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Adios, Victor

10 dicembre 2009

 

Di Gabriella Saba

 

Al funerale di Victor Jara di questo pomeriggio, nel Cementerio Central di Santiago, si è vista gente che cantava e ballava come nel Caribe. Non è che fossero allegri, ma c’era un relativo sollievo nel fatto di tributare finalmente al cantautore cileno, a 36 anni dal suo assassinio (tuttora impunito), una sepoltura abbastanza grandiosa, almeno rispetto a quella quasi clandestina con cui, il 16 settembre del ’73, la moglie Joan aveva dovuto consegnare i suoi resti a un angolo nascosto dello stesso cimitero.

 

Migliaia di persone hanno accompagnato stamattina il feretro che recava i resti del cantautore e altre migliaia hanno aspettato per molte ore che quel pellegrinaggio percorresse, sotto un sole feroce, i quattro chilometri che separano la calle Brasil (dove si trova la Fundación Víctor Jara) dal camposanto alla fine della Recoleta: anonimo quartiere di palazzine basse e povere, con appena qualche negozio colorato a rallegrare la smorta  monotonia dei muri i cui colori, originariamente diversi e forse vivaci, sembrano oggi tutti uguali per l’usura e il tempo. Un gigantesco apparato stereo ha diffuso per molti isolati salsa e cumbia, e le struggenti, bellissime canzoni di Jara che hanno commosso la gente. Un ragazzo alla consolle istruiva il pubblico su cosa fare o non fare in attesa del feretro, e poi lo rampognava perché non seguiva le istruzioni.

 

“Per favore lasciate libero lo spazio centrale che fra qualche minuto arriva il compagno Jara”, continuava a ripetere, ma dato che Jara non arrivava la gente riprendeva il suo posto lì in mezzo. Era un pubblico relativamente omogeneo nella sua apparente diversità: in comune c’era che avevano facce perbene. C’erano ragazzi e ragazze a gruppetti e famiglie giovani, panciuti uomini di mezza età con il codino e anziane damas con piccoli ombrellini ricamati per proteggersi dal sole. C’erano nerboruti e tatuati adolescenti e ragazzini che  saltavano in giro facendo un chiasso tremendo. C’erano, soprattutto, una marea di bandiere rosse con la scritta Victor Jara oppure Allende vive. C’erano striscioni con appelli rivoluzionari e cartelli con scritte più sobrie. C’era un gruppetto di ragazzi con i capelli lunghi che ha gridato “Pacos, fascistas, son todos terroristas”, non appena sono apparsi (per poi defilarsi immediatamente) un paio di carabinieri, e c’erano molti signori dell’età di Jara, che con il cantante morto avevano presumibilmente condiviso le stesse lotte. C’erano perfino un paio di pokemones con i padri, e anche loro avevano gli occhi lucidi. Un camion con a bordo una banda musicale, carico di ragazzi e ragazze si è infilato nello spazio centrale che bisognava lasciare libero per quando sarebbero arrivati i resti di Jara, suonava una musica allegra e tutti nel pubblico si sono messi a ballare.

 

Il tipo alla consolle ha rampognato il camion che si è allontanato, obbediente,  giusto pochi  minuti prima che  facesse  il suo ingresso il pullmino con la tomba, coperto di corone di fiori e scortato da una folla impressionante. Di nuovo hanno messo su una canzone del cantautore e migliaia di persone l’hanno cantata a mezza bocca, come a messa. Quando il pullmino è arrivato davanti al cimitero le bandiere rosse hanno cominciato a sventolare e ad agitarsi come impazzite. Un po’ più indietro, dove si attardavano gli ultimi scampoli del corteo, un manifesto con la faccia sorridente e ingessata di Sebastian Pinera ammiccava gioiosamente dal muro di una casa. Un ragazzo con la pettinatura da mohicano ha lanciato sulla affiche un bastone di canna che ha centrato in pieno il viso del candidato. La gente nella strada ha riso o applaudito, qualcuno ha gridato: “Ancora”.

 

 

 

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