Nel suo ultimo discorso sullo Stato dell’Unione, Donald Trump aveva, giusto in chiusura, pronunciato una molto enfatica promessa: “Gli Stati uniti – aveva detto – non saranno mai un paese socialista”. Ed assai probabile è che proprio questo finirà per essere lo slogan principale della sua campagna per la rielezione nel 2020. Ma che cos’è, per l’attuale presidente Usa, il socialismo? Probabilmente – considerata l’alquanto scarnificata cultura politico-filosofico-storica del personaggio – nulla più che un drappo rosso da sventolare nella speranza di replicare quella che, negli anni ’50, andò sotto il nome di “Red Scare”. Ovvero: l’ondata d’isteria anticomunista – da riciclare in chiave antidemocratica – che caratterizzò i giorni più cupi della guerra fredda. Ovvia domanda: che senso può avere oggi, in panorami politici tanto diversi, questa sorta di esagitato replay?
In quegli anni il “pericolo rosso” era, com’è noto, molto efficacemente incarnato dall’Unione Sovietica. Oggi l’Unione Sovietica non esiste più e la Russia è guidata da Vladimir Putin, un leader che alla campagna presidenziale di Trump ha dato un molto attivo sostegno e di fronte al quale, probabilmente non solo per gratitudine, Donald Trump è solito genuflettersi. Escludendo la Cina (un caso a parte che a parte, per dimensioni ed intrinseca natura, va considerato) non restano, ad incarnare quell’antico “pericolo”, che la Cuba castrista (o post-castrista), la tragica realtà del Venezuela, catastrofico risultato della convergenza tra il classico caudillismo militare di Hugo Chávez (un piuttosto nauseante miscuglio di autoritarismo, culto della personalità, inettitudine e corruzione) ed un pastrocchio ideologico politico autodefinitosi “socialismo del XXI secolo”. Per non dire, naturalmente, di quella Corea del Nord del cui sanguinario leader Trump ha più volte confessato d’essersi “innamorato”, da lui corrisposto (“we fell in love”). Dunque, contro chi e che cosa, Trump va, di questi tempi rivolgendo i propri strali?
Per spiegarlo molto utile è ascoltare l’unico, tra gli oltre venti democratici che si preparano ad affrontare le primarie, che (e non da oggi) si dichiari apertamente “socialista”. Trattasi, ovviamente, di quel Bernie Sanders che, già nel 2016 dette, in un lungo testa a testa, molto filo da torcere a Hillary Clinton. Sanders è in questi giorni tornato a spiegare che cosa, in effetti, egli intenda per socialismo. E quel che emerge è, prevedibilmente, una moderata riedizione di quella che fu – e qua e là ancora è – la classica socialdemocrazia europea, adattata alla realtà di un paese che, da sempre alquanto deficitario in materia di politiche sociali, rischia di vedere la propria democrazia inghiottita dal baratro d’una crescente diseguaglianza.
Bernie Sanders torna, per molti aspetti, a sventolare quella che, negli anni della Grande Depressione, fu la bandiera di Franklin Delano Roosevelt. Ed è in questa chiave che rielabora le famose “quattro libertà” (la libertà di parola, la libertà di religione, la libertà dal bisogno e la libertà dalla paura) proclamate nel Discorso sullo Stato dell’Unione nel 1941, articolandole in una nuova Carta dei Diritti (Bill of Right). Il diritto ad un lavoro dignitoso. Il diritto alla salute. Il diritto all’educazione. Il diritto ad una casa. Il diritto ad un ambiente pulito. Il diritto ad una vecchiaia sicura.
Questo è, a conti fatti, il nuovo “pericolo rosso” dal quale Donald Trump proclama di voler salvare l’America. Funzionerà questa rievocazione dell’antica fobia antisocialista che scorre nelle vene d’America? Ed ha un senso oggi, per quanti si battono per liberare l’America dai pericoli del trumpismo e per una maggiore giustizia sociale, regalare a Trump il classico drappo rosso apponendo ai diritti di cui sopra l’etichetta del “socialismo”? (Interessante è, a questo proposito, quel che argomenta il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz).
Difficile dirlo. Di certo c’è che la nuova “red scare” non ha funzionato durante le ultime elezioni di mezzo termine, che hanno visto entrare nella House of Representatives non pochi candidati democratici che apertamente si proclamavano, per l’appunto, socialisti. Ed anco più certo è che, con o senza l’etichetta di “socialista”, molte delle idee socialiste di Sanders – stando ai sondaggi attualmente secondo, ma che difficilmente vincerà le primarie – saranno parte della piattaforma del prossimo candidato democratico.
Ecco, in ogni caso, il testo integrale, pubblicato da Vox, del discorso di Bernie Sanders