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La campagna di McCain fa acqua. E lui chiama l’idraulico…

Ovvero: come la macchiettistica vicenda di Joe the Plumber ha messo in evidenza le falle della campagna elettorale di John McCain. Ed ha – comunque finiscano le elezioni – cantato il de profundis del reaganismo…

13 ottobre 2008

di Massimo Cavallini

 

Chi è, davvero, “Joe the plumber”? Sul piano della cronaca questa domanda già ha ricevuto – e con una persino eccessiva dovizia di dettagli – tutte le risposte che reclamava. Joe l’idraulico, con grande enfasi evocato da John McCain nel corso dell’ultimo dibattito televisivo, non si chiama in realtà Joe – il suo vero nome è Samuel Wurzelbacher – e non è in realtà un vero idraulico (nel senso che non ha, come richiesto dai regolamenti dell’Ohio, dove vive, la licenza richiesta per praticare il mestiere). Ma, soprattutto, non vanta, il falso Joe, alcuna delle caratteristiche socio-politico-fiscali che hanno spinto John McCain ad eleggerlo, in questo ultimo scampolo di campagna, a simbolo della sua battaglia contro il “pericolo rosso”. O, più esattamente, contro i pericoli d’una riforma fiscale (quella, ovviamente, proposta da Barack Obama) il cui dichiarato scopo è “spreading the wealth around”, ridistribuire la ricchezza.

Brevissimo riassunto delle puntate precedenti, per meglio comprendere. Il giorno 7 di ottobre, mentre faceva campagna in quel di Toledo, Ohio, Barack Obama era stato avvicinato – sotto i vigili occhi delle telecamere – da un tale che, presentatasi come Joe the Plumber (un omaccione calvo che, per quanti conservano memoria dei “Caroselli”, rammenta il “Mastro Lindo” della pubblicità d’un detersivo), gli aveva manifestato il suo disappunto per il fatto che il candidato democratico volesse “aumentargli le tasse”. E questa era la storia che Joe aveva raccontato. Il suo pezzo di “sogno americano”, aveva detto, consisteva nel progetto di rilevare, si presume in un prossimo futuro, l’impresa (un’impresa, per l’appunto, di riparazioni idrauliche) per la quale oggi lavora come unico dipendente. Ma questo suo progetto è minacciato da una legge (di nuovo: quella proposta da Obama) che prevede consistenti aumenti fiscali per tutti coloro che vantano un reddito personale superiore ai 250mila dollari all’anno (ovvero: per il 5 per cento più ricco degli americani). Ed Obama gli aveva – con la consueta e didascalica pacatezza – risposto facendogli notare come, nel suo piano, il 95 per cento degli americani (e, certamente, anche il medesimo Samuel “Joe” Wurzelbacher) avrebbero, in effetti, goduto di un taglio delle tasse. Aggiungendo come fosse giusto – nel caso Joe dovesse davvero riuscire ad entrare nel club del 5 per cento – che anche lui contribuisse a “diffondere la ricchezza”.

Chiunque abbia una conoscenza anche solo elementare della storia della scienza economica sa bene come il concetto di “diffusione della ricchezza” attraverso lo strumento fiscale, appartenga ad Adam Smith, gran padre del liberalismo. Ma questo non ha impedito che, inalberata la bandiera di “Joe the Plumber “, John McCain – e, con ancor più spensierata sfacciataggine, la sua vice, Sarah Palin – cominciasse a condurre una campagna contro la natura “socialista”, anzi, apertamente “marxista”, della politica economica di Obama. Per dirla, con uno dei “sound bites” (i “morsi sonori”, o frasi fatte, slogan per il consumo televisivo) che McCain e soci vanno instancabilmente ripetendo: voi (i vari Joe the Plumber) lavorate e producete ricchezza. Obama (per l’occasione ribattezzato “Obama the Redistributor” o “the Socialist”) questa ricchezza ve la vuol portar via per “spreading it around”, ridistribuirla a vantaggio di chi non lavora e non produce alcunché. Non è questa – si è chiesta molto seriamente Sarah Palin nel corso di un comizio in Pennsylvania, solo due giorni fa – la dimostrazione della natura “collettivista” della politica del nostro rivale?

Questo vanno dicendo e ridicendo John e Sarah, incuranti del fatto che, con grande diligenza, i cronisti avessero fin dalle ore immediatamente successive all’ultimo dibattito rivelato come: 1) Joe the Plumber non fosse, per l’appunto, né Joe, né plumber; 2) come il suo progetto di rilevare l’impresa per la quale lavorava – un’impresa che, comunque, produce introiti per meno di 100mila dollari all’anno – fosse frutto di pura fantasia; 3) come, in Ohio, il reddito medio di un idraulico sia, in realtà, di 47mila dollari all’anno, meno d’un quinto del “tetto” della proposta fiscale democratica; e, 4) come Joe the Plumber ed i suoi colleghi sarebbero di conseguenza, nel caso di vittoria democratica, tra i più favoriti beneficiari della “ridistribuzione di ricchezza” proposta dal bolscevico Barack Obama.

Concludendo – e visto che proprio Karl Marx è stato tanto inopinatamente tirato in ballo – si può tranquillamente affermare che davvero, parafrasando il celeberrimo inizio del Manifesto, un fantasma si va aggirando per la campagna presidenziale americana dell’anno 2008: quello, ovviamente, di Beppe l’idraulico. Solo che lo spettro in questione preannuncia, non la nascita d’un movimento destinato a cambiare il corso della Storia, ma la morte di qualcosa, la fine d’un processo. Perché – al di là della vera storia di Samuel Wurzelbacher – quel che davvero Joe the Plumber rappresenta in forma caricaturale è, in effetti, un cadavere. Il cadavere del reaganismo. Volendo, già che ci siamo, restare alle più usate ad abusate tra le citazioni marxiane: Joe the Plumber è, in realtà, la ripetizione in chiave di farsa d’una tragedia. Più specificamente: è la macchiettistica riproposizione del “Reagan democrat”. Vale a dire: della figura sociale che, sul finire degli anni ’70, chiudendo un processo apertosi più di dieci anni prima come reazione al movimento per i diritti vivili e con il ’68, aveva cementato la nuova maggioranza che avrebbe portato alla presidenza Ronald Reagan. La stessa maggioranza che, con la parentesi clintoniana (una parentesi che fu, comunque, più un periodo di cooptazione che di negazione del le teorie reaganiane) ha governato l’America negli ultimi trent’anni.

Il reaganismo era stato, in sostanza, proprio questo: i Dopo otto anni di George W. Bush, quello che resta di questa “utopia capitalista” è un presidente sceso ormai al di sotto del 20 per cento degli indici di preferenza, un paese in guerra e, soprattutto, una “classe media” (ovvero: la somma dei Joe the Plumber) più povera e più sfruttata, un “sogno americano” ferito da livelli di diseguaglianza sociale che hanno, ormai, superato quelli dei “ruggenti anni ‘20”. L’inarrestabile marea del capitalismo senza regole – quella che doveva sospingere tutte le imbarcazioni verso il paradiso del benessere – s’è trasformata in uno “tsunami finanziario” che ha proiettato sull’intero pianeta l’ombra d’una possibile depressione globale. E Joe l’idraulico è diventato il simbolo – tragico ed insieme ridicolo, come in tutte le farse – d’un mondo che muore, la grottesca invenzione destinata (la battuta è pressoché inevitabile) a cercare di riparare una campagna elettorale (quella di McCain) che fa acqua da tutte le parti.

L’originale Joe the Plumber – Samuel Wurzelbacher , strappato all’improvviso all’anonimato della sua esistenza – non solo, com’è ovvio, voterà per McCain, ma per McCain va, in questi giorni, facendo attiva propaganda. Ed è possibile che – nonostante lo scempio che tutti i “comedians”, i comici, vanno in questa vigilia facendo del suo personaggio – molti idraulici lo seguano regalando al candidato repubblicano una, a questo punto, molto sorprendente vittoria. Per dirla tutta: è possibile che la paura – per l’uomo nero, per il “socialista”, per l’ “arabo” come una vecchia signora ha avuto modo di definire Obama rivolgendo a una domanda a McCain nel corso di un meeting elettorale – finisca per vincere nelle urne. Ma nessun idraulico – nessun medico, nessuna medicina – potrà, a questo punto,ridar vita al cadavere di cui Beppe l’idraulico è lo spettrale simbolo post-mortem. John McCain potrà – forse – vincere da reaganiano. Ma da reaganiano non potrà, comunque, governare. Perché ed il mondo l’America hanno già voltato pagina.

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