Xiomara Castro comincia oggi la sua – già di per sé estremamente complessa – avventura alla presidenza di un paese, l’Honduras, assediato da (almeno) tquattro intrattabili ed interconnessi problemi: la povertà, un’estrema ingiustizia sociale, la corruzione e la presenza, in ogni ganglio del sistema di potere, di una criminalità direttamente connessa al narcotraffico. È su questo disastrato sfondo che Xiomara – moglie di Manuel Zelaya, deposto da un colpo di stato nel 2010 e prima donna eletta alla presidenza – è chiamata a concretizzare una radicale politica di riforme. Titanica impresa complicata dalla litigiosa fragilità – già apertamente tradottasi in rissosi scontri e nella realtà d’un Parlamento in pieno caos – della coalizione progressista che la sostiene. Ecco quel che scrive in proposito Jacobo García su El País di Madrid:
Tutto è pronto in Honduras affinché giovedì Xiomara Castro prenda le redini dell’Honduras per i prossimi quattro anni. Fino alla fine della scorsa settimana, quando i deputati della sua coalizione si sono resi protagonisti di un’imbarazzante rissa nella tribuna del Congresso, l’aggettivo “storico” era quello che meglio si adattava al suo arrivo al potere. Alla guida del partito Libertà e Rifondazione (Libero), Castro, 62 anni, aveva ottenuto una vittoria per cappotto alle elezioni di novembre, ponendo così fine al secolare bipartitismo honduregno. Con il suo trionfo nelle elezioni più partecipate della storia, Castro ha ottenuto, a un tempo, la presidenza, il maggior numero di deputati e le principali città: Tegucigalpa e San Pedro Sula. Un fatto questo tanto storico per il risultato, quanto per il fatto che una donna fosse arrivata al vertice del potere in uno dei paesi con il maggior numero di femminicidi del continente.
Consapevole del significato della sua vittoria, la comunità internazionale, ha risposto con entusiasmo, al punto, annunciando la propria partecipazione, con personalità di primissimo rilevo alla cerimonia inaugurale. Tra le altre, la vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, il re di Spagna, Felipe VI il cancelliere messicano, Marcelo Ebrard e la vicepresidente ed ex presidente dell’Argentina, Cristina Kirchner. La sinistra del continente ha celebrato l’arrivo al potere della moglie del deposto Manuel Zelaya come un nuovo pezzo dell’ingranaggio progressista al quale appartiene Gabriel Boric, già vincitore in Cile e del quale fatto parte anche Lula Da Silva e Gustavo Petro, che, come dicono i sondaggi, viaggiano a gonfie vele verso la vittoria in Brasile e in Colombia.
Tutto era pronto per una grande celebrazione questo giovedì a Tegucigalpa, quando la divisione interna ha finito di rovinare la festa con la rissa, per molti versi davvero storica, tra di loro inscenata, non dall’opposizione, mai dai membri della coalizione di governo. Gli insulti e le spinte davanti agli occhi di tutto il paese hanno mostrato la divisione che affligge il complesso di forze che sostengono (o dovrebbero sostenere) Xiomara. L’immagine più chiara della sua debolezza si è riflessal’incontro che ha avuto con Jorge Cálix ore prima della cerimonia. Se qualche giorno fa lo chiamava “traditore”, questo mercoledì gli offrì un posto nel suo gabinetto per permettere che il posto fosse occupato dal suo candidato Luis Redondo.