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Hugo desnudo

29 settembre 2011

di Massimo Cavallini

Quando, quasi 12 ore dopo la chiusura delle urne, Hugo Chávez Frías s’è presentato di fronte ai giornalisti stranieri (quelli locali li ha lasciati fuori della porta), era vestito di tutto punto, Anzi: come da qualche tempo gli capita, era letteralmente avvolto in una bandiera nazionale, dagli stilisti presidenziali opportunamente trasformata in una (non propriamente discreta) giacca sportiva. Ma di lì a poco, come il re della celeberrima favola di Andersen, il presidente bolivariano si sarebbe mostrato alla platea ed al mondo in tutta la sua metaforica e furente nudità. Causa della metamorfosi: la domanda postagli dalla giornalista Andreina  Flores, una venezuelana che lavora per Radio France. La domanda era semplicissima e, date le circostanze, assolutamente inevitabile: come spiega – gli ha chiesto Andreina Flores ripetendo dati che lo stesso Chávez aveva appena fornito – il fatto che il partito di governo ed il partito d’opposizione hanno preso grossomodo lo stesso numero di voti, ma il primo ha ottenuto 37 seggi in più nella nuova Assemblea Nazionale?

Anche la risposta era (ed è) semplicissima. Anzi: più che semplice, ovvia. La disparità nel numero dei seggi si deve al fatto – più che risaputo e ben prima delle elezioni denunciato – che lo scorso anno tutte le circoscrizioni elettorali sono state ad arte ridisegnate con l’evidente obiettivo di favorire il PSUV, il partito-stato da Chávez creato nel 2006. In sostanza: il voto – che dal 1997 è garantito da un sistema di suffragio elettronico considerato tra i più affidabili al mondo – è stato ancora una volta impeccabilmente regolare. Nessuno ha votato più d’una volta ed i morti – non infrequenti protagonisti di processi elettorali in diverse parti del pianeta – sono rimasti nei loro sepolcri. Ma una delle due parti – l’opposizione – la corsa l’ha dovuta fare, se non proprio su una sola gamba, quantomeno a piedi scalzi.

La storia è nota. Nel novembre del 2008, il Venezuela ha votato per le elezioni amministrative. Ed il voto – pur complessivamente favorevole (per un 60 a 40) al partito di Chávez – aveva indicato un pericoloso indebolimento del PSUV nelle aree più popolate e produttive del paese. Ragion per la quale, un anno dopo, una classica “legge ad hoc” ha ridefinito tanto i confini delle circoscrizioni, quanto il rapporto tra le singole circoscrizioni ed il numero dei deputati eleggibili. Giusto per fare un esempio nostrano:  immaginatevi l’Italia della prima repubblica, e la sua piuttosto ben definita mappa politica. Ed immaginate che, in questa mappa, alla bianchissima Treviso ed alla molto rossa Modena – due città con il medesimo numero di aventi diritto al voto – fosse stato assegnato un numero molto diseguale di deputati. Diciamo 10 alla prima e 4 alla seconda (o viceversa). Come sarebbe stata definita allora – e come sarebbe giusto definire oggi e domani – una simile ripartizione dei seggi? Se la vostra risposta è “legge truffa” vi siete guadagnati il diritto, direi l’enorme privilegio, di passare al seguente capoverso…

…ed il tutto per apprendere quello che già avete immaginato. Ovvero: che proprio questo è ciò che è avvenuto in Venezuela. Niente premi di maggioranza (come vanno goffamente sostenendo i chavisti di tutte le latitudini) e niente problemi legati alla sostanziale iniquità del maggioritario. In Venezuela si è semplicemente alterato, creando circoscrizioni elettorali molto orwellianamente “più uguali delle altre”, il basico principio democratico del “un uomo, un voto”. Qualche esempio: nello Stato di Carabobo, l’opposizione ha preso il 53 per cento dei voti ed il PSUV il 46. Ma 5 degli otto deputati eleggibili sono andati proprio al partito di Chávez. A Caracas c’è stato sostanzialmente un pareggio (47,8 all’opposizione e 47,7 al PSUV). Ma il PSUV si è preso 7 degli otto seggi a disposizione. E l’elenco potrebbe continuare.

Il bello è che era stato proprio Chávez, sbeffeggiandosi da par suo del “trionfalismo” dell’opposizione, a sollecitare la domanda della brava Andreina. L’opposizione – aveva detto quasi sghignazzando il presidente bolivariano – dice di avere ottenuto più voti di noi. Falso. Ed aveva a questo punto sciorinato quelli che non aveva esitato e definire “dati ufficiali” (anche se, di ufficiale – cioè di proveniente da Comitato Nazionale Elettorale, CNE – non c’era niente allora e non c’è nulla ora, al momento dell’invio di questo post). Su 11 milioni di voti (poco più del 66 per cento degli aventi diritto), ha detto Chávez, 5 milioni e 400mila suffragi sono andati al PSUV e 5 milioni e 300 mila all’opposizione. Dunque: come mai una differenza di voti tanto esigua si è trasformata in un distacco di 37 deputati (il conteggio più aggiornato è 98 a 66)?

Ed è a questo punto che, messo di fronte a questa elementare domanda, il re è infine apparso furentemente, ma pateticamente nudo. Nudo da sempre, come quello di Andersen, ma nella sua nudità protetto, fino all’innocente discesa in campo di Andreina, dal servilismo della corte.

Non vale la pena, a questo punto, soffermarsi in dettagliate descrizioni, perché la scena è già prevedibilmente diventata (guardate qui) un cliccatissimo clip di Youtube. Ma certo è che l’ “Hugo desnudo” non ha nemmeno accennato ad una risposta. Ha cercato di fare dell’ironia – a tratti grossolana – sulla “periodista”. L’ha definita “ignorante” cercando poi – in un sardonico crescendo – di far passare l’insulto per una semplice declinazione del verbo “ignorare” (secondo Chávez Andreina ignorava la Costituzione), ha accusato Radio France di aver diffuso “menzogne” sul suo conto senza precisare quali; ha ridacchiato ed ha scambiato battute con i suoi cortigiani. Mai avaro di parole, Hugo Chávez Frias ha, anche questa volta, detto molte cose. Ma non ha risposto.

Qualcosa di simile era accaduto nel 2007, nel corso d’uno dei maratonici “Aló, Presidente” (da molti ribattezzato “Aló Prepotente”), con i quali Hugo Chávez usa occupare i canali televisivi venezuelani molto impropriamente definiti “pubblici”. Un giornalista del quotidiano inglese “The Guardian”, Rory Carroll, gli aveva rivolto – come ieri Andreina Flores – una domanda molto logica e (proprio per questo) molto sgradita. E Chávez aveva trascorso una mezzoretta buona, non rispondendogli, ma accusando Carroll – irlandese e repubblicano – di complicità con i molti crimini commessi dalla corona britannica nel corso dei secoli.

Molti si chiedono, visti i risultati elettorali, che cosa accadrà ora che l’opposizione è – nonostante le leggi truffa – tornata in forze in parlamento. Non è facile dirlo, anche perché Chávez potrebbe usare nei confronti della nuova Assemblea Nazionale (che non entrerà in funzione prima di tre mesi), lo stesso trattamento riservato, due anni fa, alla “alcaldia” di Caracas, da lui perduta nelle urne. Vale a dire: approfittando del periodo d’interregno, potrebbe abolire di fatto, se non di diritto, un Parlamento che non è più, come l’attuale, sotto il suo completo controllo. Quello che è certo è che nulla – né il nuovo Parlamento, né l’antico comune senso del pudore – riuscirà a frenare (almeno fino al 2012, anno delle nuove presidenziali) la logorrea (brutte figure incluse) di Hugo Chávez Frías. Ci saranno repliche. Molte repliche. Tenete d’occhio Youtube.

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