Splendido “home run” del Comandante en Jefe che annuncia la devoluzione dei fondi dovuti a Cuba per la partecipazione al World Classic di baseball alle vittime dell’uragano Katrina – Una figura da pezzenti per i ricchissimi Stati Uniti – Con nemici come questi, che bisogno ha, Castro, di amici come Gianni Minà?
23 marzo 2005
di Massimo Cavallini
La Seleción Nacional cubana ha perduto, contro un sorprendente Giappone, la finale del primo World Classic, una sorta di mondiale per selezioni nazionali di baseball tenutosi in diverse città degli Usa tra il 3ed il 20 di marzo. Eppure i suoi giocatori sono stati accolti all’aereoporto dell’Avana con gli onori che, di norma, vengono riservati agli eroi della Patria. Perché? Per quale ragione un secondo posto – in sé rispettabilissimo ed ottenuto facendo mostra di bel gioco, ma non propriamente esaltante per una nazionale dallo straordinario palmarés – ha tanto entusiasmato la nazione ed il regime?
Per rispondere occorre, prevedibilmente, andare oltre il lato sportivo della vicenda. E rammentare brevemente la pantomima politica che, dal lato statunitense, aveva fatto da patetico preludio al campionato. Poche settimane prima dell’inizio del torneo, infatti, il Dipartimento al tesoro aveva fatto sapere che Cuba non avrebbe potuto essere invitata perché la sua presenza – avendo la squadra diritto a riscuotere una parte degli incassi – avrebbe violato le norme dell’embargo che gli Stati Uniti mantengono contro l’isola dal lontano 1962. La decisione – da tutti, con la sola eccezione dei cubani di Miami, accolta come una ridicola ed inedita forma di rappresaglia politica – aveva suscitato la più che legittima indignazione della Federazione Internazionale di Baseball (che aveva minacciato di “scomunicare” l’intero torneo) ed il comprensibile imbarazzo degli organizzatori americani della manifestazione. I quali s’erano immediatamente mobilitati alla ricerca d’una soluzione di compromesso. O meglio: avevano immediatamente preso contatto con la Federazione cubana, implorandola d’accettare l’unico compromesso possibile, preventivamente rinunciando ad ogni forma di compenso per la propria partecipazione al campionato. Detto e fatto. Privato del (peraltro del tutto fasullo) “casus belli”, il Dipartimento al Tesoro aveva infine, in base alle leggi sull’embargo, concesso a Cuba la necessaria licenza di partecipazione. Ed il torneo era cominciato.
La squadra cubana – pur inizialmente passata attraverso un umiliante “cappotto” contro Puerto Rico – si è, nel complesso, comportata con molto onore. Ed ha finito (pur non vincendo) per raccogliere le simpatie di quanti, a torto o a ragione, vedevano nei suoi giovanissimi (ed ovviamente assai malpagati) giocatori un ultima fiamma di disinteressato dilettantismo in un mondo ormai dominato dal più venale professionismo. Insomma: considerato anche il fatto che nessuno dei 35 componenti della squadra ha “disertato” – chiedendo, come era negli aperti auspici delle organizzazioni dell’esilio, asilo politico –– l’avventura del Classic s’è risolta, per il regime cubano, in un indiscusso successo di immagine. Ed è stato questo, assai più della “quasi-vittoria”, il fattore che ha trasformato in eroi i partecipanti al torneo.
Con l’aggiunta d’un ultimo e magistrale dettaglio Una classica ciliegina sulla torta). Nel dare il bentornato ai giovani campioni, Fidel ha pubblicamente e solennemente annunciato che i denari ai quali Cuba avrebbe avuto diritto – ma ai quali aveva generosamente rinunciato per senso di responsabilità –sarebbe stati ancor più generosamente devoluti alle vittime dell’uragano Katrina a New Orleans. Travolte dall’imbarazzo, le autorità americane avevano cercato di negare quest’ultima circostanza. Ma il Granma aveva prontamente provveduto a elencare fatti e circostanze che confermano – ci pare al di lá d’ogni ragionevole dubbio – il caritatevole atto cubano. Caritatevole e, per gli Usa, decisamente umiliante. Grazie alla suprema intelligenza della sua politica cubana – e grazie alla brillantezza con cui questa politica viene applicata – i ricchissimi e potenti Stati Uniti d’America sono, infatti, ancora una volta riusciti a fare la figura dei pezzenti davanti a Fidel Castro. Fatto, questo, per molti aspetti inevitabile. Perché quando qualcuno, o qualcosa – la politica americana verso Cuba, in questo caso – fa misericordia, è inevitabile che, alla fine, solleciti la carità altrui. Ed il bello è che – qualora il Dipartimento al Tesoro non fosse intervenuto – Cuba non avrebbe comunque intascato un solo centesimo, essendo il World Classic, a quanto pare, finito con i conti in rosso…
Esaminati accuratamente i fatti, resta un’intrigante, ma irrisolto quesito. Con nemici come questi, che bisogno ha, Castro, di amici come Gianni Mina’?