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Trump: ode alla salute del “grande leader”

Donald Trump sta bene, benissimo. Anzi, sta tanto bene che meglio non potrebbe stare. E il vero segreto d’un tanto debordante stato di buona salute – corporea e mentale – va ricercato, semplicemente, nei suoi “incredibili” geni. O, volendo riportare letteralmente le parole del dottor Ronny L. Jackson, sotto-ammiraglio e medico della Marina militare, va ricercato nei “suoi geni incredibilmente buoni” perché questo è, altrettanto semplicemente, “il modo come Dio l’ha fatto…”.

Il dottor Jackson – il fino a pochi istanti prima rispettato professionista al quale è toccato il compito di illustrare i risultati del checkup al quale ogni anno viene sottoposto il presidente in carica – non è arrivato a dire, come a questo punto sarebbe stato logico dicesse, che Donald Trump a tutti gli effetti appartiene, in virtù di questi “incredibili geni”, a una razza superiore. Né ha apertamente sostenuto che l’attuale presidente, seppur ancora classificabile come “essere umano”, è dotato di superpoteri. Ma è egualmente riuscito a trasmettere ai giornalisti presenti – ovvero, ai “nemici del popolo” e ai “fabbricanti di fake news” (Donald Trump dixit) – l’impressione che qualcosa di profondo sta in effetti cambiando (e cambiando per il peggio) in quella che ama chiamare se stessa la più antica (e si suppone solida) democrazia del mondo.

Proviamo a spiegarci. L’annuale rapporto sullo stato di salute del presidente era sempre stato tra i più tediosi e scontati appuntamenti dell’agenda politico-giornalistica americana. Ma non così quest’anno. E non così – è più che lecito credere – di qui innanzi, per tutti gli anni che verranno regnante Donald J. Trump. Preceduto dal gran fracasso generato dalla pubblicazione di un libro – Fire and Fury di Michael Wolff – nel quale si descrivono le molteplici disfunzioni d’una Casa Bianca guidata da un presidente patologicamente narcisista e da molti dei suoi più stretti collaboratori considerato, con diverse graduazioni, “a moron” (un imbecille) – la presentazione di quest’anno s’è repentinamente tramutata in un rossiniano crescendo di iperboli. O meglio: in una sorta di super-aggettivata ode alle “impareggiabili, eccellenti, fantastiche, formidabili” doti, fisiche ed intellettuali, del grande leader dagli incredibili geni.

Trump non sta soltanto bene. Sta che meglio non si può. Sta meglio di chiunque altro. Ed al di là del suo stato di salute strettamente medico, è un uomo d’una lungimiranza e di una “ineguagliabile energia”. Il tutto a fronte di risultati clinici che, dissipate le iperboliche nebbie della presentazione, segnalano in realtà le condizioni fisiche d’un 71enne alquanto sovrappeso, con ovvi problemi di colesterolo (Trump deve prendere medicine per mantenerlo a livelli accettabili) e con condizioni arteriali che – come tutti i medici non di corte hanno d’acchito sottolineato – chiaramente indicano imminenti e seri problemi cardiaci.

Niente di particolarmente grave (quello di Trump sembra, in effetti, essere un piuttosto normale quadro clinico considerata l’età del paziente). Ma anche niente di lontanamente paragonabile alle “genetiche” meraviglie descritte, con quasi religioso fervore, dal dottor Jackson. Trump sta ultrabene di corpo e sta ancor meglio di mente (“È di una impressionante lucidità”, ha ripetuto, estasiato, il sotto-ammiraglio). E questo in base ai risultati d’un “test cognitivo” da Trump richiesto e superato “nel più completo e brillante dei modi”. Per la cronaca: il test in questione è il Montreal cognitive assessment, basato su domande che proprio per la loro assoluta elementarità – si tratta in sostanza di saper leggere l’ora guardando un orologio, o di saper distinguere l’uno dall’altro comunissimi animali mostrati in fotografia– aiuta ad individuare i segnali d’una incipiente Alzheimer o di altre gravi forme di deterioramento neurologico.

Che cosa abbia spinto il medico della Marina militare a questa cortigianesca esibizione, non è chiaro. Chiaro, anzi, chiarissimo è invece un fatto: regnante Trump, in meno d’un anno l’adulazione è diventata – e diventata nella sua forma più abbietta – parte essenziale della ritualità del potere. Come in una antica corte medievale. O come in una classica Repubblica delle Banane.  Qualcosa d’analogo – e di del tutto inedito nella Storia della democrazia americana – già era del resto accaduto solo un mese fa, quando, il 20 dicembre, l’intero Gotha del Partito Repubblicano aveva insieme al (o per meglio dire, ai piedi del) presidente, presentato la recente riforma fiscale in una pubblica cerimonia alla casa Bianca. Nessuno aveva mai assistito prima d’allora, in America, ad una tanto patetica ed ossequiosa gara di ringraziamenti e d’elogi in direzione della “squisita leadership” (parole di Paul Ryan, leader della maggioranza repubblicana alla Camera) del “comandante in capo”.

Qualcuno, martedì scorso, ha osato chiedere al dottor Jackson se fosse preoccupato per il peso (ai limiti dell’obesità) di Donald Trump, o per le sue molto voraci e non proprio salubri abitudini alimentari. E questa è stata la sua molto ispirata risposta: “Avesse il presidente fatto più esercizio fisico e seguito una dieta più sana, avrebbe potuto vivere fino a 200 anni. Belle parole. Parole che sembrano copiate, senza filtro, dai protocolli cerimoniali del Nord Corea. Parole che sarebbero suonate alquanto appropriate, anni fa, nella Repubblica Domenicana di “El Benefactor de la Patria” Rafael Leonidas Trujillo, o nel Paraguay di “El supremo José Gaspár Rodríguez de Francia.

Non v’è dubbio alcuno. Trump sta bene, anzi, benone. Ed è persino in grado di “brillantemente” distinguere un cavallo da un elefante. Quella che invece sta male – molto male – è la democrazia americana.

 

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