Violando tutte le leggi internazionali – ed anche quelle della decenza e del buon senso – quattro paesi europei (Italia, Portogallo, Francia e Spagna) hanno inopinatamente chiuso (metaforicamente parlando) il proprio spazio areo in faccia al jet presidenziale boliviano, costringendolo ad un atterraggio d’emergenza a Vienna e trasformando in una sorta di grottesca odissea il viaggio di ritorno a La Paz di Evo Morales, reduce da un vertice di tutti i paesi produttori di gas naturale tenutosi a Mosca. Ragione del provvedimento (se di ragione è lecito parlare in questo caso): il sospetto – alimentato da alcune dichiarazioni dello stesso Morales, ma alla prova dei fatti rivelatosi del tutto infondato – che sull’aereo di Morale stesse viaggiando anche Edward Snowden, l’ex contrattista della Cia ricercato dagli Stati Uniti per le rivelazioni su caso “Prism”. Ovvero: sul sistema di intercettazioni (ancora non si sa quanto legali) organizzato (almeno in teorie con scopi antiterroristici) dalla NSA (National Security Agency) all’interno ed all’esterno degli Stati Uniti d’America.
Ovvio e del tutto giustificato l’oltraggio, non solo di Morales e della Bolivia, ma quello di tutti i paesi latinoamericani, i cui presidenti sono stati immediatamente convocati dall’Unasur, al fine di condannare l’aggressione a Morales e per definire contromosse diplomatiche, ad una riunione d’emergenza in quel di Cochabamba.
La chiusura dello spazio area sanzionata da Italia, Francia, Portogallo e Spagna – del tutto illegale anche nel caso Snowden fosse davvero stato a bordo del jet boliviano – ha prevedibilmente ravvivato polemiche sul “servilismo” filo-statunitense (o “filo-imperialista”) della politica degli stati interessati (anche se gli USA hanno negato di aver esercitato pressioni di sorta sui governi protagonisti di questa triste storia) e sul permanere nella “vecchia Europa” (vecchia nel peggior senso della parola, come ha sottolineato Cristina Fernández de Kirchner, “presidenta” dell’Argentina) d’una deplorevole “mentalità coloniale”. Ed il ministro degli esteri boliviano, David Choquehuanca, non ha mancato di definire “razzista” la decisione di trattare il presidente Morales (notoriamente di origine aymara) come fosse un criminale nella lista dell’Interpol.
Per Evo Morales si è trattato, comunque, d’una storia a lieti, anzi, a lietissimo fine. Al suo arrivo a La Paz, nella serata di giovedì, (vedi video) è stato accolto come un eroe nazionale reduce (vittorioso) da una decisiva battaglia contro un poderoso nemico. Governo schierato al completo, banda militare, inno nazionale, corone di fiori e pioggia di coriandoli colorati. Ci fosse stato, a La paz, un arco di trionfo, Evo – non v’è dubbio alcuno – lo avrebbe attraversato in sella ad un cavallo bianco….