Il 10 marzo, l’Organizzazione degli Stati Americani, o OAS, sceglierà il successore dell’attuale segretario generale uscente Luis Almagro, che ha guidato l’organo emisferico nell’ultimo decennio. Per accedere alla carica, un candidato deve ottenere la maggioranza di almeno 18 voti sui 32 disponibili. Se vi state chiedendo perché 17 voti non sono sufficienti per ottenere una maggioranza su 32, la risposta è che l’OAS ha, in realtà, 34 stati membri, ma solo 32 sono membri votanti. Questa complicazione trasforma quella che dovrebbe essere una semplice domanda matematica in un dramma politico: quei due voti mancanti definiscono una questione chiave in questa corsa, una che potrebbe mettere in discussione l’unità dell’organizzazione, specialmente se le elezioni finirebbero per essere vicine.
La corsa per diventare il prossimo segretario generale è diventata una scelta difficile tra visioni concorrenti per la prima organizzazione multilaterale dell’emisfero. Il ministro degli esteri del Suriname, Albert Ramdin, che è sostenuto all’unanimità dai 14 Stati membri della Comunità dei Caraibi, o CARICOM, promuove un approccio basato sul consenso incentrato sul dialogo e il risanamento istituzionale. Ramdin rappresenta una versione più antica della diplomazia dell’OAS, quella che tende ad evitare ogni controversia. Il suo rivale, il ministro degli esteri paraguaiano Ruben Ramirez Lezcano, promette invece di mantenere la posizione assertiva di Almagro sulla democrazia e i diritti umani, in particolare nei confronti del Venezuela, del Nicaragua e di Cuba.
La mancanza dei voti in questi tre paesi evidenzia le poste in gioco. Il Nicaragua si è ritirato dall’OAS nel 2023 in segno di protesta contro le critiche di Almagro, riducendo il numero ufficiale degli stati membri da 35 a 34. Il Venezuela non ha un rappresentante riconosciuto dopo anni di dispute sulla legittimità del presidente Nicolas Maduro, il che significa che non voterà in questa elezione. Cuba è stata sospesa dall’OAS nel 1962, e mentre la sospensione è stata revocata nel 2009 ed è ancora considerata come uno stato membro, l’Avana ha rifiutato di tornare all’organizzazione. Se gestire queste assenze attraverso un dialogo rinnovato, come suggerisce Ramdin, o attraverso una pressione continua, come sostiene Ramirez, è diventato un problema determinante nelle elezioni….
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