“Una broma de mal gusto”, una barzelletta di cattivo gusto: così il presidente ecuadoriano, Rafael Correa, ha un paio di settimane fa commentato il decreto col quale, lo scorso 9 di marzo, Barack Obama ha dichiarato una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti la Repubblica Bolivariana del Venezuela. E davvero difficile è dargli torto, considerata l’assoluta sproporzione tra la monumentalità del pericolo annunciato e la microscopica rilevanza delle contromisure adottate (la negazione del visto d’entrata negli Usa a sette funzionari governativi di medio livello). A che cosa si deve un tanto spropositato e ridicolo gesto? Rispondere non è facile, ma tutt’altro che azzardato è, a questo punto, ipotizzare una possibile causa epidemica. Ovvero: immaginare che anche Obama sia rimasto vittima del contagio che, da molto tempo, trasforma in barzellette di cattivo gusto, o mal raccontate – vale a dire: in storie ridicole che però non fanno ridere – pressoché tutte le notizie relative al Venezuela bolivariano. A cominciare, ovviamente, da quelle che, da fonte governativa, narrano di golpe, ‘magnicidi’ e ‘guerre economiche‘.
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Al tema questo blog già ha dedicato un buon numero di post (clicca qui, qui, qui e qui). Ma vale la pena riprendere il filo del racconto per esaminare e chiosare le ultime barzellette della serie. Tutte ovviamente di pessimo gusto. E tutte tanto mal raccontate che in molti casi – anzi, sempre quando si tratta di presentare prove – molto più corretto sarebbe definirle non-raccontate. Come nel recentissimo caso di Antonio Ledezma, il sindaco di Caracas arrestato oltre un mese fa perché accusato di ‘golpe’.
Quale golpe? Due sono le ragioni che rendono assai ardua la risposta ad una tanto elementare domanda. La prima (e più generale): essendo i golpe denunciati dal governo venezuelano tanti e tanto frequenti – ed essendo questi, nel contempo, anche parte d’un ‘golpe permanente’, onnipresente ed invisibile, come l’aria che respiriamo – ormai impossibile è comprendere a quale tra essi il governo faccia riferimento. La seconda (e più specifica): le prove schiaccianti che Maduro aveva, il giorno stesso dell’arresto di Ledezma, promesso di presentare a brevissima scadenza, non sono mai arrivate. O meglio: si sono rivelate – come da tradizione – o inconcludenti baggianate, o l’oggetto d’un perenne annuncio. Qualcosa che arriva domani, prestissimo o, nel peggiore dei casi, ‘más temprano que tarde’. Un’entità racchiusa in un futuro sempre molto prossimo, ma destinato a restar tale. Una barzelletta, per l’appunto. Una barzelletta raccontata male. E quel che è peggio, raccontata dove non dovrebbe essere raccontata. Vale a dire: non nelle aule di giustizia, ma nelle maratoniche esibizioni a reti unificate del presidente, o nella Tv-manganello di capitan Diosdado Cabello, presidente della Asamblea Nacional e vero ‘uomo forte’ del regime. (Vedi qui e qui per capire di che cosa si nutra ‘Con el mazo dando’, sbirresco programma della televisione venezuelana di Stato).
Tornando però alla ‘broma de malgusto’ da Obama raccontata e prevedibilmente accolta con entusiastica indignazione (ci si passi l’ossimoro) da un governo alla disperata ricerca di nemici esterni ed interni sui quali scaricare la responsabilità della propria inettitudine. A rigor di logica, considerata la natura dei provvedimenti Usa, il governo avrebbe dovuto rispondere, non preparandosi a respingere un’invasione yanquee, ma preparando, a parti capovolte, una invasione in terra yanquee. Più precisamente: organizzando una operazione di commando tesa a garantire alle sette vittime della prepotenza imperiale (tutte accusate di violazione di diritti umani e di corruzione) l’ingresso a DisneyWorld negato dalle sanzioni. Ma così non è ovviamente stato. E poiché, come giustamente si dice, una buona immagine vale più di mille parole – o di cento barzellette mal raccontate – affido a due splendidi video diffusi dai media governativi la descrizione della risposta bolivariana al decreto imperiale di Obama.
Il primo video è di fatto una didattica ed assai faceta illustrazione di come i lavoratori – quelli di una centrale elettrica, nel caso specifico – debbano reagire di fronte agli inevitabili sabotaggi imperiali. E presenta almeno un paio di deliziosi siparietti (che non vi anticipo per non rovinarvi la sorpresa).
Il secondo (e più emblematico) video è invece quello che mostra, dal vero, una delle esercitazioni di massa organizzate dal governo a fronte di un probabile bombardamento dell’aviazione statunitense. Sirene e grida, raffiche di mitraglia, gente che corre in direzione dei rifugi mentre un’esagitata reportera con corpetto antiproiettile descrive i drammatici avvenimenti. Barelle e ambulanze, morti e feriti ovunque (uno persino con un coltellaccio da cucina piantato nel petto: che gli Usa si apprestino ad usare armi di distruzione di massa?). Il tutto con un grande ed ostentato dispendio di sangue. O, più esattamente: di conserva di pomodoro (articolo difficilissimo da reperire, di questi tempi, nei supermercati venezuelani)…Esilarante. Ma attenti: c’è una sequenza – quella che, all’inizio, ci offre l’immagine d’un bambino che, travestito da Simón Bolivar, con tanto di sciabola, viene trascinato per mano, perduto e spaventato, lungo questa parodia di guerra – che è, certo, la più surreale e ridicola, ma anche, nel contempo, la più triste e drammatica.
Con tutta la sua ridicolaggine, questo video resta, infatti, il frammento di una tragedia in fieri. Quella della morte di una democrazia. Ed a suo modo ci ricorda come, di fronte ad ogni tragedia, proprio i bambini siano sempre – in Venezuela come in tutto il mondo – la parte più fragile e indifesa. In questo video tutto fa ridere. Ma – come in ogni broma de mal gusto – non c’è, in effetti, niente da ridere…