Si fa, di questi tempi, un gran parlare dei curdi e del loro destino di fronte all’offensiva turca nel nord della Siria, favorita, o meglio, incoraggiata dal contemporaneo ritiro delle truppe Usa. Ma chi sono davvero i curdi? E perché gli Usa – formalmente loro alleati e moralmente loro debitori, in virtù del ruolo dai curdi giocato nella lotta contro l’ISIS – hanno, su ordine del presidente in carica, dato a Erdoğan semaforo verde per quello che, molti temono, può essere l’avvio d’una politica di sterminio?
Per capirlo – e per capirlo nell’inappellabile prospettiva del proverbiale senno di poi – abbiamo consultato un libro di storia pubblicato nell’Anno del Signore 2068, cinquantunesimo dell’era Trump e sesto della presidenza di Donald III, successore di Donald II, meglio noto come Donald Jr., a sua volta subentrato – nel 2030, anno nel quale la presidenza Usa è ufficialmente diventata ereditaria – al molto glorificato capostipite, deceduto (e sepolto al grido di “santo subito”) a metà del suo sesto mandato. O il quarto, se si considerano solo quelli che, in virtù d’un emendamento costituzionale – il 34esimo ed ultimo, grazie al quale, nel 2028, la medesima Costituzione del 1788 venne abolita nella sua totalità – sono stati varati non per voto popolare, ma per “volontà divina”.
Breve nota per quanti già non sappiano. Gli Stati Uniti d’America hanno, nel mezzo secolo che ci separa dal 2058, subito una trasformazione profonda. O, più correttamente, hanno conosciuto una messianica trasfigurazione, dando infine corpo e sangue alla profezia con la quale, nel giugno del 2015, Donald J. Trump – noto, fino ad allora, come palazzinaro bancarottiere e come protagonista di reality show – aveva annunciato l’inizio della sua campagna presidenziale nelle fila del partito repubblicano: “Make America Great Again”. Chiave di questo processo – o di questa rivoluzione contro il “Deep State”, lo Stato profondo, come a suo tempo la definì il filosofo trumpista Steve Bannon – era stata la rimozione, fino ad allora considerata improponibile, d’uno storico intralcio chiamato “democrazia”, confuso assemblaggio di obsoleti principi quali la sovranità popolare garantita dal voto, la libertà di pensiero, il rispetto delle minoranze e dei cosiddetti “diritti umani”, l’uguaglianza di fronte alla legge e la divisione dei poteri.
La riscoperta del Padreterno come unica e vera fonte di potere è stata, negli Usa, progressiva, ma inesorabile. Già prima del 2016 un pompiere pensionato della Florida, Mark Taylor, aveva dopo un incontro ravvicinato con Dio Onnipotente profetizzato – entusiasticamente sostenuto da buona parte delle chiese evangeliche – la vittoria elettorale, per volontà divina, di Donald J. Trump. E nel 2019 il medesimo Trump non aveva esitato, nelle sue vesti di presidente di quella che ancora era una repubblica, a dichiarare se stesso “the Chosen One”, il prescelto da Dio nella sacra battaglia contro il “pericolo giallo” dell’invadenza commerciale della Cina, poco più tardi premurandosi di sottolineare – proprio in relazione alla questione del via libera dato all’amico Erdoğan – la propria “grande ed impareggiabile saggezza” (great and unmatched wisdom). Grande ed impareggiabile, è appena il caso d’aggiungere, perché a lui da Dio conferita al fine di governare l’America. Sempre nel 2019 – anno cruciale nella trasformazione teocratica degli Usa – Ralph Reed, storico leader del fondamentalismo cristiano, aveva infine pubblicato un imprescindibile libro il cui titolo – “Render to God and to Trump”, dare a Dio e a Trump – ben anticipava un concetto che per molti aspetti rivoltava come un guanto l’evangelico “dai a Cesare quel che è di Cesare e dai a Dio quel che è di Dio”. Dio e Trump – faceva infatti notare Reed nell’opera sua – sono due elementi della medesima sinfonia, perché è proprio per volontà del Creatore che il palazzinaro, da molti considerato un assai poco cristiano simbolo di narcisistica iattanza e di libertinaggio, s’era fatto Cesare. Il che inequivocabilmente significa che obbligo d’ogni buon cristiano è dare (o riconoscere) a Trump quel che Dio già gli ha dato. In che modo? Votandolo oppure, nell’auspicabile caso che la contorta ed inutile pratica del voto venisse abolita (come è poi di fatto avvenuto) appoggiandolo o, ancor meglio, adorandolo senza condizioni.
Tornando a bomba. Che cosa dice, dunque, il libro da noi consultato – unico testo di storia non messo all’indice nell’America trumpiana del 2068 – a proposito dei curdi? Siamo andati a scoprirlo, lasciandoci alle spalle molte pagine memorabili: quelle, giusto per fare un esempio, in cui vengono descritti gli orrori consumatisi lungo gli otto anni che, con nefaste conseguenze per il paese, videro la Casa Bianca abusivamente occupata da Barack Obama, un negro mussulmano nato in Kenya, eletto con l’appoggio d’un partito, il democratico, dichiarato illegale per decreto nel 2025. E quel che abbiamo trovato è facilmente riassumibile in una parola: tradimento. Lungo l’intera storia degli Stati Uniti d’America – quella, per l’appunto, ufficializzata nel 2068 – i curdi hanno, ad ogni passo, sistematicamente ed ignobilmente tradito, negandosi ad ogni aiuto, tutte le legittime attese del popolo americano.
Donald Trump I, the Chosen One, già lo aveva sottolineato nel 2019, rispondendo a quanti andavano stoltamente criticandolo per aver lasciato i curdi, preziosi alleati nella lotta contro l’ISIS, indifesi di fronte all’attacco turco. “I curdi – aveva rammentato il presidente in una delle sue magistrali lezioni di storia patria – non ci aiutarono quando sbarcammo in Normandia…”. Ovvio corollario: perché mai dovremmo aiutarli noi, adesso che i turchi li attaccano?
Ma non solo della Seconda Guerra Mondiale si tratta. Alla lettura del libro di storia summenzionato, immediatamente ed in modo lampante balza agli occhi come già nel pieno della rivoluzione anticoloniale che, sul finire del diciottesimo secolo, portò alla creazione degli Stati Uniti d’America, i curdi si siano ripetutamente e scandalosamente qualificati per la loro totale ed ingiustificata assenza nella lotta contro le truppe di George III, il “re pazzo”. Quando, nell’aprile del 1775, Paul Revere eroicamente cavalcò nottetempo da Lexington a Concord per avvisare le milizie rivoluzionarie del prossimo arrivo dell’esercito coloniale, in molti ascoltarono il suo leggendario grido (“The british are coming, the british are coming…”). Molti, ma non i curdi. Le milizie si compattarono, mentre John Hancock e Samuel Adams allestivano la difesa di Lexington, costringendo i britannici a rinunciare al programmato attacco. E i curdi? Sordi, ciechi e muti, come le tre proverbiali scimmiette. Assenti, irreperibili, silenziosi ed indifferenti.
Lo stesso ad Alamo, nel 1836. Dov’erano i curdi mentre, in quel di San Antonio, Texas, 180 ribelli americani, per 13 gloriosi giorni, andavano difendendo il forte – da allora diventato un simbolo patrio -dal soverchiante attacco dei 4.000 uomini al comando del generale Antonio López de Santa Anna? Probabilmente in qualche angolo dei polverosi ed aridi territori che marcano i confini tra Turchia, Siria ed Iraq, in tutt’altre faccende affaccendati. Lontani ed impassibili, mentre il mitico David Crockett, accorso dal natio Tennessee, cadeva, sventolando la bandiera a stelle e strisce, trafitto dalle baionette messicane (vuole la leggenda che proprio queste – “dove c…o sono i curdi?” – siano state le sue ultime parole).
E che accadde tra il 1846 ed 1848, quando gli Usa invasero militarmente il Messico sottraendogli un terzo del territorio? Stessa cosa: i curdi erano altrove, sfacciatamente intenti a farsi gli affari propri, mentre gli Usa scoprivano combattendo una vocazione imperiale che avrebbe, in seguito, conosciuto molte repliche. A Cuba, nel 1898, quando i marines sbarcarono a Guantanamo. Ad Haiti nel 1915, in Guatemala nel 1954, nel fallito sbarco della Baia dei Porci, nel 1961, a Santo Domingo nel 1964…Persino nel 1953, quando in Iran – praticamente alle porte della casa dei curdi – la Cia provocò, via colpo di stato, la caduta di Mohammad Mossadeq, il primo ministro democraticamente eletto, i curdi ben si guardarono dal dare agli Usa uno straccio di mano…
La scusa per tanta ignavia? Quella di sempre: siamo un popolo perseguitato e disperso, senza Stato né Nazione. E viviamo – se vita si può chiamare la nostra – dall’altra parte del mondo. Non abbiamo né casa né un esercito regolare, in che modo potremmo fornire un aiuto militare al paese più ricco e potente del pianeta?
Balle, ovviamente. Balle e banalità che non hanno evitato ai curdi né l’inevitabile condanna della Storia – quella vera perché ufficialmente avallata da Cesare e da Dio – né la “soluzione finale” concepita nel 2019, con la complicità degli USA, dal buon Recep Tayyip Erdoğan. Giustizia è stata fatta. Giustizia di Trump. Giustizia divina. Non fossero nel frattempo già stati provvidenzialmente annientati dai turchi – e non fosse per il fatto che, nella sua infinita bontà, Donald I aveva, nel rammentare il tradimento di Normandia, affermato di amarli comunque – sarebbe davvero il caso d’aggiungere: e che Dio maledica i curdi!