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Battaglia olimpica nelle favelas di Rio

8 dicembre 2010

di M.C.

 

A Rio de Janeiro i giochi olimpici sono già cominciati. E sono cominciati con una battaglia che, a sua volta, è parte d’una guerra destinata a durare nel tempo. Punto cruciale dei combattimenti: le due favelas di Vila Cruzeiro e Alemao, ora occupate, entrambe, dai carri armati della polizia. Obiettivo dell’operazione (prima di quella che si preannuncia come una lunga serie): liberare le parti più povere e violente della “Cidade maravilhosa” – le immense favelas che si arrampicano sulle alture che circondano la metropoli – dalla predominante presenza dei cartelli del narcotraffico. O meglio: liberare Rio dalla propria immagine di città pericolosa, in vista dei due prossimi appuntamenti sportivi (le Olimpiadi del 2016 ed il mondiale di “futebol” del 2014) divenuti per molti aspetti simboli del “rinascimento brasiliano” e del nuovo ruolo che un Brasile in acceleratissima crescita sta, da alcuni anni, giocando sulla scena internazionale.

 

Il primo bilancio della battaglia – consumatasi in tutte le 28 favelas della città, ma particolarmente violenza in Vila Cruzeiro (clicca qui per vedere le immagini girate da un elicottero per la rete O’ Globo) è, insieme, vittorioso e inquietante. La bandiera verde-oro – orgogliosamente innalzata dalle forze di polizia nei territori conquistati – sventola su Vila Cruzeiro e su Alemao. Ma assai alto – almeno 40 morti – è il stato il costo di un trionfo la cui fera portata è ancora tutta da calcolare.

 

Ovvia domanda: riuscirà la città di Rio a vincere la guerra prima di aprire le sue porte ai Giochi Olimpici? Gli ottimisti non mancano. E, tra loro, spicca la figura – recentemente mitizzata dal film “Tropa de elite” – di Rodrigo Pimentel, comandante de BOPE (la sezione per le operazioni speciali di polizia). Il quale ha affermato, in un’intervista rilasciata al portale “Terra”, che “mai come oggi” Rio ha la possibilità di liberarsi per sempre dalla tragica presenza di bande armate che, di fatto, governano intere parti della metropoli, condizionando la sicurezza di tutti i suoi cittadini, ivi compresi quelli che vivono ben lontano dalla periferia montagnosa e dalle favelas (un antico detto vuole che Rio sia l’unico al posto al mondo nel quale “per vedere l’inferno” occorre guardare verso l’alto). Ora o mai più, insomma, Ma non pochi sono coloro che al contrario prevedono, al termine d’una lunga serie di battaglie sanguinose, ma senza esito, una sorta di “armistizio” olimpico, destinato a replicarsi due anni dopo, quando la “selecao” brasiliana cercherà, sessant’anni dopo, l’agognato riscatto del “maracanazo” (la partita che, nella finale mondiale del 1950, di fronte ad un Maracaná ammutolito, vide la vittoria dell’Uruguay sulla favoritissima nazionale brasiliana).

 

A favore di quest’ipotesi gioca il passato. Ovvero: il fatto che negli ultimi anni tutte le operazioni di sgombero attuate dalle forze di polizia – e negli ultimi tre anni ce ne sono state almeno cinque – si sono risolte con pirriche vittorie subito (o quasi subito) sopraffatte da un ritorno alla “normalità” di cui il narcotraffico è, a Rio, una parte integrante. Ma a favore dell’ipotesi opposta – molti, come il molto popolare Rodrigo Pimentel, ne sembrano convinti – gioca ora il presente e il futuro. Vale a dire: la crescente convinzione che Rio e tutto il Brasile si trovino sulla soglia d’una trasformazione destinata a raccogliere, finalmente, tutte le grandi (e mai mantenute) promesse di un paese immenso e, potenzialmente, ricchissimo.

 

Come finirà non è facile prevedere. Ma certo è che la battaglia per la pulizia della Rio olimpica avrà un duraturo – e davvero “storico” – successo solo se, oltre i carri armati e le occupazioni militari – riuscirà a diventare parte della più generale battaglia per ridurre le diseguaglianze sociali che, fin qui, sono ste il più potente freno di un vero sviluppo. Più che dal narcotraffico – che pure è, ovviamente, una piaga in suppurazione – le favelas vanno liberate da se stesse. O, se si preferisce, dalla logica politico-economica che le ha generate e sviluppate. Due anni sono davvero pochi per sperare di raggiungere questo risultato. Ma – dovesse davvero cominciare a muoversi in questa direzione – il Brasile arriverebbe all’appuntamento del 2012, innalzando la fiaccola della più bella delle vittorie olimpiche.

 

 

 

 

 

 

 

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