Una “bosta”. Una “bosta”, con o senza legge. Così Darío Pérez, deputato del Frente Amplio (la coalizione di sinistra che dal 2005 governa il paese), ha definito mercoledì sera il molto controverso oggetto della legge che s’apprestava a votare. Ovvero: la marijuana (“el porro”, come si dice da quelle parti), legalizzata ieri l’altro da un disegno legislativo che, approvato dalla Camera con un solo voto di maggioranza, è ora in attesa del definitivo “sì” (probabile, ma non del tutto scontato) del Senato. Bosta – termine portoghese entrato in pianta stabile nello spagnolo che si parla nelle campagne uruguayane (specie quelle più prossime alla frontiera con il Brasile) – sta per escremento di vacca, o di cavallo. E la cosa suona, in effetti, di pessimo auspicio per i destini di questa quasi-legge. Quello di Darío Pérez non è stato, infatti, un voto qualunque. È stato il voto decisivo, quello che ha infine fatto pendere la bilancia – in bilico fino all’ultimo istante – a favore della legalizzazione. Se voto “sí”, ha detto in sostanza Pérez, lo faccio solo per disciplina di partito. Perché questa legge, improvvisata e calata dall’alto, fa in realtà schifo. Schifo, per l’appunto, come la “bosta” che pretende di legalizzare.
Darío Pérez non è in realtà l’unico – anche tra coloro che hanno votato per la legalizzazione – a pensarla, per i più diversi motivi, in siffatta maniera. Ed è proprio in questo tormentato contesto – sottolineato da sondaggi che rivelano come oltre il 60 per cento degli elettori siano contrari al nuovo provvedimento – che vanno valutati i pregi (molti) e gli altrettanti vizi (reali o potenziali) della legge. “Bosta” o non “bosta”, la totale depenalizzazione della produzione, distribuzione e consumo di marijuana che l’Uruguay s’appresta a sperimentare, è oggi, di fatto, la punta di diamante d’un dibattito – quello sulla natura della lotta contro il narcotraffico – che, in pieno ed assai interessante svolgimento, coinvolge l’intera America Latina. La convinzione – antica, ma fino a ieri patrimonio soltanto di alcune élite liberali – che le strategie puramente repressive e proibizioniste della cosiddetta “guerra alla droga” abbiano avuto effetti fallimentari, ha cominciato a farsi strada un po’ dovunque, anche a livello governativo.
La nuova legge uruguayana è il primo – e sicuramente molto coraggioso – passo concreto in una nuova direzione. Resta da vedere se si tratta, come molti temono, del proverbiale passo più lungo della gamba. Di certo, come segnalato sopra, non gode dell’appoggio popolare. E questo per molte ragioni. La prima delle quali è probabilmente questa. L’Uruguay – che, pure, è il meno violento dei paesi latinoamericani – si trova nel pieno di quella che la gente vive come una “ondata di criminalità”, in gran parte dovuta proprio alla diffusione di “pasta base” (il crack) tra i giovani marginalizzati. L’opinione pubblica – come accade ovunque in analoghe circostanze – chiede leggi più severe, più repressione. E la legalizzazione della marijuana – una decisione sicuramente “calata dall’alto”, come ha sottolineato Darío Pérez – sembra andare nella direzione opposta.
L’idea base della legge è ovviamente – come il presidente Mujica ha in più occasioni cercato di spiegare – quella di “sottrarre il mercato al narcotraffico”, spezzando la catena criminale che lega il consumo di droghe leggere a quello di droghe pesanti. Ma alcuni intralci burocratici – e qui vengono le critiche, per così dire, “da sinistra” al progetto di legalizzazione – potrebbero rendere difficilmente raggiungibile questo obiettivo. O, addirittura, favorire nuove forme di contrabbando. In sostanza: la legge crea un nuovo ente statale, la cui finalità sarà quella di assegnare licenze per la produzione e distribuzione di marijuana, usando poi i propri ricavi in iniziative contro la tossicodipendenza. La coltivazione dell’erba sarà consentita fino ad un massimo di 480 grammi per raccolto. E consumatori registrati in un apposito album potranno acquistare fino a 40 grammi di marijuana al mese in farmacie specializzate.
Troppo, o troppo poco? Il tempo lo dirà. Di certo un capitolo nuovo si apre nella storia della lotta alla droga.