Gabriella Saba racconta le origini, le prospettive, le speranze e i pericoli del dialogo tra governo colombiano e FARC ripreso ieri all’Avana. Obiettivo: chiudere un conflitto che dure, ormai, da oltre mezzo secolo.
Il presidente colombiano Juan Manuel Santos è un uomo di parola. Aveva promesso la pace “con la ragione o con la forza” e, benché il cammino non sia affatto facile, il risultato per nulla scontato e la strada delle negoziazioni costellata di intoppi e scontri, a furia di insistere e crederci ha inaugurato, tre mesi fa, gli esordi d’un dialogo al quale la Colombia guarda con ottimismo, sia pure cauto: non foss’altro perché, nei circa cinquant’anni di conflitto tra Farc e Stato, non si erano mai viste premesse così apparentemente promettenti, e una volontà così decisa e di entrambe le parti di mettere fine agli orrori di mezzo secolo di ostilità.
“Siamo arrivati qui con un ramo di ulivo”, ha dichiarato lo scorso ottobre a Oslo (dove si è svolta la prima tranche di incontri), il portavoce delle Farc Iván Márquez, capo della delegazione che rappresenta l’organizzazione guerrigliera al tavolo di pace. E in effetti il clima di quei primi incontri è stato, per ammissione dello stesso Frente, di equilibrio e sintonia. Tanto è che, pur tra reciproche accuse e attacchi frontali, i dialoghi hanno ottenuto il primo, parziale successo di mettere nero su bianco una agenda comune, articolata in cinque punti e di cui si sta discutendo, dallo scorso novembre, all’Avana, Paesi mediatori: Venezuela e Cile.
“Le probabilità che si arrivi alla pace sono più del cinquanta per cento”, ha scritto in un report l’associazione International Crisis Group: noncerto poco se si tiene conto della spinosità dei temi sul tavolo, primo tra tutti il [quote float=”right”]Il 52 per cento delle terre è nelle mani del di un’oligarchia che rappresenta l’1,15 per cento della popolazione, oltre sei milioni di ettari sono stati svuotati o distrutti da paramilitari e guerriglia[/quote] cosiddetto desarrollo agrario integral che rappresenta la questione principale, la più complessa e intricata: una radicale riforma agricola che riassesti la disastrosa e iniqua distribuzione delle terre: circa il 52 per cento di queste sono nelle mani dell’1,15 per cento della popolazione, oltre sei milioni di ettari (più della metà dei terreni agricoli) sono stati abbandonati o distrutti da paramilitari e guerriglia e quattro milioni di colombiani hanno dovuto abbandonare il campo a causa del conflitto: molti di loro si sono rifugiati nelle periferie delle grandi città dove sopravvivono a stento. Nella maggior parte delle zone rurali mancano le infrastrutture o sono carenti, e in oltre la metà non esistono titoli formali che certifichino la proprietà di questo o quell’appezzamento.
La commissione per la pace della Camera, che affianca i dialoghi, ha coinvolto i rappresentanti di campesinos e terratenientes nelle trattative, invitando sedici corporazioni e migliaia di persone e organizzazioni a presentare proposte che sono state esaminate all’Avana in un forum del mese scorso. Dall’esame di queste, emerge più che mai che il problema non solo è complesso, ma ha molte facce e tutte ostiche. A togliere rappresentatività alle consultazioni ci si è messa poi la Fedegan, la potente Federazione Nazionale dei Ganaderos, che ha deciso di sfilarsi dal foro perché rifiuta, dice, di patteggiare con “carnefici”. “Rispetto questa decisione, ma ribadisco che i ganaderos sono stati i più danneggiati dal conflitto”, ha commentato Santos. “Ed è irrazionale che non partecipino”. Per il presidente, la pace rappresenta la scommessa più difficile e importante del suo mandato, dal cui esito dipenderà in gran parte l’eventuale rielezione.
Non si tratta di una apuesta impopolare né troppo azzardata ed è probabile si sia scelto il momento più adatto per realizzarla: le Farc sono debilitate dalle continue emorragie di combattenti e di leader degli ultimi anni, e [quote float=”left”]San Vicente del Caguán, una pesante eredità di tradimenti e di reciproca sfiducia, che pesa sui negoziati di pace[/quote] dalla smobilitazione di centinaia di guerriglieri che si sono avvicinati ai progetti di recupero, mentre il governo è più forte, per esempio, rispetto all’epoca dei precedenti accordi di San Vicente del Caguán, intrapresi nel 1999 tra l’allora presidente Andrés Pastrana e l’ex capo delle Farc Tirofijo e falliti dopo qualche anno, quando la guerriglia non rispettò nessuno degli impegni presi e il governo bombardò la zona del despeje. Anche il governo dell’ex presidente Alvaro Uribe, l’uomo forte che ha governato la Colombia per otto anni con mano dura lo era, ma a differenza di Santos il suo predecessore non aveva mai riconosciuto che nel Paese ci fosse un conflitto interno, considerava le Farc banditi e pretendeva una resa quasi senza condizioni, negando fino all’ultimo la concessione del territorio richiesto dalla guerriglia per la smobilitazione. Non a caso, Uribe è adesso uno dei più accesi detrattori del processo di pace. Un altro è Miguel Gómez Martínez, rappresentante alla Camera per Bogotà. “E’ sbagliato credere che le Farc vogliano la pace. Il loro obiettivo è, in realtà, una parte del potere”, ha dichiarato. Eppure, il settanta per cento dei colombiani è a favore delle trattative, percentuale che però precipita quando si tratta di esprimersi sul punto tre dell’agenda, e cioè sulla partecipazione dei guerriglieri alla vita politica, una volta siglata la pace. “Non si può chiedere alle Farc che si inginocchino, si arrendano e consegnino le armi. Non lo faranno. Deve esistere una via d’uscita, che permetta loro di entrare nell’arena politica”, ha ribadito a questo proposito il presidente, aggiungendo però che la giustizia farà il suo corso e non andrà impunito chi ha commesso crimini.
Quello dell’impunità è un altro punto dolente, dato che le Farc si considerano a loro volta vittime del conflitto e dell’aggressività di uno Stato ingiusto. Rodrigo Granda, uno dei delegati dell’organizzazione al tavolo di pace, ha dichiarato in un’intervista alla Bbc che in ogni guerra ci sono eccessi e che “la nostra è stata una guerra difensiva….e se abbiamo fatto soffrire qualcuno non lo abbiamo fatto per cattiveria”. In ogni caso, è vero che i guerriglieri hanno dimostrato, fino a questo momento e per ammissione della controparte, serietà e affidabilità negli impegni presi. Come dimostrazione di buona volontà, hanno dichiarato il cessate il fuoco per due mesi, dal 20 novembre al 20 gennaio, ordinando a tutti i comandi di interrompere attacchi e assalti, iniziativa che è stata rispettata quasi alla lettera, ma si lamentano che Juan Manuel Santos abbia invece stabilito di continuare le ostilità fino a quando non verrà raggiunto un accordo.
Interrotti fino a qualche giorno fa e ripresi lo scorso otto gennaio, i dialoghi entrano adesso nella fase più a rischio, visto che ciascuno dei cinque punti dell’agenda pone problemi e apre contenziosi interminabili. Un problema difficilmente superabile è, per esempio, l’obbligo di estradare quasi tutti i componenti della cupola delle Farc negli Stati Uniti. Per la guerriglia, si dovrebbero abolire i punti della Costituzione che prevedono [quote float=”right”]Le Farc sostengono di aver liberato tutti gli ostaggi nelle loro mani e i guerriglieri guardano a se stessi come “vittime” del conflitto. Una posizione che il governo (e la pubblica opinione) mai accetteranno[/quote] quell’accordo, ma è difficile che il governo colombiano sia dello stesso avviso. Un altro punto delicato è quello del risarcimento delle vittime. Le Farc assicurano che tutti gli ostaggi sono stati liberati e che molti tra i desaparecidos, la cui scomparsa viene attribuita ai miliziani, sono in realtà vittime dei paramilitari o dello stesso esercito. “Nessuno ostaggio è nelle nostre mani”, dichiara Rodrigo Granda ma è difficile farlo credere, per esempio, alla madre di Ruth Beatriz Castaño, la più antica sequestrata dalla guerriglia, che lo scorso 7 gennaio ha celebrato i quarant’anni della figlia, rapita tredici anni fa, con una eucaristia commossa. E’ possibile che Granda non sia del tutto in malafede, e creda seriamente, come molti guerriglieri, che tutto sia giustificato se è in nome del popolo, dei campesinos e degli sfruttati, e non si accorga di rappresentarlo invece sempre meno, quel popolo, e che la credibilità delle Farc è andata erodendosi a mano a mano che aumentavano i sequestri, gli omicidi e le minacce, i reclutamenti forzati di ragazzini nella selva: benché assai meno atroci di quelli dei paracos, non per questo sono da encomiare.
“Con il tempo, le Farc si sono trasformate sempre di più in un esercito autoreferenziale, fine a se stesso, in uno Stato nello Stato più interessato ad ampliare e difendere i suoi confini che a combattere per la giustizia sociale”, spiega un analista un tempo vicino alla guerriglia. Infine, ma legato a tutto il resto, c’è il narcotraffico. I guerriglieri negano di avere mai spacciato coca, assicurando di limitarsi a far pagare una commissione ai contadini che la coltivano. La Polizia colombiana e gli Stati Uniti li accusano invece di essere una sorta di cartello. Comunque stiano le cose, se davvero l’accordo di pace dovesse riassestare il sistema Colombia, riequilibrare gli assetti sociali e mettere i colombiani nelle condizioni di guadagnarsi da vivere degnamente, è possibile che quel problema si ridimensioni. Questo, almeno, è il sogno della gente, e ancora è troppo presto per capire se sia campato in aria.
Gabriella Saba è giornalista freelance, esperta in America Latina, continente nel quale ha a lungo vissuto. Per 2Americhe, della quale è fondatrice, ha scritto, oltre a molti reportage, quattro “racconti boliviani”
Gli italiani residenti all’estero eleggeranno
per La circoscrizione Sudamerica
4 deputati e 2 senatori
Il plico che gli elettori hanno ricevuto
contiene anche la busta affrancata recante
l’indirizzo dell’ufficio consolare,
dove gli elettori dovranno rispedire la scheda
con il voto entro il prossimo 14 febbraio.
Ci rivolgiamo a tutti gli Italiani in America Latina
chiedendo di dare il Vostro voto all’on. Giuseppe Angeli
che da 2 legislature si occupa con impegno,
serietà e dedizione ai suoi connazionali
residenti in America Latina…
grazie, un caro saluto a tutti….
Dirigimos a todos los italianos en América latina preguntando de dar
el Suyo voto a Angeli que de 2 legislaturas se ocupa con empeño,
seriedad y dedicación a sus connacionales domiciliados en América latina…
gracias, un cariñoso saludo a todo….