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Thursday, November 21, 2024
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La frode non è un diritto

Con una sentenza storica – e nient’affatto scontata – la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso, per sei voti contro tre, che il potere dei singoli Stati dell’Unione non è, in materia di elezioni, assoluto. Ovvero che i metodi di organizzazione ed e risultati delle medesime sono, come ogni altra decisione sottoposte alla verifica ed al controllo degli organi preposti tanto a livello statale come federale. La legge in discussione partiva da una interpretazione “assolutista” della “Election Clause” della Costituzione. Ed era stata da molti più che legittimamente accolta - specie alla luce della spinta antidemocratica del trumpismo – come l’affermazione di un diritto alla frode, attraverso la pratica del gerrymandering (una artefatta suddivisione dei distretti elettorali al fine di favorire una parte politica) della restrizione del diritto di voto (quello, in particolare, delle minoranze di colore. Ecco quel che scive in proposito il New York Times in un articolo di Adam Liptak.

La Corte Suprema di martedì ha respinto una teoria giuridica che avrebbe radicalmente ridisegnato il modo in cui le elezioni federali sono condotte, dando alle legislature statali un potere in gran parte incontrollato di stabilire regole per le elezioni federali e di disegnare mappe congressuali deformate da brogli partigiani.

Il voto è stato 6 a 3, con il giudice capo John G. Roberts Jr. che ha scritto il parere della maggioranza. La Costituzione, ha scritto Roberts, “non esenta le legislature statali dai vincoli ordinari imposti dalla legge statale.” I giudici Clarence Thomas, Samuel A. Alito Jr. e Neil M. Gorsuch hanno dissentito.

Il caso concerneva la teoria del “legislatore statale indipendente” che si base su una lettura della “Election Clause” della Costituzione, che dice, “I tempi, i luoghi e il modo di tenere le elezioni per senatori e rappresentanti sono prescritti in ogni stato dal legislatore della stessa”. I fautori della forma più letterale della teoria sostengono che questo significa che nessun altro organo di governo statale – non tribunali, non governatori, non amministratori elettorali, non commissioni indipendenti – può modificare le azioni di un legislatore sulle elezioni federali.

Il Presidente della Corte Roberts ha respinto tale posizione. “La clausola delle elezioni non esclude le legislature statali dall’esercizio ordinario della revisione giudiziaria statale”, ha scritto. La sentenza ha respinto fermamente la teoria, che una schiera insolitamente diversificata di avvocati, giudici e studiosi di tutto lo spettro ideologico considerava estrema e pericolosa. Ma gli specialisti di legge elettorale hanno avvertito che la decisione di martedì ha elevato il potere dei tribunali federali nel processo, consentendo loro di ripensare almeno alcune sentenze dei tribunali statali basate sulla legge statale.

Come ha detto il giudice capo Roberts, “i tribunali statali non hanno libertà assoluta” e sono soggetti alla supervisione dei tribunali federali nei casi che coinvolgono le elezioni federali. Ma ha detto ben poco sulla natura e la portata di tale supervisione”. Le domande presentate in questo settore sono complesse e specifiche del contesto”, ha scritto il giudice capo. “Noi riteniamo solo che i tribunali statali non possono trasgredire i limiti ordinari della revisione giudiziaria in modo tale da arrogare a se stessi il potere conferito nelle legislature statali per regolare le elezioni federali.”….

Leggi l’intero articolo, in inglese, sul New York Times

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