Si chiude con un cappotto il terzo (ed ultimo) dibattito della campagna presidenziale. Il candidato repubblicano torna, ripetutamente a “chiamare l’idraulico, ma neppure “Joe the Plumber” sembra poter salvare una campagna che fa acqua da tutte le parti. Ed al voto non mancano ormai che tre settimane scarse…
18 ottobre 2008
di Massimo Cavallini
Il terzo (ed ultimo) dibattito presidenziale è fondamentalmente servito a due cose. La prima: a bruciare – in uno scontro a fuoco senza vinti né vincitori – gran parte delle restanti munizioni del candidato che insegue (il repubblicano John McCain). E, la seconda, a rivelare, finalmente, quel che, per vivere, fa l’invisibile ma onnipresente Joe Sixpack, il mitico personaggio o, se si preferisce, la mitica rappresentazione dell’ “americano qualunque” alla quale, mercoledì notte, i due candidati – con arrembante solennità McCain, con appena dissimulata ironia, Obama – si sono rivolti in sequenza, direttamente fissando gli obiettivi delle telecamere. Joe vive infatti in Ohio. Ed a quanto pare fa, di mestiere, l’idraulico.
A rivelarlo è stato – con accenti studiatamente popolareschi e con altrettanto affettata drammaticità – il senatore John McCain, allorquando, ignorando avversario e moderatore, ha cominciato a parlare direttamente, in seconda persona singolare, a tal “Joe the Plumber”, Joe l’idraulico. E questo al dichiarato fine di rivelare al medesimo, con immediata ed ostentata urgenza, la cripto-bolscevica natura (“this is class warfare”, questa è guerra di classe) delle molto modeste proposte anticrisi lanciate nei giorni scorsi da Barack Obama a fronte del precipitare dell’apocalisse finanziaria. Caro Joe, ha detto in sostanza McCain, Obama vuole i tuoi soldi per “distribuire la ricchezza”. O, più in dettaglio: vuole aumentare le tue tasse per finanziare programmi governativi presentati come illusori strumenti di rilancio dell’economia e – Dio ci guardi – di livellamento sociale. Dunque: non votare per lui e per le sue politiche “socialiste”. Vota invece per me, che le tasse le voglio tagliare a tutti. Perché è solo lasciando i soldi nelle tasche tue e degli altri imprenditori (siano essi idraulici, o magnati di Wall Street, McCain è in questo un vero egualitarista) che l’economia si rilancia davvero.
Questo ha detto John McCain. E la cronaca del dibattito potrebbe, per molti aspetti, chiudersi qui. Poiché proprio questo è stato, in fondo, il clou, il vero, unico momento della verità della serata. In svantaggio nei sondaggi e progressivamente indebolito dalla costante emorragia di consensi che la crisi finanziaria ha innescato (o accelerato), McCain aveva, mercoledì notte, un disperato bisogno di trasformare l’ultimo dibattito televisivo in quello che i politologi chiamano un “game changer”. Ovvero: in un punto di svolta, una virata, in qualcosa capace di cambiare, di repente, le regole del gioco ed il corso della partita. Joe the Plumber era, a tutti gli effetti, il suo asso nella manica. Lo ha giocato ed ha perduto. Ha perduto nonostante barasse. O, forse, ha perduto proprio perché barava.
Imperturbabile, Barack Obama si è,infatti, a sua volta direttamente rivolto all’immaginario amico di McCain (“caro Joe, se ci sei e ci stai ascoltando, sappi che…”) spiegandogli per filo e per segno, con un sorriso, come il suo programma di stimolo dell’economia preveda consistenti riduzioni fiscali, non solo per chi, come lui, lavora in proprio, ma anche per tutte le imprese che, al contrario di Wall Street, “creano impiego”. E, stando ai risultati dei primi sondaggi post-dibattito (tutti, peraltro, facilmente pronosticabili), Joe lo ha ascoltato. O, più probabilmente, ha ascoltato senza alcun entusiasmo il profilo di due contrapposte strategie entrambe palesemente inadeguate (ed entrambe destinate a dissolversi al colore d’una catastrofe ancora in fieri), delle quali tuttavia una (quella di Obama) ha quantomeno il pregio di non essere (come quella di McCain) una molto improvvisata replica, in chiave populista, del vecchio “trickle down” di reaganiana memoria (dai ai ricchi ed il benessere “sgocciolerà” anche verso il basso). Stando al sondaggio volante condotto da Cnn non appena i riflettori si sono spenti, il 58 per cento dei telespettatori ha dato la vittoria ad Obama, il 31 ha scelto McCain ed il resto ha optato per un pareggio. Fin troppo facile la battuta: neppure Joe the Plumber è riuscito ad aggiustare una campagna che, da almeno un paio di settimane, fa acqua da tutte le parti…
Riassumendo: McCain ha perduto – o, quantomeno, non ha vinto – una partita (l’ultima partita) che doveva stravincere per continuare a sperare. Ed ora – quando ormai non mancano che tre settimane scarse al voto, non restano al suo arco che poche frecce. Poche, quasi tutte da lanciare su un terreno (quello dell’economia) apertamente sfavorevole ai repubblicani e, quel che è peggio, affidate un candidato (lui medesimo) che nelle ultime settimane è sembrato incapace, non solo di colpire il bersaglio, ma di scegliere il bersaglio da colpire. O, fuor di metafora, incapace di dare alla propria aggressività, un minimo di coerenza politica. Ed il tutto di fronte ad un avversario che, balzato alla ribalta politica proprio grazie alla sua capacità di suscitare gli entusiasmi della folla, si sta dimostrando ora un autentico maestro nell’applicazione della prima regola delle campagne presidenziali (in tempi di crisi o d’abbondanza): “if you’re ahead, don’t make waves”, se sei in testa non fare onde, non affrontare inutili rischi, controlla la partita, o, come si dice in gergo calcistico, fai girare la palla.
Il terzo ed ultimo dibattito è stato infatti – come i due che l’anno preceduto – straordinariamente noioso. O, per meglio dire, straordinariamente al di sotto dello straordinario contesto politico-economico nel quale si è svolto. Al di là di generici attacchi alla perfidia di Wall Street ed alla corruzione di Washington, in nessun momento si sono ascoltate parole o proposte in sintonia con la drammatica realtà d’un sismico cambio d’epoca. E non v’è dubbio che in questa sorta di morta gora – nulla, nei rispettivi programmi economici dei due candidati, è davvero cambiato alla luce della catastrofe finanziaria – sia Obama a vincere. Quello che davvero resta d’un dibattito, anzi, di tre dibattiti pieni di cifre che nessun Joe the Plumber riesce a capire ed interpretare, è, in realtà, l’immagine dei due candidati. Obama calmo, impassibile, costantemente in controllo di se stesso e delle proprie conoscenze, talora prudente al punto d’evitare d’infliggere il colpo del ko all’avversario, ma sempre padrone della partita. McCain nervoso, inquieto, inutilmente sarcastico, non di rado spiritato e, spesso, incongruente e confuso. Molto “presidenziale” il primo. Del tutto incapace di trasmettere sicurezza il secondo. Mercoledì notte, Joe the Plumber, alias SixPack, non si è, probabilmente, spellato le mani né per l’uno, né per l’altro dei due contendenti. Ma altrettanto probabilmente ha, in queste ultime due settimane – se già non ha deciso per chi votare – spostato di molto in direzione di Obama il baricentro delle sue preferenze. E porprio questo, del resto, è quel che vanno ripetendo i sondaggi.
Partita chiusa, dunque? Non ancora, anche se il vantaggio di Obama sfiora ormai i dieci punti (ed in alcuni casi li supera) e tende ad allargarsi in tutti gli stati “oscillanti”. Non ancora, perché, al di là dei sondaggi e del peso della crisi finanziaria (letale per McCain e per i repubblicani) resta, in queste elezioni un’incognita di fondo, un irrisolto mistero. L’ha implicitamente ma chiaramente ricordato, in un editoriale aperto pubblicato ieri dal Wall Street, quel Karl Rove che – grande maestro di aritmetica elettorale e di giochi sporchi – per due volte seppe portare alla vittoria George W. Bush. Obama, ha scritto in sostanza Rove, ancora non ha chiuso la partita perché una parte rilevante dell’America (il 45 per cento stando a un sondaggio) “non si fida di lui”. Molto più paradossalmente, ma molto più chiaramente, lo stesso concetto ha espresso giorni fa Bill Maher, un comico di grande talento e successo, nel corso del suo show televisivo “Real Time”. Partendo dal fatto che, quando parla, John McCain è solito sbattere nervosamente le palpebre, Maher ha, nel mostrare il breve estratto di un discorso, avanzato l’ipotesi che il candidato repubblicano stesse in realtà, attraverso quella forma di linguaggio corporale, trasmettendo un messaggio in alfabeto Morse. E che cosa c’era in quel messaggio? Maher lo ha tradotto così. Mentre dalla bocca di John McCain uscivano, a flotti, parole d’ordinaria propaganda elettorale, le sue palpebre dicevano questo: “Vota per me, perché quell’altro è negro”
Soltanto la brillante battuta di un comico? Magari. La questione razziale è, formalmente, del tutto scomparsa dalla campagna elettorale. Ma silenziosamente riemerge, in rossiniano crescendo, da ogni poro della campagna “negativa” di McCain, perlopiù affidata alla rude oratoria di Sarah Palin e marginalmente riaffiorata anche nel dibattito di mercoledì notte. Obama ha detto giorni fa la Palin parlando alla sua versione di Joe Sixpack, “non è un americano come me e come voi…”.
Gli esperti dicono che, questa volta, non funzionerà. Non funzionerà perché l’America è cambiata e perché Joe the Plummer non esiste (se davvero McCain voleva volgersi a un idraulico in carne ed ossa, ha fatto notare un comico ispano, avrebbe dovuto rivolgersi a “José el plomero”). Ma le cose, in realtà, non sono così semplici. Perché ha già funzionato in passato. E perché potrebbe funzionare di nuovo, nonostante la paura per una crisi economica che si preannuncia lunga e eccezionalmente profonda. Anzi, potrebbe funzionare proprio in virtù di quella paura. Le tre settimane che restano – è facile pronosticarlo – saranno tutto tranne una tranquilla ed “inevitabile” deriva, verso la vittoria democratica.