‘Abbia la certezza, signor presidente, che se dialogo è quello che cerca, qui dialogo troverà…’. Questo ha detto, venerdì sera, il nuovo presidente della Asamblea Nacional, Henry Ramos Allup, nel corso della sua molto colloquiale – ed a tratti assai pepata – replica al discorso di ‘memoria y cuenta’ (una sorta di ‘rendiconto’ annuale del capo della Nazione di fronte al potere legislativo) che Nicolás Maduro aveva poco prima solennemente concluso nell’aula parlamentare. E le sue potrebbero – pur nella loro vaghezza – sembrare parole di buon auspicio, specie se sovrapposte a quelle (altrettanto vaghe e, talora, decisamente contradditorie) con le quali il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela aveva, in alcune parti del suo rapporto, sottolineato il desiderio di perseguire un ‘incontro nazionale’ a fronte della drammatica crisi economica che attraversa il Paese. Ma quante sono davvero, in concreto, le possibilità che, in questo Venezuela in piena bancarotta economica, politica, istituzionale e morale, si apra un vero dialogo tra il governo ed una opposizione oggi diventata maggioranza?
Per dare un’adeguata risposta a questa domanda, indispensabile è concludere la narrazione della storia – un mostriciattolo mezza barzelletta e mezza tragedia, anzi, mezza barzelletta e tragedia a tutto tondo – che per ragioni di spazio avevo sul più bello interrotto nel precedente post (le mie scuse ai lettori che, con più d’una buona ragione, hanno criticato questa scelta). La storia è quella del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj, arbitro ultimo della ‘costituzionalità’ d’ogni legge) e di come quest’ultimo, a partire da 2004, anno nel quale Hugo Chávez ne modificò la composizione, si sia trasformato da organo tutore della Costituzione a servile garante dell’assoluta e scontata impunità d’un governo – quello del ‘comandante supremo ed eterno’ prima e, poi, quello del suo erede ed apostolo Nicolás Maduro – che, negli ultimi 11 anni, la Costituzione ha sfacciatamente violato, in pratica, in ogni sua parte. Come oltre ogni ragionevole dubbio confermato da ciascuna dalle 45.474 sentenze (tutte, immancabilmente, fotocopie di ordini governativi) dal Tsj emesse in oltre un decennio.
Ultimo tragicomico capitolo di questa storia. Consumata la catastrofe elettorale dello scorso 6 dicembre, la vecchia An, ormai sconfessata dalle urne, ha da par suo provveduto – sotto la guida del suo presidente uscente, il ‘grande manganellatore’, capitan Diosdado Cabello – a rafforzare ulteriormente il rapporto ancillare che lega questo Tsj al potere esecutivo. Come? Prima spingendo alle dimissioni anticipate – nel nome della fedeltà al culto di Chávez – tredici giudici il cui mandato sarebbe scaduto l’anno prossimo. E quindi in tutta fretta sostituendoli con altri giudici rigorosamente selezionati in base alla fede politica (vale a dire: tutti chavisti del più puro e docile lignaggio). Va da sé, che – a parte l’ovvia indecenza d’un provvedimento assunto nel periodo d’interregno – tanto la Costituzione quanto la ‘Legge organica del Tsj’ prevedono per la nomina di nuovi giudici procedure complesse, in nessun modo completabili nel breve periodo di vita che restava alla vecchia An. E va da sé che, con l’assenso del Tsj, queste procedure capitan Cabello ed i suoi le hanno, senza problema, violate tutte.
Risultato: un nuovo ed ancor più chavista Tsj, immediato e brillante protagonista, grazie alla sua Sala Elettorale, del ‘gioco delle tre tavolette’ descritto nel precedente post. O meglio: del gioco dei tre deputati – quelli eletti nello stato di Amazonas e dal Tsj ‘sospesi in modo cautelare’ – grazie al quale l’opposizione è stata privata della maggioranza qualificata conquistata nelle urne. Luminoso simbolo di questo capolavoro d’assoluta impudicizia istituzionale: Christian Zerpa, fino a ieri deputato del Psuv ed oggi, dopo esser stato sonoramente trombato il 6 dicembre, trasfigurato, grazie anche a se stesso, in nuovo e fiammante giudice del Tsj. Perché grazie anche a se stesso? Perché per se stesso Zerpa non ha avuto alcun problema a votare nell’ultima, spudorata seduta della vecchia An che ha ‘rinfrescato’ il Tsj. E dovesse qualcuno, a questo punto, venire a raccontarvi come proprio da lui, da Christian Zerpa, sia stata presieduta la Sala Elettorale del Tsj che, giorni fa, ha ‘sospeso’ i tre deputati dell’Amazzonia, sbagliereste di grosso pensando che si tratta soltanto d’uno scherzo di cattivo gusto. Proprio così, infatti, sono andate le cose. Ed il tutto – volendo usare una metafora calcistica – con un ovvio e molto edificante messaggio finale alla Nazione: la nuova An eletta dal popolo può segnare tutti i goal che vuole. Tanto l’arbitro è nostro e li annullerà…
Domanda: quali margini di dialogo – un dialogo reale in direzione dell’ ‘incontro nazionale’ a parole propugnato da Maduro – possono esistere in paese il cui impianto istituzionale è stato, in 17 anni di caudillismo chavista, ridotto alla burla sopra descritta? Non molti. Anche perché la base politica di questo molto ipotetico incontro – per l’appunto, il discorso di ‘memoria y cuenta’ tenuto venerdì sera da Maduro – non s’è rivelata, a conti fatti, che una tragica continuazione di quella burla. Tutto quello che – pur in un mare di parole e di vecchi slogan – l’erede designato di Hugo Chávez ha saputo offrire alla nuova An è stata la richiesta d’un assegno in bianco col quale, di fatto, finanziare lo status quo. Vale a dire: pieni poteri per affrontare lo ‘stato di emergenza economica’ da lui dichiarato alla viglia del suo discorso davanti alla An. E questo al fine di continuare a combattere, senza condizionamenti di sorta (altro che dialogo), una guerra che non esiste. La ‘guerra economica’, per l’appunto, secondo Maduro causa di tutti i mali che affliggono il Venezuela. Ed è proprio di questa guerra immaginaria che scriverò nel prossimo post.