Gabriella Saba racconta per 2Americhe la vita e i miracoli (miracoli soprattutto di moltiplicazione della sua ricchezza e di occultamento dei suoi guai giudiziari) di Horacio Cartes, nuovo presidente del Paraguay. Nuovo e vecchissimo, visto che con lui torna al potere quel Partido Colorado (di stroesseriana memoria) che ha governato il paese per quasi mezzo secolo…
Non fosse stato il presidente della Libertad football club, la squadra di calcio che ha vinto lo scorso campionato, è probabile che il cinquantaseienne Horacio Cartes non ce l’avrebbe fatta a conquistare la presidenza del suo Paese. O almeno non con uno con uno scarto di nove punti rispetto al suo avversario: il carismatico Efraín Alegre del Partito Liberale, un veterano della politica che a 45 anni ha avuto il tempo (prima come deputato e poi come senatore, eletto con un consenso altissimo e infine come ministro delle Opere Pubbliche) di entusiasmare gli elettori, di deluderli e ancora di affascinarli (non tanto però da vincere le elezioni, in cui ha racimolato un dignitoso ma insufficiente 36,9 per cento).
[quote float=”left”]“Sarò il presidente di tutti i paraguayani e insieme a voi trasformerò questo Paese in un luogo migliore, debellerò la povertà a porterò il Paraguay su un altro cammino”[/quote] Cartes è invece politicamente nuovo, al punto che fino al 2009 fa non aveva mai votato. Proprietario di una ventina tra banche, case di cambio e industrie del tabacco e bevande gassate, è uno degli uomini più ricchi del Paraguay e ha celebrato la vittoria con frasi di circostanza, un drappo intorno al collo con i colori nazionali e la promessa di rito: “Sarò il presidente di tutti i paraguayani e insieme a voi trasformerò questo Paese in un luogo migliore, debellerò la povertà a porterò il Paraguay su un altro cammino”. Per inciso, il partito per cui correva il neofita Cartes è il Partido Colorado, un monolite dalle molte sfaccettature (ma sostanzialmente populista e conservatore) che ha accompagnato il Paraguay per più di quarant’anni, compresa la parentesi nefasta del dittatore Alfredo Stroessner e che soltanto l’elezione dell’ex presidente-vescovo di sinistra Fernando Lugo, nel 2008, aveva scalzato dal potere. Destituito con impeachment un anno fa, con il pretesto della dura repressione di una rivolta di campesinos, Lugo era stato rimpiazzato ad interim dal suo vice Franco, scatenando le reazioni dei vicini sudamericani che avevano sospeso il Paese dal Mercosur.
Proprio il tentativo (il cui esito è dato per scontato) di essere riammesso in quell’organismo sarà una delle prime mosse di Cartes, la cui elezione, perfettamente costituzionale, ha riportato il Paraguay nei limiti formali della legalità. Tant’è che il presidente dell’Uruguay Pepe Mujica che presiede quest’anno il Mercosur ha già invitato il neopresidente a partecipare alla riunione annuale di quell’organismo, il prossimo giugno.
Non che la linea di Cartes sia in sintonia con quella della maggior parte dei capi di Stato del Subcontinente. Ferocemente anti-comunista, l’attuale presidente ha spiegato in più occasioni di essere sceso in politica isprato dal disgusto per il cammino di sinistra e filo-chavista che aveva imboccato il governo Lugo, ma le ricette che propone sono vaghe e incerte. Vinceremo la povertà, tuona (da sempre uno dei problemi più gravi del Paraguay), ma non è dato capire come. Le sue posizioni riguardo ai diritti civili sono conservatrici, basti dire che ha dichiarato in più occasioni che i matrimoni gay non solo sono inaccettabili, ma preluderebbero alla fine del mondo. Tra i suoi consiglieri c’è Francisco Cuadra, già uomo del regime di Augusto Pinochet in Cile.
Più grave delle sue idee è però la sua storia personale, macchiata da sospetti di narcotraffico e lavaggio di dena[quote float=”right”]Benché abbia sempre negato le accuse, i rapporti della Dea che lo riguardano, intercettati da Wikileaks, sono su tutti i media latinoamericani e sembrerebbero lasciare poco margine al dubbio. N[/quote] ro sporco. Benché abbia sempre negato le accuse, i rapporti della Dea che lo riguardano, intercettati da Wikileaks, sono su tutti i media latinoamericani e sembrerebbero lasciare poco margine al dubbio. Non sono io quell’Horacio Cartes, sì è difeso lui, benché le doviziose informazioni dei rapporti parlino proprio di un Horacio Cartes proprietario del Banco Amambay, indicata come centralina per il riciclaggio dei soldi della droga. Tant’è che, nel documento, Horacio Cartes è uno degli obiettivi da indagare e viene classificato come Cpot, che sta per Consolidated Priority Organization Target, termine con cui la Dea definisce gli obiettivi prioritari nel traffico di droga: per l’esattezza, l’attuale presidente veniva indagato come capo di una importante organizzazione di riciclaggio del proveniente dal narcotraffico e dall’importazione in Usa di sigarette di contrabbando, con base nella Triplice Frontiera tra Brasile, Argentina e Paraguay.
Ed è con l’obiettivo di studiare un piano per smantellarla che alcuni membri di sette agenzie di nordamericane (tra cui agenti della Dea ad Asuncion, Buenos Aires e Lima), si sarebbero riuniti in un lussuoso resort a Panama City, dal 6 al 9 dicembre del 2009, insieme ai titolari di aziende come la British American Tobacco e Philip Morris degli Stati Uniti.
La prima mossa consisteva nell’incaricare un agente coperto di avvicinare il lobbista di Cartes a Washington William Cloherty, direttore dell’azienda di tabacco dell’attuale presidente. La seconda nel metterne un altro sulle tracce di quest’ultimo, che peraltro nel 1988 si era fatto un anno di prigione per truffa, condanna poi cancellata. I risultati delle indagini sono, al 2010, nero su bianco in quei documenti in cui si legge che Cartes, oltre a essersi macchiato dei reati precedenti, potrebbe essere colluso con il cartello messicano di Sinaloa. Da quella data non si sa più niente, e il Dipartimento degli Esteri americano non ha fornito per il momento informazioni al proposito.
Cambio di scena: Cartes che piange commosso sulla sua vittoria, in mezzo a uno sventolio di bandiere e a una folla esultante. Le indagini sono (spiritualmente) lontane e un futuro radioso sembra aspettare il Paraguay, o almeno è quello che sembra promettere il sorriso smagliante del nuovo presidente che brilla tra le lacrime.