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Trump, il presidente che “ce l’ha più grande”

Gli Stati Uniti d’America hanno indubbiamente conosciuto, lungo i loro quasi 242 anni di storia, grandi presidenti. Ed ormai da quasi un anno sono governati da un presidente che grande sicuramente non è – anzi, da un presidente che non perde occasione per dar prova d’una piccineria senza fondo – ma che, in compenso, “ce l’ha più grande”. Non vi è infatti dubbio alcuno: dotato d’un ego tanto sproporzionato quanto, in ultima analisi, infantilmente fragile, Donald J. Trump, 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America per volontà d’una minoranza degli elettori, è ossessionato dalle dimensioni di tutto quel gli appartiene. A cominciare ovviamente – come qualunque psichiatra dilettante può facilmente intuire – da quelli che considera i simboli della sua virilità.

Ultimo – e francamente agghiacciante – caso di questa galoppante forma di “iocelhopiugrandismo”, quella che, nell’ultima delle performance via Twitter del presidente Usa, fa riferimento alle dimensioni ed alla potenza del “bottone nucleare”. I fatti sono noti. Due giorni fa, il leader massimo della Corea del Nord, Kim Jong-Un (un altro caso d’indubbio interesse psichiatrico) aveva rammentato come il territorio degli Stati Uniti sia ormai alla portata dei suoi missili nucleari. E, pur sottolineando la “natura difensiva” del suo arsenale atomico, aveva ricordato come sulla scrivania del suo ufficio sempre abbia a portata di mano un “bottone nucleare”. Pressoché immediata ed a suo modo tragicamente scontata, la risposta di Donald Trump. Non c’è nessuno in Nord Corea – si è chiesto in uno dei suoi tweet notturni il presidente Usa – capace di far presente a Kim Jong-Un che “anch’io ho un bottone nuleare” e che “il mio è molto più grande e potente del suo”?

Lo confesso: di primo acchito avevo pensato si trattasse d’uno scherzo, d’una di quelle “fake news” – palesi e molto salutari in questo caso – che da sempre alimentano la satira politica. Solo un paio di mesi or sono m’era capitato di seguire in TV un programma – Real Time” con il comico Bill Maher – nel quale proprio in questi termini si spiegava la querelle tra “Rocket Man” (l’uomo razzo come Trump ebbe a definire Kim in un allucinante discorso di fronte all’Assemblea dell’Onu) e l’attuale presidente Usa. Ovvero: come una “micropenis competition”, una disputa tra adolescenti complessati in merito alla lunghezza del proprio organo virile. L’illusione non è però durata che un breve istante. Quel tweet, infatti, non solo era autentico, ma nella sua autenticità non era che l’ennesima terrificante e coerente prova del fatto che proprio lungo il filo d’una “micropenis competition” corrono oggi i destini del mondo.

Inutile negare la realtà: questo è Donald Trump. Un adolescente complessato di 71 anni. E di tutto lo si può accusare tranne d’occultare questo predominante, debordante lato della sua personalità. Non solo la sua storia presidenziale, ma tutta la sua storia personale, dai tempi della sua ascesa nel rutilante e volgare mondo degli “yuppies” nella New York degli anni 80, racconta del suo impellente, incontenibile bisogno di “averlo più grande”. Della lunga polemica sulle dimensioni delle sue mani – incominciata proprio in quegli anni con la rivista “Spy” e riemersa, con grossolana evidenza nel corso della campagna presidenziale – già abbiamo raccontato in un altro post. E tanti sono i casi nei quali il “iocelhopiugrandismo” trumpiano ha fatto mostra di sé che ha finito per diventare una sorta di routine o, peggio, una sorta di nuova normalità.

Per “averlo più grande”, Trump non ha mai, lungo la sua intera esistenza, esitato a sfidare non soltanto l’evidenza, ma anche l’aritmetica ed il ridicolo. Qualche esempio. La Trump Tower, che svetta lungo la Fifth Avenue di Manhattan, ha indubitabilmente 58 piani. Ma per Trump ne ha 68 ed è (falso anche questo) “la più grande della Quinta Strada”. Trump sostiene che la penthouse (in cima alla medesima Trump Tower) nella quale vive è, con i suoi 33mila piedi, la più grande di New York. Ma al catasto – come riportato dalla rivista Forbes – quell’abitazione risulta essere meno di un terzo, 11.996 piedi. Trump ha sempre mentito sulle dimensioni del suo patrimonio. E da quando è stato eletto non perde occasione per ricordare come la sua vittoria sia stata la più grande per numero di collegi elettorali da Ronald Reagan in poi. Peccato che i numeri inequivocabilmente raccontino come, dopo Reagan, tanto George H. Bush, quanto Bill Clinton e Barack Obama (due volte, entrambi) abbiano vinto con margini molto più ampi. E l’elenco – essendo questa forma di menzogna “iocelhopiugrandista” diventata una sorta di tran tran – potrebbe continuare all’infinito…Il problema è che l’oggetto del “iocelopiugradismo” è, ora, il bottone nucleare…

Tempo fa, Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia e “columnist” del New York Times, paragonò lo stato delle cose nell’America di Trump ad un episodio di quella che personalmente considero una delle più brillanti serie televisive di tutti i tempi: Twilight Zone (“Ai confini della realtà”, in Italia). L’episodio si intitolava “It’ a Good Life”, è una bella vita. E narrava della paurosa quotidianità d’un villaggio nel quale, per misteriosi motivi, il potere (un potere assoluto) era finito nelle mani di un bambino di 6 anni, capriccioso, bugiardo, imprevedibile e vendicativo, dotato di superpoteri.

Quel villaggio, che viveva nel terrore, sembra essere diventato, oggi, una metafora della nostra vita…

 

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