Claudia Sheibaum, prima presidente donna della storia del Messico, ha da poche ore iniziato la sua avventura sessennale, E pessime notizie arrivano dal più delicato e truce dei fronti: quello della criminalità. Nella Stato di Sinaloa, storico territorio d’uno dei più potenti cartelli del narcotraffico, una guerra interna ai potentati della droga ha generato un clima di violenza e terrore la cui fine difficile è immaginare. Ecco quel che Natalie Kritoef e Paulina Villegas scrivono in proposito sul New York Times
Cadaveri abbandonati come sacchi di spazzatura al bordo della strada. Scontri a fuoco in quartieri di lusso. Trattori-rimorchi incendiati lungo la strada. Persone estratte a forza dalle loro auto da uomini armati in pieno giorno. Ecco quel che si pare di fronte agli occhi quando scoppia una guerra all’interno d’una delle più potenti mafie criminali del mondo, il cartello di Sinaloa, con due fazioni rivali l’una contro l’altra armata – e armata fino ai denti – in una sanguinosa e spietata lotta per controllare un impero della droga multimiliardario.
Gli ultimi anni erano stati relativamente pacifici nello stato di Sinaloa, nel nord-ovest del Messico, dove il dominio di un’unica organizzazione criminale coesa aveva mantenuto le guerre territoriali al loro minimo e dove i tassi ufficiali di omicidi erano inferiori a quelli di molte grandi città degli Stati Uniti.
Poi, alla fine di luglio, un tradimento impensabile ha avuto luogo: Ismael “El Mayo” Zambada García, padrino del cartello, è stato ingannato dal figlio del suo ex alleato, rapito, costretto a fuggire negli Stati Uniti e qui arrestato da agenti americani, secondo funzionari degli U.S.A. Zambada ha rivelato il tradimento in una lettera che, rilasciata dal suo avvocato, narrava come il giorno in cui era stato arrestato, fosse stato prima invitato un incontro apparentemente amichevole e quindi “aggredito” e “rapito” da uno dei figli di Joaquín Guzmán Loera, noto come El Chapo , co-fondatore, assieme a li, del Cartello di Sinaloa.
Non era quella la prima volta che una delle famiglie dei “capos” s macchiava di tradimento nei confronti dell’altra . Le tensioni tra le due parti erano incandescenti da quando El Chapo era stato catturato e messo sotto processo in un tribunale federale degli U.S.A. dove, nel 2019, uno dei figli di El Mayo aveva offerto testimonianza incriminante contro il signore della droga. Testimonianza che in modo decisivo contribuì alla sua condanna all’ergastolo. Per circa un mese dopo il rapimento e l’arresto di El Mayo, lo stato di Sinaloa era vissuto in un clima di suspense, in attesa di vedere quali decisioni – un nuovo accordo o una guerra aperta – avrebbero assunto gli eredi dei due capi-famiglia . All’inizio di settembre, una risposta è arrivata: un’esplosione di uccisioni ha segnato l’inizio di una guerra totale.
“Non siamo ancora alla fine di questo lungo periodo di violenza, che ci sta sopraffando” ha detto il governatore Rubén Rocha Moya di Sinaloa in un’intervista, aggiungendo: “Il governo non è affatto sopraffatto, al contrario, siamo sempre meglio posizionati per affrontare la violenza.” Ma la gente di Sinaloa non sembra, alla luce dei fatti, convinta che la situazione sia sotto controllo.
Gli abitanti ora vivono in una sorta di coprifuoco auto-imposto, chiudendosi in casa dopo il tramonto. I genitori rifiutano di mandare i figli a scuola per paura di finire nel fuoco incrociato. Secondo un portavoce del procuratore generale dello stato, lunedì scorso uomini armati hanno costretto due sindaci locali fuori dai loro veicoli e rubato le loro auto…
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