Considerata un tempo il più disperato dei disperati casi di economie allo sbando, la Bolivia di Evo Morales è oggi (FMI dixit) un’isola di serenità nel cuore delle tempeste che vanno – con gravità variabile, ma in modo piuttosto uniforme – attraversando i cosiddetti paesi emergenti. Mentre l’Argentina del “modelo” kirchnerista sprofonda nella crisi, il Brasile entra in recessione ed il Venezuela del defunto Hugo Chávez – che, pure, Morales mai ha cessato di considerare un maestro e una guida – si dibatte sull’orlo d’un abisso marcato dai più alti tassi di inflazione del mondo, la Bolivia naviga ben più tranquille e promettenti acque. Merito d’una gestione economica che, per la sua moderazione e per la sua responsabilità fiscale, si è meritata gli elogi di tutti i templi della finanza internazionale. Com’è accaduto che economie guidate da governi che, come Venezuela, Argentina e Bolivia, compartono, con analogo linguaggio, molto simili filosofie politiche abbiano potuto ottenere, sul piano economico, tanto divergenti risultati? Ecco come lo spiega, sul New York Times, il corrispondente dall’America Latina William Neuman.
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