Molti avevano pronosticato una corsa serrata, decisa, infine, da un molto ridotto numero di voti. Ma ieri notte, a scrutinio virtualmente ultimato, il candidato della destra, Sebastián Piñera, ha finito per vincere con quasi il 55 per cento dei voti. E la sua non è, in effetti, stata soltanto una vittoria. È stata, piuttosto, ” – volendo parafrasare un classico titolo da, film dell’orrore – un ritorno, una sorta di “notte della destra vivente” che riconduce il Cile al periodo 2010-2014, già marcato dai no proprio esaltanti effetti della presidenza del Piñera.
Le ragioni di tanto trionfo sono, in termini puramente aritmetici, piuttosto semplici. Sebastián Piñera ha recuperato, praticamente nella sua totalità, il 7,9 per cento dei voti che, nella prima ronda, erano andati al candidato centrista José Antonia Kast, mentre il candidato di centro-sinistra, Alejandro Guiller, non ha che in parte assorbito l’oltre 20 per cento dei voti che, un mese fra, erano stati sorprendente appannaggio del Frente Amplio di Beatriz Sánchez. Molto meno facile, tuttavia, è capire le ragioni per le quali, dopo i secondi quattro anni di presidenza di Michelle Bachelet, il Paese ha tanto decisamente detto no al candidato della cosiddetta Nueva Mayoría, erede della ormai dissolta Concertación che, dalla caduta della dittatura militare pinochetista univa le forze moderate e progressiste. Ed ha scelto di riaffidarsi alle forze che oggi, in un contesto democratico, proprio del pinochetismo sono per molti aspetti eredi.
“Questa è una dura sconfitta – ha detto ieri notte Guiller nell’accettare i verdetto delle urne – ma dobbiamo farci forza e continuare a difendere le riforme nelle quali crediamo. Come senatore farò tutto il possibile per far sì che questa sconfitta elettorale non sia una sconfitta politica”.
Potrebbe avere ragione. Ma intanto il Cile trona al passato. Sebastián Piñera entrerà per la seconda volta alla Moneda il prossimo 11 di marzo. E la “notte della destra vivente” durerà, presumibilmente, per quattro lunghi anni.