Dopo quattro giorni d’assordante silenzio – tanti quanti, venerdì scorso, erano trascorsi dalla batosta della prima ronda delle presidenziali Cristina Fernández de Kirchner ha infine parlato. E l’ha fatto da consumata primadonna, con eloquenza e passione, rivolgendosi in splendido soliloquio dalla balconata del gran patio de las palmeras della Casa Rosada alla solita, osannante folla di fedelissimi. Tre ore di discorso – come sempre scandite da slogan, grida, canti e scene di fanatismo – nel corso delle quali Cristina si è esibita in una a suo modo straordinaria impresa: quella di chiedere agli argentini un voto per Daniel Osvaldo Scioli al ballottaggio (il primo nella storia del Paese) che il prossimo 22 novembre lo vedrà contrapposto a Mauricio Macri. Il tutto molto accuratamente evitando di pronunciare, foss’anche una sola volta, il nome del ‘suo’ candidato.
Non s’è trattato, ovviamente, d’una amnesia, così come non era stato per una svista di protocollo che l’ormai ex governatore della provincia di Buenos Aires non era stato invitato a una cerimonia apparentemente convocata proprio per lanciare la sua corsa verso il ballottaggio. L’assenza di Scioli – assenza fisica e nominale – serviva, al contrario, a rafforzare un essenziale concetto da Cristina più volte reiterato, non solo in questo suo ultimo discorso, ma lungo tutta la campagna elettorale che ha portato al (per lei e per il peronismo tutto alquanto negativo) voto di domenica scorsa. Quello per cui si vota, pro o contro – ha ribadito una volta di più la ‘presidenta’ – non è una persona, ma ‘un progetto’. O, più specificamente, un ‘modello’, anzi, ‘el modelo’, come Cristina Fernández e tutti i ‘kirchneristi’ usano definire la politica economica della ‘nuova Argentina’ che – a partire dal 2003, anno fatidico della sua elezione a presidente – Néstor Kirchner (o più semplicemente da ‘EL’, come vuole la liturgia) ha edificato sulle macerie del ‘neoliberalismo’.
In sostanza: i casi della vita – vale a dire: il fatto che il presidente in carica non può, per la Costituzione, essere rieletto – vogliono che a rappresentare ‘el modelo’, ci sia oggi Daniel Scioli, un candidato ‘impuro’ che Cristina ha scelto con riluttanza e che non hai poi esitato pubblicamente a umiliare, accompagnata dal coro degli intellettuali di corte, nel corso di tutta la campagna elettorale. Ma al suo posto potrebbe benissimo esserci un palo della luce. O, meglio ancora, un cappello, una borsetta, uno di quegli oggetti che, di norma, s’usano nei teatri o nelle sale d’aspetto per segnalare il fatto che una poltrona è occupata. Oggi su quella poltrona c’è Scioli, ovvero, la borsetta (e nemmeno una delle sue migliori) che Cristina ha lasciato in loco in attesa che, tra quattro anni, qualche più puro guardiano de ‘el modelo’ (lei stessa, probabilmente) possa più degnamente posarsi su quello scranno.
Ovvia domanda: può una ‘borsetta’ vincere il ballottaggio di domenica 22? I primi sondaggi che concedono al suo rivale, Mauricio Macri, un vantaggio intorno ai dieci punti, ci raccontano quanto l’impresa sia, a questo punto, problematica. E problematica proprio per quello che la borsetta rappresenta. Nel suo discorso Cristina – accompagnata dall’eco del ‘kirchnerismo’ tutto – ha prevedibilmente dipinto il voto del prossimo 22 novembre come uno scontro tra il bene ed il male assoluti. Da un lato la sovranità e i diritti conquistati nel corso della cosiddetta ‘decada ganada’; e dall’altro il ritorno alle tenebre del passato…
Questo è quello che il kirchnerismo ama definire ‘el relato’, il racconto, la narrazione della propria storia luminosa, vissuta come il mitico punto d’arrivo di tutte le più nobili aspirazioni del popolo argentino. Questo è quello che Cristina, quattro giorni dopo il disastro elettorale, è tornata a raccontare. E questo è anche quello che, di fatto, ha consentito a Macri di sfondare verso l’alto lo ‘zoccolo duro’ (un 25-30 per cento dei voti) del suo elettorato conservatore.
Il ‘relato’ kirchnerista è sempre stato, in massima parte, un romanzo epico-fantastico, propaganda vergata cavalcando l’onda d’una congiuntura economica straordinariamente favorevole, una ‘decada’ di alti prezzi delle materie prime la cui bonanza è stata, nella sostanza, sperperata con politiche di crescita essenzialmente basate su un incremento dei consumi guidato da una molto poco trasparente espansione della spesa pubblica. E proprio questo la gelida realtà dei numeri elettorali ha, in effetti, rivelato domenica 25 ottobre. Che una significativa maggioranza degli argentini non crede più in un ‘modelo’ la cui precarietà è da tempo, a dispetto della retorica ‘epocale’ di cui s’ammanta, sotto gli occhi di tutti. E che ne ha le tasche piene, questa maggioranza, d’un ‘relato’ sotto la cui eroica superfice si nascondono una corruzione diffusa (con il pesce che proverbialmente puzza dalla testa), una scandalosa ‘occupazione dello Stato’ (la definizione è di Pepe Mujica, ex presidente uruguayano), la sistematica falsificazione dei dati economici ed il prepotente riemergere d’una malattia cronica del peronismo: il culto della personalità.
Il grande paradosso del prossimo ballottaggio, sta proprio in questo. Domenica scorsa gli argentini hanno inequivocabilmente votato, non contro le tenebre del passato (che pure esistono e che, almeno in parte, davvero si riflettono nella figura di Mauricio Macri), ma contro il presente, contro la continuità. Ed è da questo presente che la ‘borsetta’ di Cristina, Daniel Scioli, deve ora in qualche modo liberarsi per vincere. Ce la farà? Molti lo dubitano. E non pochi cominciano a pensare che proprio questo – che non ce la faccia – sia quello che, in realtà, Cristina desidera. Perché? Fondamentalmente perché quello che ‘el modelo’ lascia al nuovo presidente sono oggi, al di là delle facezie del ‘relato’, soprattutto conti da pagare. Che li paghi Macri e poi, tra quattro anni, si vedrà…Un calcolo molto rischioso. Vedremo perché.