Nel Messico devastato dalla “narco-guerra”, Javier Sicilia, un poeta ed un padre che ha perduto il figlio, guida la marcia di quanti, senza armi, si rifiutano di cedere alla logica della violenza.
Javier Sicilia, forse il più famoso ed acclamato tra i poeti messicani viventi, aveva un figlio di 24 anni – Juan Francisco, o “Juanelo” come lui lo chiamava – e lo ha perduto. Perduto in una guerra – la “narco-guerra, come tutti la chiamano – che nessuno ha formalmente dichiarato, ma che ha già fatto più di 40mila morti e che ogni giorno torna ad uccidere. Juanelo è morto, come molti altri messicani, semplicemente perché, insieme ad altri quattro amici, s’è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. È accaduto a Cuernavaca. E da Cuernava è partita la marcia che, guidata dal padre, al grido di “Hasta la madre” – ne abbiamo abbastanza – attraverso tutto il Messico settentrionale ha portato migliaia di persone fino a Ciudad Juarez, la più violenta della città messicane.
L’ “hasta la madre!” di Javier Sicilia e di quella parte del Messico – il Messico migliore e maggioritario – che lo ha seguito nella sua macia, e’ rivolto tanto ai signori del narcotraffico, oggi feroci padroni di intere fette di territorio (e per il controllo di quel territorio in perenne guerra tra di loro), quanto al presidente Felipe Calderón, responsabile d’una strategia bellica che, proprio perche’ “bellica”, ha fito – il sangue chiama sangue – per moltiplicare i nefasti effetti del narcotraffico.
Come il Petrarca nella celebre “ode all’Italia”, anche Sicilia va oggi gridando pace, pace, pace. Ma riuscirà a trovarla, quello che cerca? O, quantomeno, alenire gli orrori della guerra in corso? Il Messico ha seguito con commozione e speranza la lunga marcia del poeta. Ed è certo che, marciando, Javier Sicilia – che dice d’aver perduto, insieme al figlio, anche la poesia che si portava dentro – ha scritto una delle sue più belle pagine. Una pagina che ha rotto il silenzio e risvegliato coscienze, tornando a rivelare, in tutta la sua aberrante realtà, quello stava ormai per diventare assuefazione, normalità, abitudine ad una violenza senza fine. Il tempo dira’ quanto e che cosa questa marcia ha potuto cambiare. Ma, intanto, la guerra continua. Proprio ieri, nel giorno in cui, a Ciudad Juárez, la marcia raggiungeva il suo culmine emotivo, a Monterrey, nel cuore economico del Messico, si consumava un’ennesima strage: trentacinque corpi mutilati – tra essi quelli di due poliziotti delle squadre speciali antidroga – fatti ritrovare, in punti diversi, nel pieno del centro storico…