15 giugno 2007
Scattata l’8 di giugno del 1972 da Nick Ut, fotografo degli uffici di Los Angeles della Associated Press, quella che ritrae la piccola Kim Phuc, nuda e piangente, sullo sfondo d’un paesaggio devastato dal napalm, divenne istantaneamente, non solo una delle foto più celebri di tutti i tempi, ma un simbolo della crudeltà della guerra. Di tutte le guerre. Quella che gli Stati Uniti stavano combattendo in Vietnam contro un popolo in cerca del suo futuro. E tutte le altre guerre, combattute in ogni parte del mondo, prima e dopo quell’8 di giugno di 35 anni or sono.
Quella stessa immagine riappare in questi giorni sulla pagina web del professor Gennaro Carotenuto – insegnante di Storia del Giornalismo e di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Macerata e molto prolifico collaboratore di Latinoamerica, la rivista diretta da Gianni Minà – sotto un titolo ineccepibile (“Foto di oggi, foto di sempre”), ma con un’assai discutibile motivazione. Eccola:
L’ospite romano, le polemiche su Liberazione, mi ispirano questa notissima foto. Kim Phuc, la bambina di nove anni al centro della foto, scattata esattamente 35 anni fa, che ebbe la famiglia distrutta dal napalm statunitense, poté studiare e laurearsi in medicina a Cuba e oggi dirige una fondazione per aiutare i bambini vittime di conflitti.
Piuttosto chiaro il messaggio. Ed anche piuttosto chiaramente rivolto a tutti coloro che, sull’onda delle polemiche suscitate dagli articoli su Cuba pubblicati da Liberazione, hanno in questi giorno criticato la illiberalità del regime castrista. Dite e scrivete quel che vi pare, lascia intendere il professore, ma questa immagine illustra meglio d’ogni discorso da quale parte stia il Bene e da quale il Male. Ve lo spiega Kim Phuc, la bambina che le bombe americane martoriarono e che Cuba curò ed educò…
Giusto? Sbagliato? Sbagliato, non per uno, ma per due motivi. Il primo (e più generale) è che, quando il tema sono i diritti umani a Cuba, parlare dell’ospitalità offerta dall’isola a Kim molti anni dopo gli eventi documentati dalla fotografia, non è che una variante del “parlar d’altro” che, da sempre, caratterizza le più strenua ed inflessibile difesa del regime castrista. La seconda e più specifica è che, se raccontato correttamente, il caso di Kim Phuc – fuggita da Cuba verso il Canada nel 1992 – non è affatto la bella favola pro-Fidel molto superficialmente indicata dal Carotenuto. Come illustra questa lettera inviata da Massimo Cavallini al sito el docente di storia del giornalismo:
Caro Gennaro Carotenuto, l’immagine di quella bambina, terrorizzata, nuda e scarnificata, in fuga dai bombardamenti al napalm, è sempre fonte – per te, per me e, credo, per tutti – di emozioni forti e di forti meditazioni sulla crudeltà della guerra. O, come tu le chiami di “ispirazioni”. Dubito molto, tuttavia, che, la sua riproposizione nella tua pagina web possa – come implicitamente, ma chiarissimamente la tua ispirazione sembra in questo caso suggerire – portare acqua al mulino della tua piuttosto astiosa polemica contro gli articoli di Angela Nocioni e contro il direttore di Liberazione. Anzi: mi pare che, se acqua al mulino di qualcuno quella foto è davvero destinata portare, quest’acqua non possa che andare a favore d’una seria e meditata critica al regime castrista. Mi rendo conto che non era possibile raccontare in poche righe tutta la molto complessa storia di Kim Phuc. Ma credo che, per onestà, avresti dovuto, almeno, citare il fatto che quella (ex)bambina, una volta sperimentata la vita a Cuba, ha (credo nel 1992) scelto di seguire le orme di molti “gusanos” (tu li chiami così, mi par di capire), emigrando clandestinamente in Canada (dove vive ancor oggi). Immagino che il tuo, chiamiamolo così, “sorvolare” su questo fondamentale risvolto della storia – una “dimenticanza”comunque assai grave, specie se si considera con quanta virulenza tu vai predicando contro chi semina “disinformazione” – sia in ultima analisi dovuto a cattiva conoscenza. E per questo ti suggerisco la lettura d’un bellissimo libro, “The Girl in the Picture” la bambina della fotografia (1999), da Denise Chong dedicato proprio alle vicessitudini di Kim Phuc (la quale, sia detto per inciso, non si è affatto laureata in medicina). In questo libro, Kim Phuc – che, pure, parla con simpatia di Cuba, e con ammirazione e gratitudine delle conquiste della rivoluzione nel campo della sanità e dell’educazione – spiega con parole molto semplici e serene le ragioni che l’hanno spinta ad abbandonare entrambi i regimi comunisti, Vietnam e Cuba, nei quali le è toccato vivere. Motivi riassumibili in tre parole: mancanza di libertà. Kim ha scelto di andarsene da Cuba perché ha ritenuto che solo laddove regnano la libertà di pensiero e di parola – libera, finalmente, dal suo inamidato ruolo di strumento di propaganda – poteva ritrovare il senso “universale” del messaggio contenuto in quella sua celeberrima fotografia. E che solo nella libertà potesse davvero aiutare, come tu scrivi, “i bambini vittime della guerra”.
Così, caro Gennaro, stanno le cose. E sinceramene mi auguro che, così stando le cose, tu non giunga alla conclusione che anche “la bambina della fotografia” appartenga, in realtà, al tetro mondo di “venduti” e di “sicari” (più o meno mediatici) che di norma descrivi quando, nel tuo blog, (vedi link) ti scagli contro tutti coloro che, nella istituzionale assenza di libertà di pensiero a Cuba, individuano, non le interessate menzogne di prezzolati agenti dell’imperialismo o il riflesso di altrui peccati (l’embargo, l’imperialismo etc.), ma un vizio endogeno del castrismo. Augurandomi che queste precisazioni servano a rendere meno ruvidamente ideologico il dibattito su Cuba, molto amichevolmente ti saluto
Massimo Cavallini
La risposta di Gennaro Carotenuto:
Sa che cosa mi sembra intollerabile Cavallini?
Lei è liberissimo di non leggermi, ma non di giudicarmi e condannarmi senza leggermi. La sfido a trovare quando in vita mia ho usato il termine “gusanos”. La sfido ad accusarmi di non essermi mai occupato della mancanza di libertà di espressione a Cuba, della quale scrivo continuamente.
A Cuba non c’è libertà di espressione. Ma ha senso scrivere paginate di balle su Cuba invece di parlare di fatti? Ha senso (è un esempio) parlare di gerontocrazia quando la metà dei ministri ha meno di 50 anni?
Io non mi “scaglio” contro chi attacca Cuba o l’America Latina. Io mi scaglio contro chi per farlo utilizza palesi menzogne che offendono in primo luogo l’intelligenza dei lettori. Che a onor del vero, se si fanno ammannire da Ciai che Fidel vuole proibire il baseball, tanto intelligenti non devono essere.
Se mi avesse letto anche solo una volta, Cavallini, saprebbe che mi scaglio anche con chi attacca gli Stati Uniti con balle e non con i fatti. Il problema è chi aspetta, per esempio dal governo degli Stati Uniti, che questo costruisca menzogne, per poi, sapendo che sono menzogne, spacciarle ai propri lettori come verità.
Il nostro comune amico Omero Ciai non fa il giornalista, fa il propagandista. Ogni singola riga che scrive non è per informare, ma per portare acqua alla sua parte. Sarà che lui ha una carriera tutta interna alla militanza politica, solo che adesso ha cambiato casacca. Io invece di militanza politica non ne ho mai avuta nessuna, né castrista né anticastrista, per stare alle sue gabbie mentali e di ideologia nemmeno.
Se poi ha voglia di descrivermi nella maniera di come mi descrive nel suo sito faccia pure.
cordialmente
Gennaro Carotenuto
Oltre a questa personale risposta, il professor Carotenuto ha dedicato al tema da noi sollevato (e pubblicato nel suo sito) una risposta più ampia e “collettiva” (nel senso che i destinatari sono, insieme a noi, anche altri ed egualmente perfidi interlocutori). Per leggere la replica di Massimo Cavallini vedi “Il Gennaro furioso”
Nostra nota finale:
A Cuba non c’è libertà d’espressione. Prendiamo atto di questa ammissione che, peraltro, già avevamo notato tra le righe – molto tra le righe – degli articoli di Gennaro Carotenuto (che leggiamo spesso e sempre quando ci capita di commentarli). Il fatto singolare, tuttavia, è che il professore ancora una volta usa questa ineludibile verità, non per aprire un dibattito serio sulla realtà cubana, ma per chiuderlo. E per chiuderlo, attaccando – o meglio, insultando – quanti questa verità vanno sottolineando. Infatti, anche in questo caso, ammessa l’assenza di libertà a Cuba, Gennaro Carotenuto immediatamente (e del tutto gratuitamente, dato il contesto) passa…ad attaccare Omero Ciai, definendolo “un propagandista”. Così come nel suo intervento dedicato agli articoli di Liberazione– da 2Americhe linkato nella sua interezza – aveva attaccato Angela Nocioni per aver scritto un articolo nel quale illustrava come molti giovani cubani vogliano fare quello che anche la “bambina della fotografia” (da Carotenuto tanto a sproposito tirata in ballo) ha a suo tempo fatto: andarsene da Cuba, in cerca della libertà negata. Il che ci riporta a bomba. Gennaro Carotenuto – come molti altri difensori del castrismo – sembra incapace di polemizzare senza definire un mercenario, un sicario o, comunque, un venditore di menzogne anticubane cucinate negli Usa, chiunque, bene o male, traduca in articolo giornalistico la verità di cui sopra. Non è forse questo il significato della frase: “Il problema è chi aspetta, per esempio dal governo degli Stati Uniti, che questo costruisca menzogne, per poi, sapendo che sono menzogne, spacciarle ai propri lettori come verità”? Il nostro sito, mi creda professore, non ha desiderio di descriverla in alcun modo. Ma non può non notare il modo piuttosto brutale con cui, di norma, lei descrive se stesso.
P.S. Notiamo come Carotenuto insista, a riprova della malvagità degli anticastristi, su un vecchio articoletto scritto da Omero Ciai (lui, ancora una volta!) dedicato alla curiosa notizia d’una campagna per la diffusione del cricket in un paese – Cuba – dove il baseball è una sorta di religione. Già a suo tempo 2Americhe si era occupata (vedi link) di questo caso, non per le “prezzolate menzogne” del Ciai (inesistenti), ma per l’assoluta (e, a suo modo, divertente) stupidità dell’attacco all’autore. Non abbiamo, ovviamente, cambiato opinione.