Tradimento! ha gridato un inferocito Rafael Correa. Ed ha minacciato di dimettersi dalla carica di presidente qualora non venisse immediatamente ritirata la proposta di (una peraltro molto limitata) depenalizzazione dell’aborto presentata nell’Assemblea Nazionale da alcuni esponenti (perlopiù donne) della sua coalizione di governo (la Alianza País, che nella AN gode di una molto ampia maggioranza). Come molti altri leader della sinistra latinoamericana, anche Rafael Correa è un molto fiero (in altre latitudini lo si definirebbe senza esitazioni un vero e proprio fanatico) avversario d’ogni forma di interruzione della maternità. Il che spiega l’altrimenti inspiegabile focosità d’una reazione giunta, per l’appunto, all’estremo di qualificare come “traditori” i promotori dell’iniziativa. Nel nome dell’unità delle forze di governo, la proposta – che si limitava a depenalizzare l’aborto nei casi di stupro e di pericolo per la vita della partoriente – è stata infine ritirata. Ma l’episodio, oltre a lasciare una molto amara scia polemica, ha con grande spettacolarità riproposto, su questo terreno, la “eccezionalità” degli atteggiamenti d’una sinistra latinoamericana ancor oggi estremamente divisa di fronte ad una questione che, in altre parti del mondo, già è stata definita, ben oltre i limiti della sinistra, da un ampio (ed ormai inalterabile) consenso.
Ecco come, in articolo pubblicato da Infolatam, Rogelio Nuñez riassume la molto variegata mappa delle posizioni della sinistra in materia di aborto.
Da segnalare anche la sonora sconfitta che, in Uruguay – dove una legge di depenalizzazione dell’aborto nei primi tre mesi di gravidanza è stata approvata quest’anno – hanno recentissimamente subito le forze che puntavano ad abolirla per referendum. Il lascia intravvedere come, probabilmente, i molti cattolicamente zelanti leader della sinistra progressista siano, in Latino America molto più indietro della pubblica opinione.