“The Seven-per-cent Solution”, la soluzione otto per cento. Così, prendendo a prestito il titolo d’un vecchio romanzo di Sir Arthur Conan Doyle, potrebbe esser titolata la scontatissima notizia del “fallimento” del referendum promosso da Andrés Manuel López Obrador, presidente del Mexico. Sette, non come la percentuale di cocaina che Sherlock Holmes usava per drogarsi, ma come la percentuale di votanti effettivamente recatisi alle urne. Sette, ovvero, 33 punti al di sotto della soglia necessaria per dare validità all’esito di quella che, perso il senso del ridicolo, il presidente messicano non aveva esitato a chiamare, nel presentarla al Paese, una “grande consultazione popolare”. E che, una volta conosciuti i risultati con ancor più involontariamente comici accenti, Mario Delgado, leader do Morena, il partito di AMLO, così ha, senz’ombra d’ironia, commentato: “una grande giornata per la nostra democrazia, il Sì ha vinto e una nuova fase contro l’impunità ha avuto inizio nel nostro Paese dove le vittime saranno messe al centro”. “Il grido di giustizia del popolo ha superato di gran lunga il NO. Possa la sua voce non essere mai dimenticata!”. Parole farsesche che, a loro modo, hanno fatto degnamente calare il sipario su quella che, fin dalle primissime battute, proprio questo era stata: una farsa. O, un’opera buffa. Due generi che quasi sempre, oltre le sghignazzate, i frizzi ed i lazzi, rivelano tragici e torbidi sottofondi.
Perché proprio così, come una farsa (o come un’opera buffa), era in effetti stato concepito il referendum. E perché proprio così, in farsa, il referendum è finito. Il solenne “appello al popolo” di AMLO era stato concepito per fallire o, più specificamente, come un trucco da baraccone architettato per attribuire al “popolo sovrano” le responsabilità dell’affossamento di una veraricerc a delle giustizia e di una vera lotta all’impunità. E come tale il popolo lo ha interpretato, disertando le urne in tal misura che questo tanto agognato fallimento, ha finito per diventare molto più che il progettato alibi per il mancato mantenimento d’una solenne promessa elettorale, una brutta figura politica le cui conseguenze ancora devono essere concretamente misurate.
Venendo ai fatti. Nel corso della sua campagna presidenziale (la sua terza) AMLO aveva percorso il paese promettendo una “Quarta trasformazione”, un radicale cambiamento destinato a rilanciare e chiudere con il raggiungimento, finalmente, della piena sovranità popolare, il processo iniziato con l’Indipendenza dalla Spagna (prima trasformazione), proseguito con la Riforma (il complesso di leggi promosso da Benito Juárez che sancirono la separazione tra Chiesa e Stato) e sfociato, infine, nella Rivoluzione del 1910. Al centro di questo radicale ed epocale cambiamento AMLO aveva posto una contro la corruzione e l’impunità che – nel caso il popolo lo desiderasse – doveva cominciare con un giudizio al passato. Vale a dire con la messa sotto accusa della casta militare e dei presidenti – da Salinas de Gortari fino a Peña Nieto – che di quella corruzione e di quella impunità (superficialmente indicati come sottoprodotti d’un vago ma demoniaco “neoliberalismo”) erano stati simbolo.
Era stato su queste basi che AMLO aveva, nel 2018 vinto ampliamente le elezioni. E, su queste basi, lo avesse davvero voluto, avrebbe tranquillamente potuto – come avvenuto in altri paesi – allestire un “Commissione per la Verità” destinata ad indagare e punire tutte le malefatte d’un passato che, in Messico, non è che un tragico e quotidiano presente. Avrebbe potuto scoprire e denunciare – al di là di generiche appartenenze ad un “passato corrotto” – veri reati e veri colpevoli, affidandone la prosecuzione, in base alla legge, ad un potere giudiziario indipendente. Ha invece preferito – a conferma d’una sempre più evidente vocazione caudillistico-autoritaria – fare appello ad una giustizia popolar-plebiscitaria dalla quale in realtà pretendeva, al di là della retorica e della demagogia, soltanto un alibi per riporre nel cassetto tutte le promesse di giustizia spese durante la campagna elettorale.
Ed un alibi è quello che ha ricevuto, con una tanto striminzita chiarezza da diventare, a conti fatti, soprattutto un “papelón” politico di prima grandezza. Perché quella “soluzione sette per cento” o, se si preferisce, quell’alibi ha infine senza alibi rivelato, nella sua miseria. Noon slo quali fossero i veri scopi del referendum, ma anche la vera natura di una presidenza che, sempre più a stento, riesce a nascondere il tanfo di vecchio PRI che emana dalle sue politiche.