Dal Michoacán, ultima frontiera d’una guerra perduta – quella che gli Stati Uniti hanno dichiarato ai traffici di droga – Gabriella Saba racconta la tragica, incredibile storia del Cavalieri Templari che hanno seminato il terrore in questo torrido e poverissimo lembo del Messico. E quella delle forze di “autodifesa” che, armi alla mano e tra mille sospetti, li stanno combattendo…
di Gabriella Saba
Negli altarini improvvisati di alcune case del Michoacán, nel Messico occidentale, la statuina di San Nazario campeggia accanto a quelle di santi più canonici. E’ ricoperta da una patina dorata e lucida, ma non è questa la sola differenza rispetto a quelle dei suoi omologhi. A rendere unico e speciale San Nazario (la cui qualifica di santo è del tutto ignorata dalla chiesa cattolica), è il suo singolare status in vita: Nazario Moreno, detto El Chayo o El más Loco, era infatti un capo narcos, per l’esattezza il carismatico e temutissimo leader della Familia Michoacana, cartello che ha dominato per quasi vent’anni anni lo stato del Michoacán sbaragliando addirittura la “succursale” degli Zeta. Ucciso dalla polizia alla fine del 2010, Nazario è diventato una figura leggendaria, via di mezzo tra un messia e un condottiero militare, il cui testamento morale è raccolto in un prontuario scritto per ispirazione di Dio con cui El más Loco, a detta sua, parlava quotidianamente e che comprende massime come questa: “Convinciti che il mondo non è un parco di divertimenti ma un ambiente di lavoro. No, non è un giorno di festa quello che ci è stato dato ma un corso intensivo di apprendistato. Per questo ti chiedo lo sforzo di imparare il massimo, di impegnarti in vita nel più importante dei comandamenti e di cominciare ad amare tutti senza preferenze, a trattarli come vorresti essere trattato tu e a non disprezzare nessuno”.
Ed è proprio quel bagaglio “etico”, in chiave vagamente comunista, a formare l’ossatura ideologica del cartello nato dalla disgregazione della Familia e considerato oggi il terzo Cártel Messico per influenza, diffuso in ben dieci stati: i Caballeros Templarios, la singolare confraternita che si ispira ai crociati e il cui obiettivo simbolico è la difesa della Terra Santa dagli infedeli. Dove per infedeli si intendono non solo gli altri cartelli, ma anche i vizi del mondo odierno come il materialismo e la mancanza di compassione.
“Dicono che siamo delinquenti”, ha dichiarato in più occasioni l’attuale capo Servando Gómez, detto La Tuta, un ex maestro di scuola sulla cui testa pende una taglia di due milioni e mezzo di dollari. “Ma cosa vuol dire essere delinquenti? E’ vero che nella nostra confraternita molte persone esportano droga, ma sono affari loro. Per noi le cose da punire sono altre, per esempio sequestrare senza motivo, stuprare le ragazze o ingannarle con false promesse. E’ per questo che siamo nati: per difendere il popolo da questi soprusi”.
Detto fatto: quando, un anno fa, il ventiquatrenne Eladio Martínez Cruz fu accusato di aver violentato una donna all’uscita dal lavoro, un gruppo di Caballeros lo ha prelevato dall’auto della polizia in cui si trovava e l’ha castrato e crocifisso all’incrocio tra due pali. Mentre altri stupratori sono stati uccisi a colpi di pistola o impiccati all’entrata delle città con un cartello appeso al collo: “Li abbiamo uccisi perché hanno violentato e sequestrato. Attentamente. Caballeros Templarios”.
Eppure, sono proprio i membri del Cartello ad aver seminato il terrore nel Michoacán imponendo alle famiglie di consegnare le adolescenti più belle con cui allietare festini erotici. “Bussavano alle case e dicevano: “Prepara tua figlia ché la portiamo via per qualche giorno”, ha raccontato a una rivista messicana un abitante che ha chiesto di restare anonimo . “Quando ce le riportavano indietro, spesso erano già incinte”.
Già, perché il debutto dei Caballeros era stato, con tutte le riserve del caso, abbastanza tranquillizzante. “Non abbiamo intenzione di creare problemi alla popolazione, al contrario”, avevano dichiarato i suoi leader nell’annunciare la nascita del nuovo gruppo, nel marzo del 2011, con una massiccia distribuzione di volantini in alcune città del Michoacán. E tutti si convinsero che si sarebbero limitati al narcotraffico.
Ma fu un idillio che durò poco. Qualche settimana dopo il loro arrivo, i Caballeros cominciarono a tartassare i michoacani esigendo il pizzo su tutto: dalla vendita delle tortillas alla raccolta degli avocados. Perfino le case, le auto e i terreni vennero tassati, e chi non pagava veniva torturato e ucciso. Alcune multinazionali come Pepsi Cola e Bimbo hanno provato a eludere il divieto di transitare nelle terre controllate dai Caballeros, ma questi ultimi hanno bruciato i loro camion. Altre imprese hanno lasciato da tempo quello Stato e, dato che la polizia è inefficiente e spesso pagata dai narcos, a molte famiglie non è rimasto che seguire il loro esempio. I trafficanti giravano per i paesi con auto di lusso e armi sofisticatissime nonostante le enunciazioni di sobrietà dei loro “codici” di condotta. Uno di questi, con tanto di crociati dipinti sulla copertina, è stato trovato dalla polizia due anni fa. Tra le 53 regole imposte ai membri del Cártel c’erano il divieto di consumare droghe, la proibizione di violentare ragazze caste o minorenni e quella di ubriacarsi.
Dicono che al governo federale non interessasse intervenire nel Michoacán perché non era uno Stato ricco né importante. E in parte è vero. Il Michoacán è uno dei dieci più stati più poveri del Messico, nonostante le enormi risorse naturali: per esempio è il maggior produttore di avocados al mondo e uno dei principali produttori di limoni. Frutteti sterminati si allargano nelle Tierras Calientes (la zona più colpita dai Caballeros, nel sud dello stato), sfumando da un lato negli sterpeti desertici e dall’altro nelle montagne in cui i Templarios hanno costruito i laboratori per la raffinazione delle metanfetamine, di cui sono tra i principali produttori ed esportatori negli Stati Uniti. Le Tierras Calientes sono una valle torrida in cui le temperature sfiorano d’estate i 50 gradi, arrivando a 53 nella cittadina di Tepacatelpec, uno dei centri più “caldi” non solo climaticamente. E’ qui che è nata l’organizzazione paramilitare delle Autodefensas, o Policia Comunitaria: gruppi di civili che si sono attrezzati con armi di tutti i tipi e da febbraio hanno cominciato a contrastare i Templarios, dapprima pattugliando la zona e organizzando posti di blocco e poi ingaggiando decine di scontri a fuoco il cui esito è stato allontanare i narcos da alcuni paesi, spingendoli a rintanarsi nella Sierra. Il “volto” dell’organizzazione è il medico 55enne José Manuel Mireles, un tipo sanguigno e canuto che ha raccontato, prima di cadere con il suo aereo in mezzo alle montagne e finire in ospedale molto malconcio, di quando lui e qualche altro hanno deciso di ribellarsi a quel regime di terrore: “Non sapevamo niente di tecniche di guerra né di armi, ma la situazione era diventata insostenibile e così abbiamo deciso di rischiare. Da poche decine che eravamo al principio siamo diventati molte migliaia, organizzati in pattuglie e con un centro operativo molto attrezzato”.
Quando le Autodefensas hanno cominciato a diventare un po’ troppo forti (e arroganti), si è mosso anche il governo, che a partire dal maggio del 2013 ha mandato nel Michoacán cinquemila tra militari e poliziotti federali. Per rappresaglia, nell’ottobre scorso i Templarios hanno fatto saltare diciotto sottostazioni elettriche, lasciando 420.000 persone senza luce. La situazione è esplosa però alla fine dell’anno, quando i “comunitarios” hanno intrapreso una vera e propria “riconquista” del territorio occupato dai narcos: non solo hanno finito per controllare quasi un quarto del Michoacan, ma rifiutavano di consegnare le armi all’esercito e continuavano a guadagnare posizioni, in una escalation che di fatto era sfociata in guerra civile. “Quello che facciamo è difendere le nostre famiglie e i nostri villaggi”, ha dichiarato a metà gennaio Estanislao Beltrán, un portavoce delle Autodefensas, aggiungendo che queste ultime avrebbero accettato di negoziare con il governo soltanto quando l’esercito avesse catturato i capi dei Caballeros. E il presidente Enrique Peña Nieto, alla guida del Paese da quindici mesi, era nelle pesti, tant’è che ha cambiato idea almeno tre volte sull’atteggiamento da tenere con i comunitarios, optando alla fine per il pugno duro e l’ulteriore invio di uomini e di decine di aerei militari nella zona. Fino alla fine di gennaio, il livello di scontro era tale che molte scuole sono state chiuse e ventimila studenti sono rimasti a casa, mentre nelle terre più calde gli autobus hanno sospeso le corse. Incendi e assalti erano continui, il più grave è stato l’uccisione da parte dell’esercito di quattro persone a Parácuaro, secondo quanto hanno dichiarato le Autodefensas, tra cui una bambina di undici anni.
La “svolta” è di alcune settimane fa, quando i federali hanno catturato uno dei capi dei Caballeros, il 58enne Dionicio Loya Plancarte, detto El Tio, e molti gruppi di comunitarios hanno accettato a quel punto di firmare un accordo con il governo in cui si stabilisce che “le pattuglie di civili armati devono essere incorporate alla normalità istituzionale”: potranno cioè collaborare con l’esercito ma in veste di guardie rurali, e il loro compito sarà quello di sorvegliare l’ingresso dei civili nei punti strategici per i Templari e di fornire informazioni.
Ad aumentare la confusione c’è il fatto che la popolazione è divisa nell’appoggiare le varie fazioni. Non tutti, infatti, sono dalla parte dei comunitarios. C’è chi sostiene che in questi gruppi siano infiltrati trafficanti del Cartel Jalisco Nueva Generación (nato da una scissione del Cártel de Sinaloa, che invece è alleato dei Templarios) e che siano collusi con le istituzioni. I legami tra la politica e i vari cartelli del narcotraffico sono d’altronde notori e il quotidiano Milenio ha rivelato di recente che i Caballeros pagherebbero 25 milioni di dollari all’anno per garantirsi l’appoggio di molte autorità michoacane. Infine, c’è anche chi crede che i Templarios siano davvero i paladini del popolo. Per esempio, in occasione delle ultime emergenze nazionali, ad aiutare gli abitanti sono accorsi i Caballeros, sospendendo il pagamento del pizzo fino al ritorno alla normalità. E’ anche per questo che qualcuno tiene nell’altarino la statuetta di San Nazario.
Pubblicato originalmente sul settimanale “Venerdi” di “La Repubblica”.