e signori in vestaglia con le facce terree, ma nessuno che avesse voglia di fare uno straccio di battuta. Un responsabile della sicurezza smistava preoccupatissimo le persone, qualcuno che non si e identificato ci ha chiesto di “andare oltre il fiume”, a trecento metri circa dal palazzo, per evitare di venire feriti nel caso cadessero calcinacci dal cielo, o pezzi di cornicione. Nessuno gli ha dato retta. Siamo rimasti un po’ dentro e un po’ fuori, schiattando di freddo perche nel frattempo la temperatura era scesa a livelli invernali e nesuno di noi si era portato dietro qualcosa di decente per coprirsi.
Una radio piuttosto disturbata trasmetteva in tempo reale le notizie sul “sismo”. Pochi palazzi, dall’altra parte della strada, smettevano lentamente di ondeggiare, e dopo poco quell’angolo di paesaggio urbano nel moderno quertiere di Providencia aveva perso ogni epica per riprendere il suo aspetto vagamente banale. Per modo di dire pero. Perche il terremoto, che ha svegliato il Cile stamattina alle 3,35, buttando giu dal letto anche i piu coraggiosi, e stato il piu forte degli ultimi trent’anni (8,5 gradi della scala Richter nell’epicetro, un punto nel mare a 90 chilometri da Concepcion, sette gradi a Santiago) e, per dirla con gli analisti, una catastrofe le cui conseguenze sono per ora incalcolabili. Due minuti (tanto e durato il terremoto), non sono nulla in assoluto, ma sono molti per un “sismo” e un tempo eterno per chi ci si trova in mezzo. La verita, e non e retorica, e che in quei due minuti pensi di morire. C’e chi retiene che ci siano piu chance di restare uccisi se ci si butta per strada (oggetti che cadono dai cornicioni, e cosi via), ma e difficile decidere di restare incassati tra quattro pareti che rollano anziche correre fuori.
In ogni caso, in quel brevissimo lasso di tempo sono successe parecchie cose: per esempio l’elettricita e saltata, i cellulari hanno smesso di funzionare e i telefoni pure. L’aeroporto e stato chiuso per almeno 24 ore (si sa da poche ore che saranno probabilmente settanta), le infrastrutture sono state danneggiate soprattutto nella zona di Concepción e in quella del Maule. Strade importanti rovinate. Molte case distrutte o divelte, soprattutto quelle rurali che non godono dei privilegi degli edifici antisismici, relativamente sicuri.
Ci siamo accampati nel grande spazio della recepcion, accanto al portone d’ingresso, per fuggire in fretta nel caso di repliche. Alcuni hanno avuto la presenza di spirito di preparare una sorta di rudimentale kit di sopravvivenza: una bottiglia d’acqua e una torcia. Qualcuno ha preparato zainetti e valigie. Nessuno parlava. La maggior parte guardava con aria persa un punto vago davanti a se. Una signora con la faccia arcigna e una benda su un occhio non smetteva di piagnucolare mentre la figlia continuava a ripeterle, anche lei con tono invariato: “E piantala, mami”. Quando ha cominciato ad albeggiare, qualcuno si e deciso a dormire. Per inciso, le repliche ci sono state. Piu leggere della prima scossa (tra i cinque e i sei gradi), ma abbastanza forti da scuotere i nervi ormai sfiniti di molti d noi.
E’ una tranquilla giornata di mezza estate quella che accoglie, stamane, Santiago. Un sabato qualunque con poca gente in giro e l’atmosfera fome (noiosa) dei fine settimana in Cile, l’unica differenza sono i mucchi di vetro, i resti di calcinacci sui marciapedi che operatori molto solerti si sforzano di far sparire. Non c’e uno straccio di negozio aperto, le saracinesce di alcuni edifici sono divelte, grappoli di fili elettrici pendono dai muri di qualche palazzo. Pochi signori di mezza eta si aggirano come zombi. Quelli che stanno in gruppo gesticolano molto e parlano: del terremoto. “Ti sei spaventato?”. “Mai tanto nella mia vita”, e l’inevitabile leit motiv.
Non e cambiata troppo la fisonomía di Santiago a poche ore del terremoto, ma troppi dettagli mostrano i segni di una citta ferita, non solo psicologicamente: per esempio il “sismo” ha rotto la cupola della chiesa della Divina Providencia, una chiesa símbolo del quartiere di Providencia, che adesso pende floscia a triste come una testa staccata.
Da qualche ora si e comiciato a parlare di morti: 147 al momento attuale. Solo tre a Santiago, ma sembra siano morti di infarto.
“E’ stata una catastrofe, il Cile e un Paese di catastrofi”, ha dichiarato Sebastián Piñera. il nuovo presidente il cui insediamento e previsto per il prossimo dieci marzo. “Ma questo di stamattina e il terremoto piu grave degli ultimi trent’anni”. Indossa una camicia bianca e ha un’espressione accorata. Parla alla stampa dopo avere incontrato il ministro dell’Interno del governo Bachelet, Edmundo Pérez Yoma, il “suo” ministro dell’interno, il 43enne Rodirgo Hinzpeter, e la direttrice della Onemi, la Oficina Nacional de Emergencias. “Ci sono state perdite rilevanti nelle infrastrutture e nelle case, a partire dalla chiusura dell’aeroporto”.
I danni, ancora non si sa a quanto ammontino, ma basta fare un giro per Santiago per capire chi sara, alla fine, a pagare il conto. Se infatti i palazzi del Barrio Alto, le zone bene, sono antisismici e sono rimaste sostanzialmente indenni, le case del centro storico, piu antiche e popolari, hanno subito ben altri danni. Nelle strade intorno all’Alameda, la lunghissima strada centrale che taglia in due Santiago, il panorama dei calcinacci ammassati per strada e diventato, da stamattina, un elemento frequente del paesaggio urbano. Stradine antiche come Nataniel e San Diego sono oggi, in parte, una sfilata di detriti, una scorata rassegna di facciate distrutte, di mucchi informi di mattoni e polvere, di grandi buchi che deturpano la sincronia delle facciate, dotate di solito di una loro vivace dignita architettonica, e adesso ridotte a relitti. Un vero peccato, perche erano la parte piu colorata e autentica della citta, che per il resto sembra in gran parte una Miami in versione scialbissima. In ogni caso, sono state le casette in fango e paglia delle zone rurali le piu danneggiate: molte, semplicente, sono crollate e gli abitanti sono a spasso.
Davanti a una saracinesca sbarrata in una strada del centro, un ottuagenario dai capelli candidi sembra reduce da una crisi di nervi e ha probabilmente molta voglia di sfogarsi. “Mi e caduto il tetto in testa”, si lamenta. “ E adesso ho troppa paura per ritornare a casa”. Gli chiedo se il terremoto di ieri sia stato peggio di quello, ascritto nella memoria peggiore dei cileni, dell’85. “Molto peggio, questo di ieri e stato molto piu forte, ma almeno, qui, ero solo. In quell’altro, mi era morta la moglie”.
Nemmeno chi scrive ha una gran voglia di tornare a casa. Nelle scale del suo palazzo antisismico, pezzi di calcinacci disseminati sui gradini fanno pensare drammaticamente a una sorta di fine dell’innocenza. Quella in cui i terremoti sono una di quelle cose che capitano nei film.