Fu vero golpe. Vero e cruento, visto che costò la vita ad almeno 12 persone, tutte uccise dai militari nei giorni che seguirono la destituzione di Manuel “Mel” Zelaya. Ma le responsabilità di questa violenta rottura dell’ordine costituzionale honduregno vanno in parte attribuite anche a chi del golpe è stato vittima. Ovvero: allo stesso Mel Zelaya, a sua volta responsabile, prima della sua violenta espulsione, della “violazione di molte leggi”.
A queste conclusioni, allo stesso tempo scontate ed ambigue, è giunta la Commissione per la Verità e la Giustizia, formata dal presidente Porfirio Lobo – eletto un anno fa in elezioni che, pur regolarmente programmate prima del golpe, dal golpe erano state rese d’assai dubbia legalità – per cercare di chiudere la vicenda e, come si usa dire, “guardare al futuro” senza conti in sospeso. Scontate, perché nessuno poteva seriamente dubitare che l’esilio forzato di Manuel Zelaya – prelevato all’alba da militari incappucciati e portato di forza, ancora in pigiama, in Costa Rica – fosse a tutti gli effetti un golpe militare, quali che fossero le forze istituzionali (Parlamento, Corte Suprema) che quell’azione militare avevano sostenuto. Ed ambigua perché del tutto indeterminata resta, nelle conclusioni della Commissione, la necessità di punire tutti coloro che il golpe organizzarono e che al golpe tentarono di dare, nei mesi successivi, una dignità istituzionale (ricordate il governo Micheletti?) che non aveva. Scontata perché alquanto improbabile era, fin dall’inizio, la possibilità che la Commissione dichiarasse illegale l’istituzione che la Commissione aveva concepito e formato. Vale e dire: la presidenza di Porfirio Lobo (frutto, come detto, di elezioni presidenziali svoltesi alla loro regolare scadenza costituzionale, ma comunque organizzate da un governo illegalmente costituitosi). Ed ambigua, ovviamente, per il medesimo motivo. Scontata, infine, perché ben noto era il conflitto istituzionale nel quale Manuel Zelaya – eletto come liberale-centrista, ma divenuto nel tempo un fan del “socialismo del XXI secolo” perseguito dal presidente venezuelano Hugo Chávez – s’era piuttosto grossolanamente infilato, insistendo nell’organizzazione di un referendum costituzionale (o, più esattamente un referendum su un prossimo possibile referendum costituzionale) dichiarato illegale dalla Corte Suprema.
In sostanza, la Commissione ha (prevedibilmente) confermato quel che già si sapeva. L’Honduras era precipitato in una crisi istituzionale assai grave, che vedeva la Presidenza (ovvero, l’esecutivo) sfidare il legislativo (l’Assemblea Nazionale dove, pure, il partito di Zelaya godeva della maggioranza) ed il giudiziario (la Corte Suprema). Ed è un questo contesto, nel quale le responsabilità della crisi erano, per così dire, “condivise”, che il golpe – un golpe vero, non un mezzo-golpe o un semi-golpe – ha avuto luogo.
Quali saranno, ora le conseguenze delle conclusioni della Commissione? Probabilmente nessuna, considerato che il contezioso politico ereditato dal golpe era già stato in parte sostanziale risolto dall’accordo – raggiunto con la mediazione del Brasile, della Colombia e dello stesso Venezuela – grazie al quale Manuel Zelaya è potuto tornare in Honduras nella pienezza delle sue facoltà politiche. O che, più esattamente, ha riportato nell’ambito del confronto democratico, lo scotro politico-istituzionale che fu a suo tempo la causa, o il pretesto, del golpe. Manuel Zelaya è tornato come leader di un movimento – lo stesso che, per mesi, nelle piazze, s’era opposto al golpe – libero di perseguire per via elettorale i cambiamenti costituzionale che ritiene indispensabili.
Fine della storia? Si spera. Anche se l’impunità non è mai stata ila via migliore per aprire una nuovo capitolo…