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Saturday, November 23, 2024
HomerassegnaUn vertice spuntato

Un vertice spuntato

Gli USA chiamano a raccolta i paesi dell’Amarica Latina alla ricerca di “strategie comuni”. Con quale prospettiva? Quella, come da tradizione, di un completo fallimento. Questo è quello che pensano – e non sono i soli – Carol Proner e Pablo due professori universitari che insegnano a Rio de Janeiro, in un op-ed pubblicato da El País di Madrid (clicca qui per leggere l’originale in spagnolo).

Il presidente Joe Biden termina il suo discorso e tende la mano per stringerla a un compagno immaginario. Non c’è nessuno al suo fianco. L’azione si ripete alcuni giorni dopo. L’ex presidente George Bush condanna Vladimir Putin per aver invaso l’Iraq, non l’Ucraina.

I principali dirigenti americani sembrano confusi. Ma non lo sono nel loro rapporto con l’America Latina, dove democratici e repubblicani hanno quasi sempre convenuto che qualsiasi legame con i popoli che abitano a sud del fiume Bravo deve essere stabilito secondo gli interessi, richieste, esigenze e capricci esclusivi del governo degli Stati Uniti. Con questo marchio è nato il nono Vertice delle Americhe, che si svolgerà dal 6 al 10 giugno a Los Angeles. Persistente nel commettere errori quando si tratta di stabilire un rapporto rispettoso con le nazioni latinoamericane e caraibiche, l’Amministrazione americana ha convocato il nuovo vertice, mettendolo in pericolo e mostrando più che la fortezza, la debolezza diplomatica dell’amministrazione Biden. Inoltre, anche se questo sembrava già impossibile, le decisioni di Washington hanno aumentato la pessima reputazione dell’Organizzazione degli Stati americani (OSA) come entità rappresentativa regionale.

La convocazione di un nuovo vertice evidenzia che, al di là del clamoroso fallimento nell’imposizione dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), nel 2005, queste sono servite solo a sostenere e incoraggiare l’ingerenza nordamericana in America Latina, consolidando le asimmetrie esistenti tra il centro e la periferia del continente. Così, alcuni dei suoi obiettivi direttivi, come la lotta alla corruzione e al narcotraffico, sono stati utilizzati da Washington per esercitare poteri extraterritoriali, sanzionando unilateralmente e coerentemente i suoi oppositori politici in altre nazioni con il pretesto di eliminare i pericoli che minacciavano le nostre democrazie.

Il nono vertice sembra destinato a trasformarsi in quello che sono stati quasi tutti i vertici per la sovranità democratica nella regione: un fiasco. La decisione unilaterale del governo di Biden di porre il veto alla partecipazione di Cuba, Venezuela e Nicaragua non fa che confermarlo.

Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador ha chiesto la sospensione del veto americano come condizione per essere presente a Los Angeles. Anche i governi di Gabriel Boric (Cile), Alberto Fernández (Argentina), Xiomara Castro (Honduras) e Luis Arce (Bolivia) hanno espresso il loro disagio e rifiuto della decisione dell’amministrazione Biden. Né López Obrador né Arce parteciperanno al vertice.

Le obiezioni del governo boliviano esprimono inoltre la sua ferma condanna del coinvolgimento del segretario generale dell’OSA, Luis Almagro, nel processo di destabilizzazione e violenza politica che il paese ha vissuto nel 2019. Nel corso della sua già tortuosa gestione, Luis Almagro non ha fatto altro che dimostrare che l’articolo 19 della Carta dell’OSA è un semplice elemento decorativo che egli non è disposto a rispettare: “Nessuno Stato o gruppo di Stati ha il diritto di intervenire, direttamente o indirettamente, e per qualsiasi motivo, negli affari interni o esterni di qualsiasi altro”.

Stiamo affrontando un momento cruciale per il sistema interamericano. Accettare le condizioni imposte dal governo degli Stati Uniti senza altre espressioni di disgusto politicamente innocue significherà un inspiegabile regresso democratico in un momento in cui, al di là delle sue difficoltà, si moltiplicano i governi progressisti e di sinistra in America Latina.

Si tratta di pensare alternative ad un sistema in crisi, rafforzando gli spazi già esistenti, in particolare la Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici (CELAC); ricostruendo la maltrattata Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), e facendo ciò che ha dimostrato che era possibile fare il primo ciclo progressista nella regione: l’America Latina e i Caraibi devono costruire le proprie agenzie di integrazione regionale, istituzioni e spazi multilaterali, senza esclusioni né tutele; riconoscendo l’esperienza ispiratrice, ma non per questo priva di complessità, dell’Unione europea; creando un’architettura di integrazione che si nutra della diversità e si edifichi nel rispetto inalienabile della sovranità dei popoli.

Gli Stati Uniti potranno essere parte di questa grande sfida storica. Per questo, dovrà abbandonare definitivamente la sua prepotenza egemonica e coloniale, non considerando che i popoli dell’America Latina e dei Caraibi non hanno altra destinazione che quella di essere il cortile posteriore delle loro aspirazioni imperiali.

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