Hanno arrestato l’ex ministro degli interni (ed ex generale) Miguel Rodríguez Torres. Anzi, lo hanno “catturato”, come ha riferito stamane la televisione di stato venezuelana (VTV, supina portavoce del governo) usando un termine solitamente usato per ricercati “in fuga”. Rodríguez Torres non stava in realtà fuggendo e – come da tempo vuole la prassi della repressione bolivariana – gli agenti dei servizi segreti l’hanno prelevato nella sua abitazione, senza alcun mandato di cattura.
Dove si trovi e di che cosa l’ex ministro sia stato formalmente accusato – se formalmente accusato è stato di qualcosa, non essendo stato il suo arresto avvallato da alcun giudice – non è ovviamente dato sapere. Ma i media controllati dal governo genericamente parlano di “tradimento della Patria” e di “complotto contro la granitica unità della FANB”. Un limbo giuridico, questo, nel quale l’ex generale ed ex ministro resterà – senza una vera imputazione e senza un vero mandato di cattura, in balía dei servizi segreti in una altrettanto segreta prigione – per parecchio tempo. Lo stato di diritto e la trasparenza non sono ormai, in Venezuela, che un lontano e sbiadito ricordo.
Quello che è certo è che l’arresto di Miguel Rodríguez Torres è parte d’una classica “purga” destinata a preventivamente controllare ogni moto di ribellione all’interno delle forze armate. Non per caso, solo poche ore prima, altri 19 ufficiali – molti dei quali al comando di reparti operativi – erano stati arrestati, con le medesime illegali modalità, anche loro accusati di generici reati (“tradimento alla Patria) destinate a non passare mai al vaglio di un giudice.
Il regime – un regime che, è bene ricordalo, ha trasformato in festa patria la data del golpe militare messo in atto dal tenente colonnello Hugo Chávez nel febbraio del 1992 – teme evidentemente che qualcosa del genere possa di nuovo capitare. E si premunisce.