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Thursday, December 26, 2024
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L’ascesso di Chávez (e il nostro)

In visita all’Avana, Hugo Chávez, colpito da un ascesso pelvico, ha dovuto essere operato. Ora sta bene (benino, quasi bene o maluccio, a seconda del portavoce del regime che si vuole ascoltare). Chi invece sta malissimo è il chavismo,  ancora alle prese con il ben più grave ascesso del culto della personalità (multiplo, in questo caso)

di Massimo Cavallini

 

Raccontano le cronache come, nel bel mezzo della sua visita all’Avana, venerdì scorso, il presidente bolivariano Hugo Chávez Frías sia stato all’improvviso bloccato da un ascesso (immediatamente rimosso) formatosi nella zona pelvica. Un’esperienza dolorosa, questa, che, a tutti gli effetti, appare meritevole d’umana e politica solidarietà. Ma ancor più dolorosi (e parlo, in questo caso, di dolore dell’anima) sono sicuramente stati, per chi scrive questa nota, l’ascolto e la lettura (clicca qui per il video e qui per il testo) del comunicato con il quale il ministro degli esteri venezuelano, Nicolás Maduro, ha, quello stesso giorno, informato il suo popolo e il mondo dell’accaduto.

Perché dolorosi? Essenzialmente perché, lette o scritte, quelle parole – pronunciate da Maduro, ma di suo pugno vergate dal “Comandante presidente della Repubblica Bolivariana de Venezuela” – hanno fatto impietosamente riaffiorare, altro e ben più grave ascesso. Quello, da sempre in suppurazione, che – vuoi nella forma di disturbo della memoria, vuoi nelle vesti di sintomatologia cronica – affligge la sinistra (più o meno ex) comunista (la mia sinistra). Parliamo, ovviamente, del culto della personalità, dal comunicato di Maduro riproposto in forma multipla o, più esattamente, moltiplicata per tre. Laddove i fattori dell’operazione (quelli che, quando invertiti, non cambiano il risultato) sono, prevedibilmente, il medesimo Chávez, Fidel Castro e Raul Castro.

Il punto chiave del comunicato è quello nel quale si rivela come, e per merito di chi, l’ascesso sia stato, in ordine gerarchico, combattuto e vinto: “Con l’aiuto d’inestimabile valore di Fidel, di Raúl e dell’efficiente sistema di salute della sorella repubblica di Cuba – ha affermato Maduro con la computa solennità di chi sa di parlare a nome del capo supremo – sono stati realizzati gli esami diagnostici, i quali hanno rivelato l’esistenza d’un ascesso pelvico, di fronte al quale il presidente Hugo Chávez ha deciso di sottoporsi immediatamente ad un procedimento chirurgico correttivo…”. Quale, in effetti, possa esser stato, nel caso specifico, l’aiuto di “inestimabile valore” dato da Fidel – che di problemi di salute ne ha, da qualche anno, notoriamente in proprio – non è chiaro. Né è chiaro quale ruolo possa avere avuto Raúl – che, peraltro, al contrario di Fidel, mai si è mai spacciato per un esperto di cose mediche – nella rimozione dell’ascesso (o nella “chirurgia correttiva” di cui sopra). Ma più che evidente è, oltre ogni dettaglio, il significato politico del pubblico elogio: Cuba è guidata da due superuomini (il primo e più monumentale ormai in stato di riflessivo pensionamento, il secondo, meno monumentale, ma ancora in piena attività) il cui lavoro ed il cui pensiero sono, di per sé, le principali fonti di tutte le cose buone (il sistema di salute) che germogliano nell’isola; e, nel contempo, la causa prima della distruzione d’ogni cosa cattiva (ascessi, pelvici e non).

Va da sé che, nel comunicato affidato al ministro delle relazioni internazionali, le parole più alate Hugo Chávez Frías le ha, come d’abitudine, riservate a se medesimo ed alla sua “inquebrantable”, indistruttibile, “volontà di continuare a lavorare per il bene supremo della Patria”. Ragion per la quale, dal suo letto di dolore, via Maduro, invita il suo popolo a “continuare ad avanzare nel processo di costruzione e di consolidamento della rivoluzione bolivariana

Immancabilmente eroica – e, proprio per questo, inevitabilmente comica – la frase di chiusura: “Me consumiré gustosamente al servicio del pueblo sufriente”. Mi consumerò con piacere al servizio del popolo che soffre…

Che dire? Il popolo venezuelano ha, da sempre molte buone ragioni per sentirsi sufriente. Una delle quali (non la prima, forse, ma la più evidente) è oggi, con ogni probabilità, proprio quella d’avere a che fare (non senza colpe, visto che l’hanno eletto) con  un leader che si consuma con piacere al suo servizio. O meglio: al servizio della propria – il più delle volte caricaturale – immagine di padre della patria. Presto l’ascesso pelvico che affligge Hugo Chávez non sarà che un cattivo ricordo. Quello del culto della personalità – un altro cattivo ricordo, ma di quelli che non vogliono morire – continuerà, invece a suppurare. Ed a far male – un male d’inferno – soprattutto a chi è di sinistra…

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