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“Aznar è un fascista”. Insulto o verità?

Analisi del vocabolo che, a Santiago, ha innescato la reazione a catena culminata nel regal “Por que no te callas? di Juan Carlos di Borbone – I peccati dell’ex presidente del governo spagnolo sono indubbiamente molti, e quasi tutti mortali. Ma nessuno giustifica l’uso del termine – Il caso di Manuel Fraga Iribarne e della sua love story con Fidel Castro

2 gennaio 2008

di Massimo Cavallini

 

Una cosa è certa: Hugo Rafael Chávez Frías, presidente bolivariano del Venezuela, non ama (peraltro del tutto corrisposto) José María Alfredo Aznar López, ex presidente del governo spagnolo. Ed in questi anni (gli ultimi due in particolare) ha avuto ripetutamente modo d’esprimere con vari accenti e colorite espressioni la sua, chiamiamola così, “disapprovazione” per le posizioni politiche e per la personalità dell’uomo che per otto anni (dal 1996 al 2003) ha retto le sorti della Spagna. Ma il termine che meglio (e più frequentemente) ha, negli ultimi tempi, meglio ha riassunto quel che Chávez pensava (e pensa) di Aznar, è il termine “fascista”, quasi sempre usato a coronamento d’una più articolata aggettivazione. Come – a validissimo titolo d’esempio – testimonia la frase che, dal presidente bolivariano pronunciata lo scorso 26 aprile, durante un comizio in quel di Guárico, sapientemente ed utilmente raggruppa, in un unico paragrafo, quasi tutti i vocaboli ed i giudizi che, nel Chávez-pensiero, definiscono l’ex presidente spagnolo: “Aznar – aveva in quell’occasione sentenziato Chávez – è un fascista che, oltretutto, ha appoggiato il golpe (quello che, nell’aprile del 2002, tentò di abbattere il suo governo n.d.r.), è della stessa razza di Adolf Hitler, un tipo che fa schifo e pena, un autentico lacchè di George W. Bush…”. E, in ogni caso, proprio questa – “fascista”, anzi “un verdadero (vero) fascista” – è l’espressione che, un paio di settimane fa, nel corso della Cumbre Iberoamericana di Santiago (vedi il nostro articolo “Il caudillo e il re”) ha spinto Luís Rodríguez Zapatero ad intervenire per prendere pubblicamente le difese del suo antecessore, scatenando in questo modo l’interruzione di Chávez e quindi – in una reazione a catena il cui “fallout” ancora continua nella suoneria di migliaia di cellulari – l’ormai proverbiale “Por qué no te callas?” proferito da Sua Maestà il re di Spagna.

Inevitabile è, a questo punto, porsi una domanda: che cosa rappresenta, se riferito a José María Aznar, il termine “fascista”? Un insulto – o una inaccettabile “descalificación” – come sostenuto da Zapatero? Oppure un’incontrovertibile verità, come ha sostenuto Chávez, solennemente citando – “con la verdad, ni ofendo, ni temo” – la più famosa massima di José Gervasio Artigas?

Per rispondere occorre, ovviamente cercare di analizzare tutte le possibili motivazioni dell’uso del termine.

Prima possibile motivazione: Aznar è un fascista perché ha – cosa questa più che provata – dato il suo appoggio al golpe che, nell’aprile del 2002, tentò di abbattere il legittimo (anche se in quei giorni violentemente contestato) governo di Hugo Chávez.

Controindicazioni: motivazione non valida per il semplice fatto che, se basta appoggiare dall’esterno un golpe militare per essere definito fascista, Chávez dovrebbe, a maggior ragione, usare una tale definizione rivolto a sé stesso, visto che, nel 1992, ha, non appoggiato dall’esterno, ma direttamente organizzato un golpe (anch’esso fallito) contro un governo legittimo (quello di Carlos Andrés Pérez). Golpe che, oltretutto, è in questi anni diventato parte integrante – come primo atto della “rivoluzione bolivariana” – della mistica chavista.

Seconda possibile motivazione (che poi altro non è che una variante della prima): non tutti i golpe sono eguali. E – per dirla con l’Orwell della “Fattoria degli animali” – quello appoggiato da Aznar è certo “più uguale degli altri”. Ovvero: Aznar è un fascista non per aver sostenuto, genericamente, un golpe, bensì per aver dato il suo momentaneo assenso a “quel” golpe, marcato dal tentativo di restituire alla vecchia oligarchia il potere sottrattole dal primo vero governo popolare della storia del Venezuela (mentre, ovviamente, il golpe organizzato da Chávez nel ’92, aveva propositi del tutto opposti).

Controindicazioni: motivazione non valida per due ragioni. La prima: perché assai dubbia e pericolosa è – alla luce della filosofia politica e dell’analisi storica – la distinzione tra golpe buoni e golpe cattivi. La seconda: perché Chávez ed Aznar già avevano avuto modo – tra il 2002 ed il 2003, quando quest’ultimo ancora era presidente del governo spagnolo – di confrontarsi sul problema. Solo qualche settimana dopo i fatti, nel maggio del 2002 – vedi articolo di El País – Aznar aveva spiegato a Chávez che la vera “pietra dello scandalo” (vale a dire: la visita dell’ambasciatore di Spagna a Pedro Carmona, detto Pedro il Breve, il presidente della Federcamaras che, per poche ore, assunse la guida del paese) era dovuta al fatto che era stata, in quelle ore, falsamente diffusa la voce della rinuncia (sia pur sotto la minaccia delle armi) del presidente eletto. Sicché, scopo della visita era, semplicemente, quello di chiedere al nuovo inquilino di Miraflores una pronta reintroduzione di tutte le garanzie democratiche. Lezione appresa. “Aznar – aveva in quell’occasione dichiarato Chávez accettando le spiegazioni del capo del governo spagnolo – mi ha garantito che mai più darà il suo appoggio a un governo non democraticamente eletto”. Dunque: perché se Aznar non era – a detta di Chávez – un fascista allora, lo è diventato adesso?

Terza possibile motivazione: Aznar è un fascista perché, lungi dal mantenere la promessa fatta allora, ha continuato a coltivare idee golpiste e fasciste, incessantemente propagandandole in Venezuela ed altri paesi latinoamericani. E, soprattutto, Aznar è un fascista perché fasciste – o, più esattamente, franchiste – sono le sue radici politiche.

Controindicazioni: motivazione indubbiamente basata su alcuni elementi di fatto, ma piuttosto grossolanamente forzata e, in ultima analisi, non valida su entrambi i suoi versanti. Dopo avere lasciato la guida del Partito Popolare a Mariano Rajoy (che poi perse le elezioni contro Zapatero), Aznar è diventato un privato cittadino spagnolo. E, in quanto tale (o, almeno, nella misura in cui un ex presidente può essere considerato un privato cittadino), ha creato una sua fondazione, la FAES, Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales. O meglio: una sorta (almeno nelle intenzioni) di Internazionale itinerante della “destra culturale e politica”, febbrilmente dedita, con una particolare attenzione all’America Latina, alla diffusione di idee che possono essere definite in molti modi – neoliberali, conservatrici, reazionarie, filooccidentali, detestabili, al servizio delle multinazionali, antipopolari, anti-indigeniste ed antisocialiste nel più esteso significato del termine, visto che, per Aznar, anche la più blanda socialdemocrazia sembra esser opera del demonio – ma non, in alcun modo, fasciste o “golpiste”. Nella scia dell’incidente di Santiago, tutti i media di regime e molti degli intellettuali che ammirano Chávez – vedi, a titolo d’esempio, questo articolo di Salim Lamrani – hanno fatto a gara per elencare le molte colpe per le quali giusto è definire fascista José María Aznar. Ma – sebbene molti dei peccati a lui attribuiti – dalla partecipazione all’attacco contro l’Iraq, al tentativo di attribuire all’Eta gli attentati ai treni – possono essere tranquillamente classificati come mortali, nessuno appare particolarmente “fascista”. A meno che fascista non si consideri il fatto di definire Chávez (cosa che Aznar fa a ritmi quasi quotidiani) un “caudillo populista” o un “pericolo per l’America Latina” o un “demagogo”, o un “tiranno”. (Nel suo articolo Lamrani si lamenta – come molti altri commentatori pro-Chávez – per il fatto che Juan Carlos non abbia mai zittito Aznar in questa sua campagna. Ma davvero non si vede in che modo il re avrebbe potuto impedire al privato cittadino Aznar d’esercitare il suo diritto alla libertà d’espressione. Che Lamrani stia, sotto sotto, rimpiangendo i tempi belli delle monarchie assolute?).

Ed ancora più debole appare la motivazione se valutata in termini storici. Ossia: in relazione al fatto che il Partito Popolare è davvero – come sa chiunque conosca la più recente storia di Spagna – uscito da una costola del franchismo. Franchisti furono infatti, morto il generalissimo Francisco Franco nel 1976, gli uomini che quel partito fondarono, pilotando in pochi anni una transizione alla democrazia tanto imprevista quanto rapida. José María, figlio di Manuel Aznar Ubigaray, prominente giornalista radiofonico di provatissima fede falangista, non era in quegli anni che un promettente ventenne. Ma è, a tutti gli effetti, un prodotto di questo processo. Il che significa che, come tutti i popolari spagnoli, è un uomo di destra che, pur essendosi con starordinaria velocità allontanato dalle proprie radici, ha molto faticato e recidere gli ultimi residui legami che a queste radici lo legavano. Ed è anche lui, come tutti i popolari, nel novero di coloro che, nel nome della”riconciliazione”, hanno evitato ogni esplicita critica del franchismo fino ai primi anni del nuovo millennio, quando, nel novembre 2002, il parlamento spagnolo ha finalmente votato all’unanimità una risoluzione di condanna dell’ “alzamiento” antirepubblicano del 1936.

Ma basta, questo peccato originale, per legittimare oggi l’epiteto usato da Chávez? Se sì qualcuno dovrebbe spiegare l’ossequioso rispetto – o, addirittura, il personale affetto – con cui un indiscusso leader della sinistra rivoluzionaria, Fidel Castro Ruz, da Chávez in ogni occasione lodato come “guida e maestro”, ha sempre trattato il ben noto Manuel Fraga Iribarne, che di quel processo di transizione dal più puro franchismo ad una democrazia che il franchismo si rifiutava di condannare è stato forse il primo protagonista. Manuel Fraga Iribarne – “don Manuel” come Castro amorevolmente lo chiama nella sua ultima, chilometrica intervista con Ignacio Ramonet – fu uno dei fondatori del Partito Popolare (ed anche lui, come il re, si distinse per la sua “valentia” quando, nell’81, il tenente colonnello Tejero tentò d’impadronirsi del Parlamento). Ma, vivo Franco, fu anche, per molti anni, ministro dell’Informazione. E proprio a lui toccò, nel 1963, mentire al mondo prima negando le torture inflitte al comunista Julián Grimau e, quindi, esaltandone il processo farsa e l’esecuzione per fucilazione. Fu essenzialmente per protegger Fraga dalla vergogna di quei giorni lontani, ma tutt’altro che cancellati dalla memoria collettiva, che quasi 40 anni dopo, il PP si rifiutò di votare, in parlamento, la mozione di piena riabilitazione di Grimau. Se non è un fascista ‘il “don Manuel” ossequiato da Castro – e non solo per la comune origine “gallega” come lo stesso Castro spiega a Ramonet – per quale ragione dovrebbe esser considerato tale el “caballerito” Aznar, da Castro e da Chávez tanto pubblicamente (e, per non pochi aspetti, giustamente) vilipeso?

Per nessuna ragione. Se non quella legata al fatto che, per Hugo Chávez, chiunque da lui dissenta è, in un modo o nell’altro, “insultabile”. Non per caso il líder bolivariano sta, in queste ore, dando del “fascista” agli studenti che manifestano contro la sua riforma costituzionale. Ed è questa – per quanto spregevoli possano risultare i comportamenti e le politiche di Aznar – l’unica e risaputa “verità” che emerge (o riemerge) dall’incidente di Santiago.

 

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