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AMLO: la “quarta trasformazione” non mette la quarta

Al presidente messicano Andrés Manuel López Obrador detto Amlo non piacciono le critiche: quelle di destra, ma soprattutto di sinistra. Ai sindacalisti del Cnte che lo hanno contestato di recente nello stato di Michoacán ha dato dei “ribelli senza causa”, ai campesinos di Morelos che protestano contro il progetto di una centrale termoelettrica ha urlato “radicali di sinistra”. Li accusa di essere peggio dei conservatori che invece chiama fifí, un termine desueto che sta per reazionario e disonesto e che ha rispolverato per indicare i detrattori a destra: la stampa di opposizione e quelle élite a cui non piacciono i suoi programmi a favore dei 53 milioni di poveri e di un’equilibrata distribuzione della ricchezza.

Quando si arrabbia il 65enne Amlo fa paura, per il viso duro e il carattere irascibile. Solo carattere? O è ancora il politico autoritario che urlava ai giornalisti “figli di Goebbels” quando facevano domande scomode? Di certo c’è che sta calando nei consensi. Eletto al terzo tentativo nel luglio dello scorso anno con il 53 per cento dei voti, considerato un populista dagli avversari e visto dalla maggioranza come una speranza dopo i governi corrottissimi del Partido Revolucionario Institucional – nelle cui fila, peraltro lo stesso Amlo si è formato – il neo-presidente è salito di popolarità fino a raggiungere uno strabiliante settanta per cento. Percentuale che è però scesa nell’ultimo mese di dieci punti, mentre segnali di perplessità arrivano anche da settori che dovrebbero essere dalla sua parte.

Il suo progetto di una Quarta Trasformazione del Messico comincia a ridimensionarsi, e a sei mesi dall’inizio del mandato il sogno d’un paese redento mostra crepe e dubbi, sarà che non è facile cambiare un posto in cui violenza e corruzione sembrano cronicizzate, le collusioni dello stato con il crimine radicatissime. Nella narrazione un po’ messianica di Amlo la Quarta Trasformazione è paragonabile alla conquista dell’indipendenza, alla “Reforma” che vide grande protagonista Benito Juarez ed alla rivoluzione del 1910. E’ il taglio con il passato. Con le corruttele, con gli egoismi.

Ma non tutto è in linea con quelle aspettative. Per esempio. Il numero di migranti centro-americani espulsi dalle autorità messicane è quasi triplicato,15.000 soltanto nel mese di aprile secondo l’Instituto Nacional de Migración. Aveva promesso, il governo, un visto umanitario ai clandestini per lavorare in Messico ed ecco che quel documento è quasi impossibile da ottenere. “Bisogna mettere ordine”, dichiara il presidente la cui frequente sintonia con Trump sul tema è la sorpresa degli ultimi mesi. “Non vogliamo entrare in conflitto con gli Stati Uniti, manterremo una relazione molto rispettosa con il presidente Trump”, va ripende Amlo. E non è chiaro se sia una mossa per tenersi buono il poderoso partner o l’anticamera di un cambio di politica.

Migranti a parte, sono anche le questioni ambientali a preoccupare. Che tra i progetti del nuovo governo ci sia il Trén Maya, una ferrovia di 1.500 chilometri che attraverserà cinque stati del sud-est del Messico con gravi danni per il patrimonio naturale è una proposta che ha ulteriormente inimicato al presidente molte comunità indigene e l’Ezln con cui i rapporti sono sempre stati tesi. Lui dice lo siento mucho, ma in democrazia vince la maggioranza.

Strana persona, Amlo. Sanguigno, contraddittorio e carismatico. Quando perse le elezioni nel 2006 non esitò ad allestire un governo parallelo per protestare contro i brogli. Le sue intenzioni sono indubbiamente buone, ma il suo comportamento è ondivago. In un apprezzabile esercizio democratico ha inaugurato le mañaneras, le conferenze stampa in cui risponde ogni mattina alle domande dei giornalisti. Molto di quello spazio lo dedica però ad attaccare gli avversari e le risposte alle domande sono di solito monologhi in cui parla di tutto salvo che del tema su cui è stato interpellato. “Lei pensa che il consumo ludico della marijuana andrebbe legalizzato?”, gli chiede per esempio un giornalista. E lui si lancia in un pippone sulle malefatte del governo precedente e su un progetto contro la violenza ma non dice una parola sulla legalizzazione.

Più volentieri risponde sulla corruzione che, sostiene, “si trova in alto, non in basso. Nel nostro popolo c’è una gran riserva di valori culturali, morali, spirituali”.Come combatterà la corruzione, Amlo? Punendola e stigmatizzandola, dice, ma intanto il suo governo ha aggiudicato il settanta per cento dei contratti senza licitazione, stando all’organizzazione Mexicanos contra la Corrupción y la Impunidad.Tra le misure che più sono piaciute c’è che ha abbassato gli stipendi dei papaveri statali, tredici volte più alti rispetto a quelli del messicano medio, che si è tagliato il proprio e che ha venduto l’aereo presidenziale, vive in una casa normale  anziché in quella di Los Pinos e ha liquidato la scorta perché “saranno i messicani a difendermi”. Ha poi promesso scuola gratuita e di buona qualità per tutti anche se non è chiaro dove prenderà i soldi. Nè si ha notizia delle coperture per tirar fuori venti milioni di persone dalla povertà come ha annunciato.

Anche sulla violenza aveva assicurato un calo rapido degli omicidi e che avrebbe sottratto ai militari la gestione della lotta al narcotraffico, dati gli abusi di cui molti si erano macchiati, ma invece la criminalità è aumentata e i militari sono al loro posto, solo che adesso si chiamano Guardia Nacional. “Si è continuato a militarizzare il territorio come nei governi precedenti”, ci spiega Pedro Faro, direttore del Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, in Chiapas. “E questo comporta continue violazioni dei diritti umani come persecuzioni e controlli martellanti dei migranti al confine. Oltre che scontri con le popolazioni originarie quando protestano perché il governo non rispetta l’obbligo di consultarle su decisioni che riguardano le loro terre”.

Più le promesse sono esorbitanti e più la gente si disinnamora se i risultati sono fiacchi. La dichiarazione “Abbiamo distrutto il neoliberismo” suona un po’ enfatica e l’idea del presidente sull’economia non convince molti: industrie come motore di sviluppo ed energia di petrolio e carbone, pazienza le ricadute sull’ecosistema. Il quotidiano El País  ha calcolato che nelle prime cento mañaneras Amlo ha pronunciato solo 35 volte la parola ambiente e tre volte ecologia, nei suoi programmi compaiono oltre al trén maya una raffineria e megaprogetti mentre gli investimenti per eolico e solare sono ridicoli. Nemmeno gli attivisti dei diritti civili sembrano soddisfatti: nell’agenda amliana le questioni più spinose non appaiono e sulla depenalizzazione dell’aborto il presidente ha detto che non è la priorità. “Finora non c’è stata una proposta globale per contrastare la violenza di genere e l’altissimo numero di femminicidi”, si lamenta Maya Aguiluz, docente della Universidad Nacional Autónoma de México  e femminista.

Nel calderone delle critiche rientra quella parola fifí che è diventata il simbolo dello scontro tra i filo-Amlo e gli altri quando il presidente ha ridotto i contributi per la pubblicità ai mezzi di informazione. Lo hanno accusato di ricorrere a quella misura per censurare i media ed è a quel punto che ha cominciato a usare fifí contro i detrattori. La violenza verbale, si sa: è l’anticamera di quella reale, scatena contrapposizioni e divide i paesi. In altre parole è l’arma dei caudillos. A far temere che Amlo possa diventarlo c’è che non sopporta le critiche. Con qualche giornalista ha usato frasi come queste: “Se esagerate, sapete cosa può succedervi”. Sono parole, ma dette in uno dei paesi al mondo in cui si ammazzano più cronisti non hanno un suono conciliante.

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