Il Partito Comunista di Cuba lancia una frontale battaglia contro il “secretismo” nell’informazione. Ovvero: contro il vizio antico (antico e, notoriamente, praticato con grande generosità a Cuba ed in tutti i Paesi nei quali l’informazione è un monopolio di Stato) di tenere nascoste notizie che possano, per una ragione o per l’altra, risultare sgradite ai poteri costituiti. Questo è quanto ha a chiare lettere affermato, il 12 ottobre, nel corso della riunione del Comité Nacional della UPEC (Unión de Periodistas de Cuba), Rolando Alfonso Borges, capo di quel “Departamento Ideológico” del Comitato Centrale che, da sempre, sta al PCC come l’Ufficio per la Difesa della Fede sta alla Chiesa cattolica.
Quanto va presa sul serio una tale dichiarazione d’intenti? Non molto, ovviamente, se ci si limita ad osservare come i promotori della campagna altri con tutta evidenza non siano, alla prova dei fatti, che loro: i gran sacerdoti di quel “secretismo” che oggi pretendono d’abolire, i difensori della fede che dell’occultamento dell’informazione è, in effetti, la prima responsabile e la vera mallevadrice. Almeno un po’, invece, se si considera la cosa nel contesto del processo di riforme (o dell’aggiornamento del socialismo come il regime preferisce chiamarlo) che da qualche anno – con molta lentezza, ma per il momento senza arretramenti clamorosi – va percorrendo l’isola. E, soprattutto, se si analizza il problema alla luce dell’espandersi, a dispetto d’ogni censura, di nuove tecnologea tecnologie d’informazione che rendono sempre più anacronistica, quale che sia la volontà dei censori, ogni forma di “secretismo”.
Concedere il beneficio del dubbio – senza per questo rinunciare al gramsciano “pessimismo dell’intelligenza” – è in questo caso d’obbligo. Come recita il proverbio: se son rose…
Ecco comunque come, in due molto interessanti articoli, pubblicati da “Encuetro Cubano”, ha affrontato da un punto di vista il tema Esteban Gutiérrez;