Molto semplice la ragione: il comunismo – ovvero: la luce oltre l’orizzonte, il punto nel quale la rivoluzione socialista conclude, con l’estinzione dello Stato, la sua marcia verso la creazione d’una società di uomini liberi ed uguali (liberi perché uguali ed uguali al punto di potersi autogovernare) – scompare dall’Anteproyecto de Nueva Costitución che nei mesi scorsi è stata elaborata da una commissione presieduta dal generale Raúl Castro. E che, come informa il Granma, già era passata al vaglio del Buró Politico del Partito Comunista, prima della più che scontata approvazione della AN.
Seicentocinque deputati, 605 mani sollevate. Muore così la vecchia Costituzione scritta nel 1976 (e molto marginalmente emendata nel 1992 e nel 2002) ed una nuova prende vita. Se di nuova e di vita è lecito parlare nel caso d’una Carta Magna che è stata espressamente elaborata nel nome della più assoluta ed appiattita continuità. Solo tre mesi fa, nell’assumere l’incarico di presidente del Consejo de Estato y de Ministros, Miguel Díaz-Canel – il molto sbadito “hombre nuevo” che, ad aprile, ha rimpiazzato l’87enne Raúl alla testa del governo – era stato chiarissimo. Tutte le decisioni che contano, aveva detto, continueranno ad esser prese, “con la stessa fermezza, serenità, maturità, affidabilità e coerenza rivoluzionaria”, dall’uomo che aveva appena sostituto. E, a sua volta, il medesimo Raúl era tornato a ribadire il concetto col quale, cinque anni prima, aveva aperto le porte ad una più ampia partecipazione dell’impresa privata (il cosiddetto cuentapropismo). Nel socialismo, ha sottolineato, non esistono riforme. Esistono, al massimo, perfezionamenti o aggiornamenti.
E così è stato. Elaborata con fermezza, serenità, maturità e coerenza rivoluzionaria sotto la guida di Raúl, la nuova Costituzione non cambia nulla di davvero sostanziale. Il socialismo cubano – quello che, per l’appunto, può solo aggiornarsi o perfezionarsi – resta irreversibile. E mantiene, comunismo a parte, tutti i suoi presupposti storico-ideologci – il pensiero di “Marx, Engels e Lenin, così come si è ossificato, decenni or sono, nell’esperienza sovietica – filtrati dalle idee di José Martí (che un socialista, peraltro, non è mai stato) e di Fidel Castro che socialista è diventato in corso d’opera, soprattutto (questo sostengono i suoi più accaniti detrattori, banalizzando un processo ben più complesso) al fine di consolidare il suo potere assoluto. Il tutto nel quadro compiutamente totalitario d’un sistema istituzionale reso di fatto irrilevante dalla perdurante immanenza – confermata dalla nuova Costituzione – d’un Partito Comunista che, a tutti gli effetti, resta, non solo l’unico partito, ma anche la avanguardia organizzata della nazione e la Forza dirigente superiore della società e dello Stato.
La nuova Carta Magna, ovviamente, non è soltanto la fotocopia della vecchia.
1. Reintroduce la carica di primo ministro (la stessa carica che, a copertura del più assoluto dei poteri, Fidel Castro occupò tra il 1960 ed il 1976) di nuovo separata da quella della presidenza.
2. Riconosce per la prima volta diversi tipi di proprietà (la “socialista di tutto il popolo”, la mista e la privata), istituzionalizzando una realtà già da tempo esistente.
3. Infine, di fatto legalizza il matrimonio – che ora non è più la “unione tra un uomo e una donna”, ma semplicemente una “unione tra due persone” – di cittadini del medesimo sesso. Un bel passo in avanti per un regime che, in tempi non poi tanto lontani, gli omosessuali li mandava in campo di concentramento. Ma anche, paradossalmente, la conferma della natura “monarchica” del socialismo cubano. I diritti LGTB si sono infatti affermati a Cuba – molto più che in altri e molto più liberali panorami – per volontà d’una “principessa”.
Vale a dire: per le pressioni della sessuologa Mariela Castro, figlia di re Raúl e di Vilma Espín. È grazie a lei ed alla forza del suo sangue blu che oggi (come ieri e come domani) a Cuba si finisce in carcere se si parla male del governo, ma è possibile cambiar sesso a spese dello Stato.
Al di là di questo, Cuba resta quella che era: un regime totalitario nel quale il potere è saldamente, anzi, più che mai, nelle mani di due non elettive entità, il Partito Comunista e le Forze Armate, grazie anche ad un nuovo e molto fosco Consejo de Defensa Nacional – alla cui testa molti credono verrà nominato il colonnello Alejandro Castro Espín, figlio di Raúl – destinato a “dirigere la Nazione” nell’eventualità di “situazioni eccezionali” e di “disastri”.
Morale della storia? Con la nuova Costituzione, Cuba sancisce infine – seppellendo un corpo da decenni imbalsamato – la morte dell’utopia. Si spegne, oltre la linea dell’orizzonte, la luce del sol dell’avvenire. Rimane, con tutte le sue tenebre, la realtà d’una dittatura. Non è, davvero, il caso d’applaudire.