Su un punto, almeno, tutti sembrano concordare: la corsa per la Casa Bianca questa volta è, essenzialmente, una gara d’impopolarità. O, più esattamente: è una competizione tra due candidati che tutti i sondaggi inequivocabilmente indicano – e da ben prima che le primarie avessero inizio – come a torto o a ragione ritenuti sul piano della sincerità inaffidabili, da una rilevante maggioranza dei cittadini. Secondo la più recente delle inchieste, infatti, solo il 37 e il 33%, rispettivamente, valutano Hillary Clinton e Donald Trump honest and trustworthy, onesti e degni di fiducia. Il che ci rivela quanto profonda resti – sedici anni dopo i famosi 518 voti della Florida che, nell’anno 2000, regalarono al mondo George W. Bush – la crisi del sistema politico-elettorale americano.
Ma quale di questi due riconosciuti campioni di percepita insincerità – uniche vere scelte che il summenzionato sistema politico offre oggi all’elettore Usa – è, alla prova dei fatti, il più bugiardo? Molti analisti americani (tra cui Fareed Zakaria del Washington Post, Nicholas Kristof del New York Times, Teet Heer, da The New Republic e Eldar Sarajlic, da Salon) si sono, in questi giorni, posti la domanda. E sono arrivati, nella maggioranza dei casi, a una conclusione solo apparentemente illogica. Tra Hillary e Donald, hanno quasi all’unisono sostenuto, la più bugiarda è indubbiamente Hillary. Dei due, anzi, Clinton è, in effetti, l’unica bugiarda. E lo è – ecco dove sta l’apparente paradosso – non perché mente di più, ma perché mente incomparabilmente meno del suo rivale.
Assurdo? Per nulla se, oltre alla quantità e alla qualità delle menzogne, si prende in considerazione anche l’origine psicologica, la causa prima, l’essenza o, se si preferisce (sperando di non offendere i cultori della filosofia classica) l’‘idea platonica’, la ‘forma’ delle medesime. Partiamo, per chiarirci le idee da quel che dice in proposito PolitiFact (sia su Clinton sia su Trump), la più seguita e affidabile tra le pagine web che si prendono la briga di fare, in materia di veridicità, le pulci alla classe politica.
Per classificare il livello di coincidenza tra la realtà dei fatti e, in questo caso, il contenuto dei discorsi o delle dichiarazioni dei candidati, Politifact usa sei distinte categorie: vero, perlopiù vero, vero (o falso) a metà, perlopiù falso, falso ed infine Pants on Fire, mutande in fiamme – dalla vecchia filastrocca per bambini che fa: “lier, lier, pants on fire”, bugiardo, bugiardo ti bruciano le mutande – formula usata laddove le panzane raccontate raggiungono livelli di sfacciataggine inusitati e offensivi. In questo contesto, Hillary Clinton presenta una situazione di quasi perfetto equilibrio, con il 50% esatto di quel che sostiene nelle prime due categorie (vero e perlopiù vero) e l’altro 50% nelle restanti quattro (21% vere a metà, 14% perlopiù false, 11% false e 2% nei fiammeggianti inferi del Pants on Fire). Cifre che sono – secondo gli esperti in materia – in perfetta linea con la media della classe politica Usa.
In materia di menzogne, insomma, Hillary non è davvero nulla di speciale. Ed evidentemente deve la sua fama di persona insincera – diabolicamente insincera secondo i suoi molti nemici – non solo alle bugie che effettivamente racconta, ma anche (e in non piccola parte) al processo di demonizzazione che l’America più conservatrice e misogina va da un quarto di secolo conducendo contro di lei.
Ben diverse le cifre di Trump. Nel suo caso solo il 15% delle cose che è andato ripetendo nel suo molto inarticolato inglese (raramente Trump termina le frasi che apre e, quando lo fa, queste non superano di norma le cinque parole), rientra nelle prime due categorie (4% vero e 11% perlopiù vero). Tutto il resto è, a vari livelli, menzognero, con percentuali di totalmente falso (36%) e di “mutande in fiamme” (19%) che rappresentano, storicamente, un record assoluto (55% del totale). Prima di lui nessuno aveva mai mentito tanto. E nessuno lo aveva fatto con tanto sfrontata, infrangibile continuità.
Insomma: Donald J. Trump, candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti d’America, è bugiardo al punto – e proprio qui sta la logica della conclusione alla quale sono pervenuti gli analisti di cui sopra – che definirlo bugiardo è impossibile. Semplicemente: appartiene a un’altra categoria.
Ma quale categoria? La ricerca d’una risposta ha portato alla riesumazione d’un geniale libercolo che, scritto oltre un decennio fa da Harry G. Frankfurt, docente di filosofia all’Università di Princeton, sembra oggi un abito tagliato su misura, dal più brillante dei sarti, per Donald Trump (come riconosce lo stesso autore sul Time). Quel vecchio saggio s’intitola On Bullshit, termine slang che – molto spesso indicato con le semplici iniziali, B.S. – letteralmente sta per ‘escremento di toro’. Ma che nella vita di tutti i giorni inequivocabilmente significa “cazzate, puttanate, cagate, stronzate”.
On Bullshit molto eloquentemente spiega la fondamentale differenza – una differenza di categoria, per l’appunto – che separa il bullshit, o meglio, il personaggio che Frankfurt chiama il “bullshit artist“, il maestro della cazzata, dal semplice bugiardo. In estrema sintesi: il bugiardo appartiene, come entità negativa, al mondo della verità. Una verità che offende, ma che riconosce. Il bullshit artist si muove, invece, in un universo nel quale la differenza tra verità e menzogna s’è offuscata fino a scomparire perché altri (o nessuno) sono i valori che lo muovono. Di norma: un ego sfrenato e non sorretto, neppure approssimativamente, da adeguato livello culturale.
Il bullshit – scrive Frankfurt – è inevitabile quando, a causa delle circostanze, o, come nel caso di Trump, per propria volontà, qualcuno deve affrontare argomenti di cui vanta una conoscenza molto inferiore alle sue ambizioni. È una vecchia storia, quella del bullshit artist. Vecchia quanto l’uomo. Il problema è che, stavolta, un bullshit artist potrebbe (difficile ma non impossibile) mettere le mani sulla valigetta con i codici atomici. L’ho scritto e lo ripeto. Potessi votare io voterei, senza la minima esitazione, per la “bugiarda” Hillary Clinton.