18 agosto 2010
di Massimo Cavallini
Due anni fa – ma sembrano trascorsi due secoli – l’ascesa alla Casa Bianca del primo presidente “non bianco”, l’afro-americano Barack Hussein Obama, aveva piuttosto impietosamente segnalato, dal lato dei perdenti, quello che i politologi chiamano “un problema di prospettiva”. Ovvero: aveva rivelato come – in un paese che, per sua stessa natura, va rapidamente cambiando composizione demografica – sempre più essenziale diventasse, per vincere, ottenere il consenso delle minoranze. O di quelle che sempre meno vanno, statisticamente, configurandosi come tali. Insomma: la vittoria di Obama testimoniava come il futuro appartenga a quelle forze politiche che meglio riescono a riflettere la crescente diversità d’ una società che, frutto d’un sovrapporsi di immigrazioni, “diversa” (o, come si usa dire, “eccezionale”) è per molti aspetti nata. Il partito repubblicano – noto anche come GOP, da Grand Old Party – aveva perso (e, quel ch’è peggio era, in assenza d’una svolta, destinato a continuare a perdere) proprio perché era venuto nel tempo configurandosi come il partito dell’America bianca, incapace di armonizzarsi con gli ispani, i neri, i gialli e con tutte le altre sfumature del cambiamento in corso. La parola d’orsine era: cambiare o morire. E la prima risposta del GOP a questi lugubri rintocchi di campana, era stata la molto ostentata elezione d’un nuovo segretario del Comitato Nazionale del partito: Michael Steele, ex vicegovernatore del Maryland, politico di bianche, bianchissime idee, ma, quantomeno, di pelle nera…
Altri tempi. A meno di due anni da quella batosta, i repubblicani – lungi dall’essersi estinti – sono, di nuovo, in piena e baldanzosa offensiva. Non perché abbiano ridotto le distanze che li separano dalla “nuova America”, ma per la ragione opposta. Ovvero: perché del rifiuto di questa nuova America hanno più che mai fatto la loro bandiera. Strumento di questa battaglia: quello che un comico di successo ha definito il “Moscheicida GOP” (mosquecide). O, più esattamente, la rielaborazione d’un antico veleno – quello della xenofobia a tutto campo – che, pur originalmente concepita per far fronte al pericolo islamico ed al sorgere d’una moschea nel cuore di Manhattan, non lontano dal luogo dove si ergevano le Torri Gemelle, va nel contempo eliminando anche tutti gli altri, molestissimi insetti della diversità. A cominciare dagli “anchor babies”, centro d’un cosmico complotto teso a trasfigurare “the land of the free”. Possibili effetti collaterali: oltre ai centri di preghiera islamici ed agli “anchor babies”, il “Moscheicida GOP” rischia di distruggere anche parti essenziali della Costituzione degli Stati Uniti. Ma questo non sembra, con rarissime eccezioni, preoccupare i repubblicani. I quali, anzi, proprio della cancellazione d’una parte della Carta Magna – quella che, nel quattordicesimo emendamento, garantisce la cittadinanza a tutti coloro che nascano in America – hanno fatto uno strumento di battaglia.
Fuor di metafora. In vista delle ormai prossime elezioni di mezzo termine, il partito repubblicano ha dato fiato alle trombe dell’antislamismo e della lotta all’immigrazione clandestina, antichi cavalli di battaglia (non solo negli USA) della xenofobia corrente. E lo ha fatto partendo da due specifici punti. L’isterico “no” ad un progetto di costruzione di quella che chiamano (del tutto impropriamente) la “moschea di Ground Zero”. Ed una richiesta di cancellazione del summenzionato quattordicesimo emendamento della Costituzione – approvato subito dopo la Guerra Civile e l’abolizione della schiavitù – per impedire un fenomeno che, a detta dei molto esagitati proponenti, rischia di minare le radici della “identità americana”. Vale a dire: la massiccia entrata illegale di donne incinta (prevalentemente dal Messico) al solo scopo di dare alla luce pargoli con (automatica) cittadinanza USA. Per l’appunto: gli “anchor babies”, i bambini ancora. I quali, peraltro, si vanno sempre più spesso (e sempre più sinistramente) configurando come “terror babies”, bambini del terrore partoriti in suolo americano, non solo per regalare a se stessi ed ai propri genitori un passaporto USA, ma per essere allevati come ammazza cristiani ed ammazza americani, in vista dell’universale trionfo del Grande Califfato. O, almeno, questo è quel che ha sostenuto, a giugno, in un infuocato (e dai suoi colleghi di partito molto applaudito) discorso nella House of Representatives, il deputato del Texas, Louie Gohmert…
Gohmert è stato successivamente ridicolizzato dal giornalista Anderson Cooper in un’intervista televisiva su CNN (vedi il video). E le sue teorie – nate da un suo contatto con un misterioso emissario di Hamas nel corso di un viaggio aereo – sono state drasticamente smentite (quasi ve ne fosse bisogno) dal Fbi. Così come molte sono state le voci autorevoli – tra le altre quella del sindaco di New York, Michael Bloomberg e, sia pur con qualche tipico tentennamento “centrista”, quella dello stesso Obama) che, in queste settimane, hanno cercato di spogliare la vicenda della “moschea di Ground Zero” dall’artefatto clima d’isteria nel quale era precipitata. Ma proprio questo è il bello del “Moscheicida GOP”: è del tutto insensibile alla verità, alla razionalità ed all’intelligenza. Reagisce soltanto in presenza della paura ch’egli stesso provvede ad alimentare. Ed è proprio questa paura che il GOP ha, senza ritegno né esitazioni, scelto di cavalcare.
La storia è nota. Un’organizzazione islamica diretta dall’Imam Feisal Abdul Rauf ha lanciato un progetto per la costruzione di un centro Islamico (con moschea annessa), non nel Ground Zero (che a quasi dieci anni dall’attentato è ancora un buco vuoto), ma a tre isolati di distanza, in un vecchio edificio che dal Ground Zero neppure s’ intravvede e che era, un tempo, una fabbrica di cappotti. Feisal Abdul Rauf – che, sia detto per inciso, il Fbi ha spesso usato come consulente per spiegare l’Islam ai suoi agenti – non solo ha sempre senza riserve condannato ogni forma di violenza commessa nel nome dell’Islam ed ogni sfumatura di antisemitismo, ma è un convinto assertore dell’armoniosa convivenza tra diverse religioni ed anche della possibilità, anzi, dell’assoluta positività dell’incontro tra Islam e Occidente. Sul tema ha anche scritto un libro dall’inequivocabile e quasi apologetico titolo: “What’s right with America”. Così come inequivocabile è il nome scelto per il progetto: Centro Cordoba. Cordoba come il nome della città andalusa che, mentre in Europa regnavano le tenebre del medioevo, visse – sotto il dominio islamico, ma in un clima di grande tolleranza religiosa – un periodo di grande sviluppo scientifico ed artistico. Il modello, ha più volte sottolineato Abdul Rauf, è, per il Centro Cordoba, quello della sinagoga che sorge, a Manhattan, tra la 92esima e Y. E che è stata concepita come punto d’incontro tra l’ebraismo e le altre religioni.
Insomma: il Centro Cordoba era (ed è) qualcosa che chiunque abbia a cuore la lotta contro il terrorismo islamico – e che sia intelligente quanto basta per non confondere il terrorismo islamico con l’Islam – avrebbe dovuto inventarsi non fosse esistita per conto proprio. Una benedizione, un monumento alla tolleranza ed alla convivenza in grado far danno ad Al Qaeda ed affini più di qualunque operazione di forze speciali tra le montagne dell’Afghanistan. Una cosa da applausi. E invece no. La prospettata nascita di quel centro di dialogo a tre isolati dal Ground Zero è diventata – parole dell’ormai onnipresente Sarah Palin – “una pugnalata al cuore di quanti hanno perduto i propri cari nelle Torri Gemelle”. E la canea, partita dalle pagine del tabloid New York Post (una delle tante infamie mediatiche di proprietà di Rupert Murdoch) è presto diventata una sorta d’inarrestabile crescendo che, presto, s’è trasformato in un nevrastenico coro non più soltanto contro la “pugnalata” di Ground Zero – posizione che, almeno in teoria, non metteva in discussione il principio della libertà di culto – ma contro la possibilità che si possa costruire qualsivoglia moschea in qualsivoglia parte d’America…Qualcuno, in questo grottesco clima da crociata, già ha cominciato a rimpiangere, non la “speranza possibile” che aveva portato Obama alla Casa Bianca, ma l’America di George W.Bush. O, quantomeno, di quel George W. Bush che, il 17 settembre del 2001 – prima di precipitare il paese ed il mondo nel baratro di due guerre – aveva definito l’Islam una “religione di pace”. Ed aveva ammonito i suoi concittadini contro ogni tentazione islamofobica.
Che cosa è cambiato in questi due anni? Perché dopo la vittoria di Obama ed trionfo della sua intrinseca diversità, l’America è tornata – con tanta rapidità e con tanta prepotenza – a mostrare l’altra faccia di se stessa: quella, contrapposta, del “nativismo” e della “xenofobia”? Perché è tanto repentinamente passata dalla celebrazione del proprio mosaico culturale ed etnico, alla realtà dell’islamofobia più irrazionale, alle leggi antiimmigrati dell’Arizona ed alle anticostituzionali fantasie della lotta contro gli anchor e terror babies? Le possibili risposte sono, ovviamente, molte e complesse. Ma – se i sondaggi non mentono – una cosa è certa: a novembre sarà questa faccia dell’America, l’America del Moscheicida GOP”, a vincere nelle urne. Quanto grande sarà questa vittoria è presto per dire. Ma prepariamoci a vivere in un mondo avvelenato.