La notizia – una notizia che già ha fatto il giro del mondo – è questa. Hope Carrasquilla, preside d’una scuola superiore di Tallahassee, capitale dello Stato della Florida, è stata senza complimenti messa alla porta per avere mostrato ai suoi alunni tredicenni, nel corso d’una lezione dedicata all’Arte del Rinascimento, la foto d’un uomo nudo. O, più precisamente: la foto della statua d’un uomo nudo che da oltre mezzo millennio, è universalmente noto come il Davide di Michelangelo. Il che ha fatto sì che d’acchito – come sempre accade quando di nudi, di Michelangelo e di braghe si tratta – tornasse a volteggiare un po’ ovunque, tra “social” e “media mainstream”, lo spettro triste di Daniele Ricciarelli da Volterra, ai posteri tramandato con un soprannome, il “Braghettone”, che ancor oggi alle orecchie dei posteri suona pesante e beffardo come una condanna. Anzi peggio, come una risata in saecula saeculorum.
Per i pochissimi che ancora non lo sapessero. Daniele Ricciarelli da Volterra, uno degli allievi preferiti dal Buonarroti, fu il pittore al quale, morto il maestro, papa Pio IV ordinò di coprire – ovvero, di metter le braghe a – tutte le nudità, maschili e femminili, che, lungo le volte della Cappella Sistina, costellavano il michelangiolesco Giudizio Universale. Un lavoro, questo, che il povero Ricciarelli affrontò, si dice, con grande e sofferta riluttanza, nonché – sostengono alcuni storici dell’arte – con meritoria moderazione, proteggendo l’opera dalle più distruttive ambizioni d’un montante oscurantismo. Cosa questa – e qui sta la tristezza della sua storia – che in nessun modo lo liberò dallo sfregio d’uno pseudonimo destinato ad accompagnarlo (e ad identificarlo) per l’eternità.
Da Roma a San Pietroburgo
Di Braghettoni (boriosamente felici, contrariamente all’originale, e per nulla riluttanti, anzi, di norma estremamente aggressivi) è, notoriamente, piena la Storia. Ultimi – e per fortuna solo temporanei – quelli che, nel gennaio del 2016, in occasione della visita a Roma del presidente iraniano Rohani, coprirono con candidi veli tutti i nudi esposti nei musei capitolini. E quelli che, nello stesso anno, nella Russia di Putin, imposero alla città di San Pietroburgo di nascondere sotto una classica foglia di fico le più intime parti del Davide, sconsideratamente esposto, in copia e senza veli, in una piazza per annunciare una mostra dedicata al Rinascimento. Particolarmente interessante è però, nello specifico caso di Tallahassee, scavare al di sotto del più immediato ed ovvio bigottismo del gesto, per cercare le molto peculiari (e aihnoi durature, strutturali verrebbe da dire) origini del “braghettonismo” floridiano. Chi sono, dunque, i Braghettoni in questione? Ed in quale contesto politico hanno “braghettonato”?
In numerose interviste (la più estesa ed interessante quella con Slate, che potete leggere qui) il più visibile dei sospettabili, Barney Bishop III, il presidente del comitato direttivo della Tallahassee Classical School, l’uomo che materialmente ha licenziato la preside o, come ci tiene a precisare, che ne ha imposto le dimissioni – sostiene che a condannare Hope Carasquilla non fu, in sé, il nudo del Davide. Bensì il fatto che quella foto fosse stata mostrata agli alunni senza previamente avvisare i genitori dei medesimi. Ed è qui, sottolinea Bishop, che le più basiche regole dell’insegnamento sono state intollerabilmente violate. Che diamine, dice Bishop: nel “titolo” del nostro istituto c’è la parola “classico”. Ed il Rinascimento italiano è, con tutti i suoi nudi, parte essenziale del nostro curriculum. Solo che ad ogni nudo, anzi, ad ogni idea, ad ogni concetto e ad ogni valore insegnato, deve – come si usa per gli eccessi di zucchero contenuti nelle bevande, o per i film che contengono scene di sesso e violenza – corrispondere un debito avviso ai genitori.
Quanti sono stati, ha a questo punto chiesto l’intervistatore, i genitori che hanno protestato per il mancato avviso? Tre, ha risposto Bishop. E solo uno di loro ha ritenuto che il nudo del Davide fosse “pornografico”. Ma tanto è bastato. I principi, ha orgogliosamente sostenuto Bishop nell’intervista, valgono più dei numeri…
“Permesso”, non “nudo” è la parola chiave
Dunque, così stanno le cose. In quel Tallahassee, è bastato che un solo genitore – uno solo e, credo definibile, senza offesa, come un troglodita – si ritenesse offeso dalle nudità del Davide, perché scattasse non solo la censura di un’universale opera d’arte, ma anche il licenziamento di chi, senza permesso, aveva mostrato quell’immagine agli alunni. E proprio questo è il punto. Perché proprio questa – “permesso”, non “nudo” – è la parola chiave per comprendere la vera natura, l’eccezionalismo verrebbe da dire, del “braghettonismo” made in Florida.
Per capire di cosa in effetti si tratti, bisogna allargare lo sguardo al, chiamiamolo così, quadro politico. E per capire quale, a sua volta, sia questo quadro, assai utile è partire da un libro. Il suo titolo è: “The Courage to be Free, Florida’s Blueprint for America’s Revival”. Il coraggio d’essere liberi, la Florida come progetto per la rinascita d’America. Scritta da Ron DeSantis, governatore della Florida, questa in sé prescindibilissima opera appartiene ad un genere letterario – quello delle “autobiografie elettorali”, ovvero degli auto-adulatori racconti di se stessi con i quali gli aspiranti alle più varie poltrone vanno presentandosi agli elettori – tranquillamente classificabili tra i più tediosi ed illeggibili. Ma vale la pena sfogliarlo per almeno due motivi. Il primo: perché è il veicolo col quale il vero Braghettone di questa storia – Ron DeSantis, per l’appunto, che ancora non ha pubblicamente dichiarato la sua candidatura, ma che i politologhi d’ogni tendenza già ritengono la più credibile alternativa a Donald Trump in vista delle prossime primarie repubblicane – evidentemente intende, raccontando le sue imprese come governatore, spianarsi la strada verso la “nomination”, prima, e, poi, verso la presidenza. Come ha scritto qualcuno: nell’app GPS del suo cellulare, DeSantis già ha introdotto un indirizzo: 600 Pennsylvania Avenue, Washington D. C. …
Che cosa è, dunque, quel che Ron DeSantis già ha fatto in Florida e si propone di continuare a fare – a beneficio del mondo intero e, presumibilmente, nelle prossime vesti di presidente – nel resto degli Stati Uniti d’America? In che cosa consiste “the blueprint”, il progetto che, sull’esempio della Florida, è destinato a salvare l’America? E, soprattutto, da che cosa l’America deve esser salvata? Tirar in ballo George Orwell è di certo – anche nel caso, come il presente, d’una comparazione tutta in negativo – un modo per concedere a DeSantis ed all’opera sua un immeritato onore. E tuttavia, letta qualche pagina del suo libro e data una rapida occhiata alle cronache politiche della Florida – quella del Davide inclusa – impossibile è non pensare ai principi, o meglio, alle tre verità – la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza – che, notoriamente, regolavano la vita nella Oceania di “1984”.
Leggi e decreti per combattere il Male
Il “coraggio di essere libero” millantato da DeSantis altro infatti non è – in una farsesca ma non per questo meno tenebrosa e dannosa riedizione del “Grande Fratello” – che un tentativo di limitare, nel nome d’una libertà superiore, la libertà, anzi, le libertà degli altri (laddove per “altri” si intendono tutti coloro che non la pensano come te). Ron De Santis ha” il coraggio di esser libero” – e di rendere davvero liberi i cittadini nel cui nome governa – perché, come gli antichi giudici della Santa Inquisizione, non esita ad affrontare con ogni possibile mezzo il Male che li schiavizza. Ron DeSantis non ha ovviamente (non ancora almeno) ripristinato la tortura, né ha mandato al rogo quanti si negano alla libertà da lui tanto generosamente ed audacemente offerta, ma nei suoi due anni di governo ha proposto e fatto approvare da un Congresso dove gode di ampia maggioranza un’industriale quantità di leggi e decreti che il Male implacabilmente affrontano sempre ed ovunque si trovi. E, soprattutto, laddove si trasforma, riproducendosi, in idee, cultura, stili di vita, futuro. Nelle scuole, prima di tutto. E poi nelle biblioteche e nelle librerie, nelle università, nei giornali, in ogni anfratto della cosiddetta “società civile”, nella burocrazia (il famoso “deep State”) e, persino, nei consigli d’amministrazione delle grandi corporation.
“Wokeism” un vortice di perdizione, un indistinto, orrido magma…
Che cos’è dunque, per Ron DeSantis, il Male? Male – non solo per DeSantis ma, ormai, per l’intero Partito Repubblicano – è il “wokeism”, un neologismo che deriva dall’aggettivo woke, dal Cambridge Dictionary così molto anodinamente definito: “Termine che indica la promozione di idee liberali e progressiste, espressione di sensibilità nei confronti di discriminazioni e pregiudizi sistemici”. “Wokeism” – o “wokeness” – è però, nella visione repubblicana diventata il grido di battaglia di Ron DeSantis, qualcosa di molto più indefinito e di oscuro. Ancor meglio: nella sua indefinita tenebrosità, “Wokeism” è un vortice di perdizione, un indistinto, orrido e satanico magma nel quale confluisce tutto quello che corrompe le coscienze e cancella i valori – Dio, Patria, Famiglia – che dell’idea di America sono da sempre la base. “Wokeism” è un virus che avvelena le menti, soprattutto quelle deboli dei bambini, dal “wokeism” costretti ad odiare la propria razza e, persino, a rinnegare il proprio sesso. Ed al fondo di ogni forma di “wokeismo” – non dichiarato ma visibilissimo ed ossessivamente insistito – c’è quasi sempre il più sordido dei peccati: la pedofilia.
In ultima (e talora anche in prima) analisi, pedofili sono, per DeSantis e per il Partito Repubblicano, tutti coloro che reclamano una “identità di genere”. Pedofili sono i “marxisti radicali” che, a loro volta controllati dalle più estreme frange del movimento LGBTQ, controllano l’Amministrazione Biden. Pedofili – le cui idee non sono che pratiche di “grooming”, verbo di norma usato per la strigliatura dei cavalli, ma dall’ “anti-wokeismo” adoperato per indicare le più diverse, laide e depravate forme di deturpazione dell’innocenza infantile – sono gli insegnanti che propugnano la necessità di una più diffusa educazione sessuale nelle scuole. E, non solo pedofili, ma volgari seminatori d’odio e di divisione sono tutti coloro che, nelle scuole o in qualunque altro luogo, pretendono d’insegnare la storia dello schiavismo e della suo più avvelenato lascito: il razzismo sistemico che, ancor oggi, caratterizza la vita di gran parte della società americana.
Nella sua indefessa lotta contro il Male – questo Male – RonDeSantis ha, legge dopo legge, decreto dopo decreto, imposto molti silenzi, chiuso molte porte, proibito molti corsi (tutti quelli dedicati alla “Black History”, tanto per dire) e censurato molti libri. E lo ha fatto, come nel caso del Davide, sulla base d’un principio: tutto il potere ai genitori. Ammesso, ovviamente, che non si tratti di genitori “woke”. O anche soltanto di genitori non provatamente “anti-woke”. E, come in Iran, anche DeSantis ha, in questa sua battaglia per la salvezza d’America, messo in campo la sua “polizia morale”. “Moms for Liberty”, mamme per la libertà”, si chiama la più attiva e combattiva delle pattuglie che, di scuola in scuola, va di questi tempi liberando dal Male l’infanzia della Florida.
Anche tra i numeri si nasconde il demonio
Prima dei nudi di Michelangelo, tra le vittime – tutte brutalmente epurate, nel nome della lotta al “wokeism” dagli elenchi dei libri scolastici – si trova di tutto, anche un classico della letteratura per l’infanzia, “The Storyteller” di Jodi Picoult, che racconta d’una bambina, nipote d’una vittima dell’Olocausto, che incontra un ex ufficiale delle SS. La ragione della messa al bando? Troppe memorie violente. E, ancor più imperdonabile, la descrizione di un suicidio assistito. E poiché anche tra i numeri si nasconde oggi il demonio, l’implacabile mannaia di DeSantis – e delle “mamme per la libertà” – non ha risparmiato neppure i testi di matematica. Accusati, pare, d’usare i dati della povertà in America (o altri numeri “woke”) nelle lezioni dedicate alla statistica, almeno una quindicina sono stati mandati al macero. E la mano di DeSantis non ha tremato– quale miglior prova del suo “coraggio d’esser libero” – neppure quando s’è trattato di colpire una “vacca sacra” ed una super-potenza come la Disney Corporation, giusto nel cuore del suo famoso e frequentatissimo “DisneyWorld” in quel di Orlando, fin dalla nascita di fatto una sorta di indipendente e, dal punto di vista delle facilitazioni economico-fiscali, super-privilegiato enclave.
È accaduto quando l’allora CEO della super-corporation si è permesso di pubblicamente criticare la legge che, varata da DeSantis e conosciuta come la “Don’t say gay”, non dire gay, proibisce ogni accenno alla omosessualità nelle scuole. Senza esitare, il governatore della Florida ha risposto alla critica annunciando – e poi di fatto varando al grido di “è finito il tempo dei privilegi” – un nuovo statuto che regola i rapporti con la Disney. Una rivoluzione? Una testimonianza, di assoluto valore anti-woke? Una sfida ai cosiddetti “poteri forti”? Non proprio. Nel nuovo statuto, infatti, tutti i privilegi economici e fiscali della super-corporation – che, sia detto per inciso, aveva a suo tempo generosamente contribuito alla campagna elettorale di DeSantis – rimangono assolutamente intatti. Viene però stabilita, con fini anti-woke, un “Oversigfht Board”, una sorta di “commissione di vigilanza morale” alla cui testa DeSantis ha molto opportunamente posto un uomo fidato: Ron Peri, capo d’una molto fondamentalista comunità religiosa e convinto assertore d’una non propriamente scientifica tesi: quella secondo la quale l’omosessualità è una conseguenza dell’eccesso di elementi estrogeni contenuti nella – ovviamente woke – acqua potabile.
Il Davide? Soltanto un “danno collaterale”…
E non si tratta solo di DeSantis. Come ha di recente scritto sul Washington Post Jennifer Rubin, analista politica super-conservatrice, ma orgogliosamente entrata nelle file dei “never-Trumper “, l’anti-wokeism ha assorbito, ormai, in qualsivoglia latitudine del Partito Repubblicano, ogni capacità strategica, ogni ideologia ed ogni progettualità politica. Tutto comincia e tutto finisce con il “wokeism”. Tutto, comprese le parti intime del Davide di Michelangelo che, anch’esse diventate “woke”, in questa guerra in realtà non sono che un piccolo – anche se, nella sua piccolezza molto significativo – danno collaterale.
Nell’America di Trump e di DeSantis, prossimi candidati alla presidenza per il Partito Repubblicano, è la ormai la stessa democrazia ad essere diventata intollerabilmente “woke”. Il David con le mutande è, a Tallahassee o in qualunque altro luogo, irresitibilmente comico. Eppure – ed anche il povero Daniele da Volterra credo ne converrebbe – da ridere c’è davvero poco. Molto poco. Anzi: niente del tutto.
P.S. A proposito di risate. La vicenda del David censurato era stata a suo tempo profeticamente anticipata in un episodio dei Simpson. Cliccare qui per rivederlo in parte.