È divertente. Tragico, assolutamente tragico. Ma divertente. Divertente perché involontariamente ed irresistibilmente clownesco, ridicolo dell’intrinseca ridicolaggine che, in ogni latitudine, da sempre caratterizza tutte le dittature. E giusto in questo, nel caso specifico, consiste la comicità con improvvida e verbosa abbondanza esibita, nelle scorse settimane, dal governo cubano e dai suoi più disparati “amici”. Nella sua ansia di dimostrare la connaturata malvagità della manifestazione che, con regolare richiesta “in carta da bollo”, parte dell’opposizione aveva convocato per lo scorso 15 novembre, il regime ha finito per dare ad un evento prima categoricamente vietato e poi impedito in un tripudio di arresti preventivi e di “atti di ripudio” – ovvero ad un evento non accaduto – una rilevanza ed un peso politico che, con ogni probabilità, mai avrebbe avuto qualora davvero avesse concesso a (difficile dire quanti) cubani dissidenti il permesso di sfilare per le via dell’Avana e di altre città per reclamare (come da richiesta ufficialmente presentata alle autorità competenti) “la liberazione dei prigionieri politici (circa 500 anime, quasi tutte arrestate durante le proteste dello scorso 11 luglio).
Un efficace riassunto d’una tanto tragicomica imbecillità – e di tutte le vaccate dette e scritte dagli “amici di Cuba” nei giorni che hanno preceduto e seguito la non-manifestazione di cui sopra – lo si può gustare in questo video “oficialista” nel quale, con patetica seriosità, un tal dottor Carlo Leonardo Vásquez, “agente segreto infiltratosi nelle file nemiche”, racconta i torbidi retroscena della cosmica cospirazione dall’imperialismo ordita – tramite fittizi e, ovviamente, molto ben pagati “dissidenti” – contro Cuba, il suo governo socialista e la sua stessa indipendenza.
La denuncia del dott. Vásquez – uscito dalla clandestinità al solo scopo di smascherare il complotto – si basa, essenzialmente, su una “clamorosa” rivelazione: quella della partecipazione del drammaturgo Yunior García Aguilera, il più in vista tra i dirigenti di Archipielago, il gruppo organizzatore della preventivamente repressa protesta del 15 novembre, ad un seminario che, a suo tempo tenutosi nell’Università St. Louis di Madrid, aveva per titolo: “Il ruolo delle Forze armate in una transizione democratica a Cuba”. Ora, essendo stato quel seminario pubblicamente annunciato ed essendosi poi il medesimo pubblicamente svolto – ed avendo, infine, Yunior García sempre pubblicamente fatto mostra del suo sostegno ad una “transizione democratica” nel paese dove era nato e dove viveva – ci si chiede che bisogno avesse il governo cubano d’un “agente segreto” per raccogliere tali informazioni. E ci si chiede, soprattutto, in che modo tali “tenebrosi retroscena” – anzi “avanscena” visto che erano, da tempo, d’assoluto pubblico dominio – possano costituire la prova d’un imminente piano d’invasione militare contro Cuba. Perché proprio questo, secondo il dottor Vásquez ed il governo ai cui servizi di intelligenza appartiene, era – o meglio, sarebbe stato, in assenza della sua coraggiosa denuncia e del conseguente sbaragliamento dei perfidi piani di Yunior e soci – il fine ultimo della protesta del 15 novembre.
Yunior e Vazclav
Che cosa resta, oggi, di quella manifestazione mai tenutasi? Resta il fiume di parole ed immagini che, nelle settimane che precedettero il non-evento, i media governativi hanno speso per denunciare l’esiziale, guerresco pericolo nascosto dietro quella richiesta di autorizzazione per un “pacifico” corteo di protesta (qui sotto, giusto per dare un’idea una serie di link, ad articoli di varia provenienza). Restano i canti di vittoria seguiti al mancato svolgimento di quel corteo. E restano, soprattutto, le immagini di quella vittoria e del “grande pericolo” che quella vittoria ha eroicamente esorcizzato.
Restano, insomma, gli “atti di ripudio”. Restano gli arresti. Restano le demenziali “rivelazioni” sparate dall’ “infiltrato” dott. Vasquez e resta la descrizione d’una cosmica cospirazione che spinge gli autori del video – evidentemente su mandato del governo cubano – a paragonare Yunior García a Vazclav Havel. Paragone, questo, in verità stravagante per due ovvii motivi (ovvii a tutti, ma evidentemente non a chi da sessant’anni comanda a cuba). Il primo: perché Vazclav Havel fu, come tutti sanno, il simbolo di una rivoluzione – quella chiamata “di velluto”– che portò alla caduta di un regime tirannico fondato su principi e pratiche assai simili a quelli che sorreggono Cuba (belle le immagini dei suoi comizi di fronte ad una piazza San Venceslao ricolma di popolo). Davvero nessuno, tra i dirigenti del “dopo-Castro” si è reso conto di quanto controproducente fosse un simile parallelo? Il secondo: perché fa davvero ridere i polli portare a riprova di questo storico connubio (o, se preferite della storica continuità della sunnominata cospirazione imperialista) il fatto che tanto García quanto Havel fanno lo stesso mestiere, quello del drammaturgo.
Che nessuno lo dica a Miguel
Quel che resta del 15N è, in sintesi, questo: l’involontaria confessione di un regime autoritario e – in quanto tale – intrinsecamente stupido che, cantando vittoria, ha provveduto a denudarsi di fronte al mondo. A Cuba il dissenso è ancora una volta finito dietro le sbarre, in esilio o assediato in casa dalla “molto spontanea” furia del popolo. E proprio per questo ha vinto. Ed ha vinto risparmiandosi, grazie alla paura ed alla ottusità del regime, la fatica d’una camminata per le soleggiate vie dell’Avana. Qualcosa de;l genere era accaduto a Praga nell’anno 1989. Ma non andate a raccontarlo al dott. Vasquez ed a Miguel Diaz-Canel, presidente della Repubblica di Cuba.