10 febbraio 2008
Gennaro Carotenuto, professore di storia del giornalismo a Macerata, ci ha voluto dedicare un articolo che, crediamo, possa essere a buon diritto qualificato come un piccolo capolavoro di (ovviamente involontaria) comicità. Vi invitiamo a leggerlo certi che vi regalerà – come ha regalato a noi – qualche minuto di buonumore.
La parte che più ci ha divertito è quella biografica. Con pochi tratti di penna, il Carotenuto racconta la nostra storia (quella, in particolare, di Massimo Cavallini, in molto sospette circostanze trasferitosi, anni fa, nei dintorni Miami), ci regala il controllo della linea politica di un quotidiano (Liberazione) e, last but not least, ci assegna una missione (quella – non cominciate a ridere adesso perché rischiate di arrivare esausti alla fine – di “riposizionare la sinistra italiana contro i governi integrazionisti latinoamericani e in particolare contro il governo venezuelano”. Il tutto in piena sintonia con “gli interessi della CIA, delle mafie cubane di Miami, del Grupo Prisa spagnolo, delle multinazionali che depredano da decenni il continente, e ainda mais”.
Motivo scatenante di questa opera buffa: un link (avete letto bene, un link e nient’altro che un link) che, contenuto nel nostro articolo dedicato alla marcia colombiana del 4 febbraio, richiama un’analisi, pubblicata da La Semana, a firma Joaquin Villalobos, ex dirigente dell’Ejercito Revolucionario del Pueblo, una delle formazioni che, a suo tempo, furono parte del FMLN salvadoregno. Di che cosa ci accusa il Carotenuto? Di avere artatamente nascosto due cose. La prima: il fatto che Villalobos fu uno dei dirigenti dell’Erp che, il 10 maggio del 1975, votarono la brutale esecuzione del poeta Roque Dalton (anch’egli militante dell’Erp), falsamente accusato d’essere un agente della Cia. La seconda: che oggi – amnistiato, ma messo al bando dalla vita politica dopo gli accordi di pace che, nel ’92, hanno chiuso la guerra in Salvador – Villalobos lavora come consulente in materia di “soluzione di conflitti”. E che come tale è – sostiene il Carotenuto – “al libro paga di Álvaro Uribe”. Perché questo colpevole silenzio (colpevolmente avvallato da Piero Sansonetti, direttore di Liberazione e dal presidente del la Camera, Fausto Bertinotti, entrambi ferventi ammiratori di Uribe)? Ovvia la risposta: perché era (ed è) nostra (di Cavallini, Sansonetti e Bertinotti) intenzione “usare” il Villalobos per “costruire la sua (di Cavallini n.d.r.) tesi: quella che il 4 febbraio sarebbe stata la più grande manifestazione nella storia della Colombia e tanti colombiani sarebbero scesi in piazza per dire soprattutto: “Chávez, giù le mani dalla Colombia”. Ciò nonostante una serie importante di soggetti, non legati al governo Uribe né a quelli di Madrid e Washington, che vanno dai parenti degli stessi sequestrati colombiani delle FARC, all’opposizione di quel paese, a una lista enorme di ONG in difesa dei diritti umani, considerino la mediazione venezuelana e dei governi integrazionisti latinoamericani come indispensabile”.
Conclusione: “le tesi di un sicario stalinista oggi al soldo di un governo parafascista, sono usate da un giornalista di Liberazione, di stanza a Miami, per convincere che quel governo parafascista sia buono e invece i governi di sinistra siano cattivi”.
Legittimamente, il Carotenuto definisce questo “un tortuoso giro”. E proprio qui sta la comicità del tutto. Perché l’unica cosa tortuosa (ridicolmente tortuosa) sono proprio i ragionamenti del Carotenuto (il quale, non per caso, in nessun punto, mette un link con l’articolo che sta criticando). Infatti nessuno ha “usato” Villalobos per dimostrare che la manifestazione del 4 febbraio è stata la più grande della storia della Colombia (cosa questa che è dimostrata dai suoi stessi numeri). Ed in nessun punto del nostro articolo c’è scritto che colombiani sono scesi in per dire soprattutto: “Chávez giù le mani dalla Colombia” L’analisi di Villalobos – un indiscutibile esperto in materia – era linkata soltanto come interessante testimonianza (diretta ed indiretta) di quella deriva criminale delle Farc che, essa sì, serve a spiegare l’avversione popolare che sta alla base della grande mobilitazione del 4 febbraio. Un’avversione che – diceva chiaramente l’articolo – probabilmente più ad allontanare che ad avvicinare la prospettiva di pace. Ma non importa: per Carotenuto tutta l’analisi di quanto accaduto in Colombia pende da quel fatico link con La Semana. E quel fatidico link, a sua volta, è appeso al nostro complice silenzio sulla responsabilità del Villalobos “assassino e prezzolato”.
È davvero incredibile come il professor Carotenuto sia riuscito – e qui, davvero, c’è più da piangere che da ridere – a trasformare in barzelletta una vicenda tragica come quella dell’assassinio di Roque Dalton. O meglio: come l’abbia (lui sì) usata – coivolgendo in questa buffonesca operazione anche il povero Mario Benedetti ed una sua bellissima poesia – in quello che con tutta evidenza è soltanto un piuttosto patetico ed assai casereccio regolamento di conti, evidenziato in un grottesco ed arrembante appello conclusivo (una classica comica finale): “I Villalobos, i Cavallini, e di conseguenza i Sansonetti – scrive con esilarante serietà il professore – sono solo delle pedine. Ma la presenza, il ruolo sinistro dell’uomo di Miami, interroga la stampa di sinistra italiana e la coalizione che si presenta a sinistra del PD: perché Liberazione ha scelto che gli elettori della Sinistra arcobaleno debbano essere disinformati sull’America latina? Chi è davvero Cavallini?”
Domande inquietanti alle quali segue un perentorio invito: “Non è il momento di uno strappo? Non è il momento di liberare i lettori di Liberazione dallo squallore di una persona che si fa scudo perfino del sicario di Roque Dalton, oggi collaboratore del più fascista dei governanti latinoamericani, il narcoparamilitare Álvaro Uribe, pur di attaccare i governi integrazionisti latinoamericani?”
Vi lasciamo a questo punto, senza ulteriori commenti, alla diretta lettura di quest’opera maestra. Con un’ultima osservazione. L’assassinio di Roque Dalton – in parte ricostruito nel ’93 dal figlio del poeta, Juan José, con qualcosa di ben più sostanzioso di un “link”, ovvero, con una lunga intervista allo stesso Villalobos pubblicata dal quotidiano messicano Excelsior – è parte di una tragedia che, per chiunque abbia un minimo d’onestà intellettuale, va ben al di là di Villalobos, del Salvador e dell’America Latina. Non è, in effetti, che un capitolo nella storia di un processo rivoluzionario che, come vuole un’abusata ma assai realistica metafora, ha troppo spesso, come Saturno, divorato i suoi figli. E che va analizzato risalendo alle radici totalitarie ed intolleranti del suo stesso orrore. Dalton venne ucciso perché accusato d’essere un “agente della Cia”. Ohibò! La stessa accusa che il Carotenuto rivolge a noi. Meno male – ci vien da pensare – che di mestiere, il buon Genaro, fa il docente universitario e non il capo guerrigliero…Buona lettura e buone risate.
Massimo Cavallini e l’assassino di Roque Dalton – di Gennaro Carotenuto, professore in Macerata.
Dopo la lettura dell’articolo a noi dedicato abbiamo anche inviato al sito “giornalismo partecipativo”, in forma di commento, una breve nota di risposta. Ma il professore l’ha – evidentemente nel nome della “partecipazione” di cui e fervente sostenitore – puntualmente cestinata. Cliccate qui sotto per leggerla:
Caro professore, ecco perche ho definto “ridicolo” il suo articolo….
14 febbraio 2008
La storia continua…Nel suo sito “Giornalismo Partecipativo” – nel quale sono ammessi a commentare solo gli apologeti del padrone di casa – Gennaro Carotenuto si risente per essere stato definito , in quella che lui ritiene essere una “diminutio, “professore di Macerata”. Cliccare qui per leggere il suo (del Carotenuto) articolo, e qui per leggere la risposta che, questa volta, per non perdere tempo, neppure ci prendiamo la briga di inviare al blog del summenzionato ed assai permaloso docente universitario.