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Fidel come nuovo offresi, uso redentore

9 settembre 2010

di Massimo Cavallini

 

Fidel è tornato. Anzi: è morto ed è quindi risorto, come lo stesso Castro s’è premurato di raccontare nel corso d’una recente intervista che proprio così – “Llegué a estar muerto, pero resucité” – è stata titolata dal quotidiano messicano “La Jornada”. Ed a noi non resta, a questo punto, che chiederci la vera ragione di tanto miracolo. Perché, dunque, Fidel è, non “guarito”, ma “resuscitato”? Facile la risposta: per l’unica ragione che può spingere un personaggio come il gran leader della rivoluzione cubana – notoriamente mai avaro di messianici accenti, specie quando parla di se medesimo – a tornare tra i vivi che lo avevano (almeno politicamente) dato per morto. Ovvero, semplicemente: per redimere il mondo…

Nelle ultime settimane, allorché, in accelerato crescendo, Fidel ha cominciato a riapparire ed a parlare in pubblico, molti si sono chiesti in che misura il “líder maximo” fosse in procinto di tornare ad occupare il potere. Ma, in questo modo, i meno avveduti tra i “castrologi” hanno una volta di più dimostrato di sottovalutare la statura politica e le smisurate ambizioni dell’uomo che, nell’ultimo mezzo secolo, più d’ogni altro ha cambiato il corso della storia dell’America Latina. No, non è per tornare ad occupare uno o più posti di comando (o per mettere le briglie a Raúl) che Fidel ha attraversato in senso contrario le limacciose acque dello Stige. E lui stesso ha molto chiaramente provveduto a comunicare, “per immagini”, questo suo disdegno per il passato. Dalla sua storica divisa verde olivo – di nuovo indossata in pubblico – sono ostentatamente scomparsi, infatti, tutti i fregi e tutti i gradi. E lo scorso 7 di agosto, quando è tornato a parlare di fronte al Poder Popular, Fidel ha altrettanto ostentatamente evitato di sedersi sulla poltrona che fu sua.

No. Il nuovo Fidel post-resurrezione non è più – né ha intenzione di tornare ad essere – un “comandante en jefe”, o un capo di Stato. È, piuttosto – in uno straordinario e per molti aspetti sconcertante processo di reinvenzione di se stesso – un grande saggio, un profeta che vuol salvare l’umanità da se stessa o, molto più concretamente, da un ormai imminente olocausto nucleare. Meglio ancora: è un profeta la cui missione nasce dalla piena coscienza d’esser l’unico che, per autorità morale e per visione politica, può oggi salvare il pianeta Terra dall’autodistruzione. Su questo punto, Fidel è stato chiarissimo nel discorso che, sullo sfondo della storica scalinata dell’Università dell’Avana, ha marcato, nella prima mattinata del 3 settembre, il suo ritorno ai comizi di massa. “…Al mondo è stata deliberatamente nascosta questa verità (l’imminenza d’un olocausto nucleare n.d.r.) ed è toccato a Cuba (cioè a lui n.d.r.) il duro compito di avvertire l’umanità del pericolo che incombe…”. Insomma: giovane o vecchio, tiranno o patriarca benevolo, risorto o semplicemente guarito, con voce stentorea o affievolita dall’età e dalla malattia, Fidel continua ad essere quel che è sempre stato: un leader  che, non importa quanto piccolo sia il suo regno, pensa la politica in termini universali.

Fin qui, tutto chiaro. Molto meno chiari, tuttavia – anzi decisamente nebbiosi – diventano i panorami quando il salvifico messaggio del “Fidel risorto” viene confrontato con la realtà. Nel corso delle sue recenti apparizioni Castro ha detto, di passaggio, alcune cose che hanno attirato l’attenzione dei media. Ha accennato, ad esempio, ad una autocritica per il trattamento inflitto agli omosessuali negli anni ’60 e ’70. E parlando con il giornalista Jeffrey Goldberg ha duramente criticato l’antisionismo negazionista di Mahmud Ahmadinejad, nonché decretato, la non esportabilità d’un sistema economico – quello adottato da Cuba – che “non funziona più nemmeno per i cubani”. Ma il vero cuore delle sue argomentazioni è stata la salvaguardia di un’umanità inconsapevolmente minacciata dal confronto, in Medioriente, tra Occidente ed Iran. In questo confronto vi sono, secondo Fidel, tutte le premesse, non solo d’un conflitto, ma di una guerra nucleare globale. Unica speranza di salvezza: convincere Obama a non premere il bottone fatale.

C’è nelle posizioni di questo Fidel “nuovo e risorto”, che a tratti parla come fosse appena uscito da un coma profondo iniziato nel pieno della Guerra Fredda, un ovvio paradosso. E Jeffrey Goldberg non ha mancato di farlo notare. Lei, ha detto a Fidel, mette il mondo in guardia contro i pericoli di un conflitto nucleare. Ma nel 1963 fu proprio lei a scrivere a Kruscev una lettera nella quale raccomandava di usare la bomba atomica contro gli Stati Uniti…Piuttosto surreale la risposta: “Se avessi saputo allora quello che so oggi – ha, secondo Goldberg, risposto Fidel -quella lettera non l’avrei mandata…”.

Dunque così stanno le cose: Fidel – lo stesso Fidel che oggi vuole, solitario profeta, predicare ad un mondo ignaro i pericoli della guerra nucleare – non conosceva i pericoli della bomba nel 1963, quando questi pericoli erano noti anche i bambini…Difficile raccapezzarsi. Ed a complicare le cose vi è un altro e, se possibile, ancor più stravagante dettaglio: la travolgente passione del Fidel-risorto per le più bizzarre teorie cospirative del momento. In particolare, per quelle illustrate da Daniel Istulin, un lituano transfuga della vecchia Unione Sovietica, anticomunista DOC i cui libri sono molto popolari soprattutto nell’ala “libertaria” della più estrema destra americana. Alle teorie di Istulin – convinto che tutti crimini commessi nel mondo nell’ultimo mezzo secolo siano opera del “Gruppo di Bildenberg” una sorta di governo mondiale retto da una quindicina di superpotenti personaggi  – Castro ha dedicato tre delle sue ultime “riflessioni” che, ogni volta, hanno occupato ben tre delle sei pagine quotidiane Granma. Ed il tutto per spiegare al mondo, tra le altre cose, come la musica rock sia stata inventata negli anni ’60 dal summenzionato “Gruppo di Bildenberg”, con la complicità della Scuola di Francoforte, per distrarre una gioventù fattasi ribelle negli anni del Vietnam…

Che cosa ha spinto Fidel a sposare queste fanfaronate? Impossibile rispondere. Ma, nel leggere il chilometrico omaggio di Fidel ad Istulin (che è stato anche, di recente, suo ospite a Cuba), il pensiero di molti è corso alla statua di John Lennon, eretta non molti anni or sono, con qualche solennità, in un piccolo giardino dell’Avana. Voleva, quella statua, essere una sorta di silenziosa e tardiva riparazione, l’omaggio ad un artista la cui musica era stata, negli anni ‘60 e ’70, proibita dal regime. Chissà. Potrebbe essere proprio lui – quel piccolo Lennon in bronzo tra le palme del Vedado – la prima vittima dell’ “olocausto” che Fidel va con tanta forza pronosticando…

 

fine

 

 

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