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Sunday, January 5, 2025
HomerassegnaVade retro Cina

Vade retro Cina


Con tipica grossolanità, Donald Trump ha fatto sapere – minacciando una “riconquista” del Canale di Panama – di voler reintrodurre quella che a suo tempo venne definita la “Monroe Doctrine”. Ovvero: alla riconfigurazione, con le buone o le cattive, dell’America Latina come area di esclusiva influenza degli Stati Uniti. Primo obiettivo: tenere lontana la Cina. Ma assai difficile è che riesca a conseguire l’obiettivo con una politica tardo-imperiale. Ecco quel che scrive in proposito Will Freeman sul Financial Times.
 


Donald Trump vuole ridurre la crescente presenza della Cina in America Latina. E, per farlo, sembra pronto ad usare tattiche coercitive. Basta vedere la sua ultima minaccia di riprendere il controllo del Canale di Panama, ipotesi che un alto funzionario nominato da Trump in ha seguito suggerito altro non fosse che un messaggio teso a creare una spinta anti-Cina.  Ma assai probabile è che l’America Latina risponda in modo molto differenziato a questo perentorio invito, molto più lungo linee geografiche che ideologiche geografiche, con una metà settentrionale più ligia ai desideri di Washington e una metà meridionale che questi desideri tende ad ignorare, specie se questi desideri vengono presentati in forma di ordini.

Molti credono che Washington abbia bisogno di un’agenda positiva per competere efficacemente con la Cina: non bastoni, ma carote, come l’accesso esteso ai mercati negli Stati Uniti e più abbondanti finanziamenti allo sviluppo. E hanno ragione.

Supponiamo tuttavia per un momento che le minacce di Trump rimangano puri esercizi verbali, così come il 60 per cento di tariffe su tutte le merci che passano attraverso il nuovo mega-porto di Chancay in Perù, posseduto e gestito dalla Cina, o il 200 per cento di tariffe sulle auto cinesi made in Mexico, che Trump teme possano essere dalla Cina usate come porta di servizio per penetrare nel mercato degli Stati Uniti.

Le minacce funzionano solo quando sono sostenute da una leva. E la leva degli USA non è equamente distribuita in tutta la regione. In Messico e in gran parte dell’America centrale e dei Caraibi, Washington detiene ancora la maggior parte delle carte. Il Messico continua ad esportare l’80% delle sue esportazioni verso gli Stati Uniti, per esempio. Ma dirigetevi in Sud America, e il quadro cambia. La Cina è il principale partner commerciale del continente, mentre cinque dei paesi latinoamericani più indebitati con la Cina e quattro dei cinque che hanno ricevuto il maggior numero di IDE cinesi sono in Sud America.

La migliore prova che i leader sudamericani non saranno facilmente influenzati o ingannati da Washington è il presidente argentino, fervido amante di Donald Trump, Javier Milei. Milei. LO stesso Milei che un tempo, quando ancora era all’opposizione, definiva i leader cinesi a “assassini”, ed in un primo momento aveva, da presidente, annullato i piani per una centrale nucleare costruita dalla Cina e un mega-porto. Già in ottobre, pochi mesi dopo aver assunto il comando della Nazione, quegli “assassini” era diventati, per Milei, “partner commerciali interessanti”, al punto che un nuovo accordo di esportazione del gas naturale, un trattato di scambio di valuta per aumentare le riserve impoverite del paese sono oggi in via di definizione, insieme ad una visita presidenziale in quel di Pechino.

Durante il primo mandato di Trump, le pressioni esercitate non hanno dissuaso i presidenti conservatori in Colombia e Brasile dall’approfondire i legami tecnologici e commerciali con la Cina. E questi erano i leader sudamericani che amano Trump. Che faran no ora quelli che, subentrati per via elettorale, di Trump non sono propriamente amici?.

Le principali economie del Sud America resisteranno a scegliere i loro schieramenti. Ma se la situazione si fa critica, è difficile vederli distanziarsi molto da Pechino. Se la pressione si ribalta e il Sud America si sposta più a est, ci saranno conseguenze per la dinamica della sicurezza nel Pacifico, le catene di approvvigionamento dei minerali critici e degli elementi delle terre rare e altro ancora.

In nessun altro paese il rischio di un contraccolpo della pressione è maggiore che in Colombia, uno dei principali beneficiari dell’assistenza statunitense a livello mondiale. Il presidente uscente del paese, Gustavo Petro, ha continuato la tendenza. Si prevede che introdurrà la Colombia nell’iniziativa Belt and Road di Pechino nel 2025 per possibilmente unirsi alla banca BRICS. Con due anni e pochi vincoli interni, Petro potrebbe rivolgersi ancora più decisamente verso la Cina in risposta a una tattica coercitiva…..

Clicca qui per leggere l’intero articolo, in inglese, sul Financial Times

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